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Prestazioni socio riabilitative psichiatriche. Consiglio di Stato boccia il Tar Lazio: al Comune spetta compartecipazione alla spesa solo per quelle a “bassa intensità assistenziale” 

Accogliendo un ricorso del Comune di Roma, il Consiglio di Stato ha bocciato una sentenza del Tar Lazio con cui si faceva carico al comune della compartecipazione alla spesa per l'assistenza non a fasce orarie ma sulle 12 o 24 ore per le prestazioni erogate in regime residenziale nell’ambito di strutture socio-riabilitative psichiatriche. Nella sentenza il Consiglio di Stato ribadisce poi anche che "l’attuazione delle politiche di rientro dal disavanzo non può che coniugarsi con la necessaria salvaguardia dei livelli essenziali di assistenza" perché il Piano di Rientro deve garantire proprio "il rispetto dei livelli essenziali e la loro sostenibilità nel futuro". LA SENTENZA .

09 GEN - Secondo la sentenza 8608/2019 del Consiglio di Stato “le prestazioni ‘socio-riabilitative’ rientrano tra quelle a carattere ‘socio-sanitario’ (quindi non puramente assistenziale), nelle quali la componente sanitaria non è nettamente distinguibile da quella sociale; pertanto, tali prestazioni non possono gravare interamente sul cittadino o sul Comune - pur potendosi ammettere, a certe condizioni, un concorso alla spesa da parte dell’utente del servizio”.
 
Il fatto
Roma Capitale ha contestato davanti al Tar del Lazio una serie di atti del Commissario ad acta per il piano di rientro della Regione Lazio attraverso i quali è stato programmato e attuato l’ampliamento della quota di compartecipazione, a carico dell’utente o del Comune di residenza, per l’erogazione di prestazioni socio-sanitarie per la cura di patologie psichiatriche, erogate in regime residenziale nell’ambito di strutture socio-riabilitative (S.R.S.R.).
 
Diversamente da quanto accadeva in precedenza, in base al DPCM del 2001 sui Livelli essenziali di assistenza, che prevedeva la compartecipazione solo in relazione alle strutture a bassa intensità assistenziale (SRSR a fasce orarie), si era prevista l’estensione della compartecipazione anche alle prestazioni erogate da strutture ad alta e media intensità (SRSR h12 e SRSR h24).
 
Il Tar Lazio ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti con la sentenza, evidenziando come gli atti gravati costituiscano una mera applicazione od una necessitata conseguenza sia del Patto per la salute per gli anni 2014/2016, di cui all’Intesa tra Governo, Regioni e Province Autonome del 10 luglio 2014; sia degli interventi normativi susseguitisi negli anni 2008-2010 e volti alla ridefinizione della natura giuridica e assistenziale delle case di cura Neuropsichiatriche.
 
La sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha invece bocciato la sentenza del Tar Lazio chiarendo che il Dpcm 29 novembre 2001 (i livelli essenziali di assistenza) prevede la compartecipazione a carico dell’utente o del Comune nella misura del 60% per le sole “prestazioni terapeutiche e socio riabilitative in strutture a bassa intensità assistenziale”. 
 
Questo significa, nell’ambito della riconfigurazione delle strutture residenziali psichiatriche approvata in Conferenza Unificata con l'Accordo del 17 ottobre 2013, che le strutture catalogate come SRP 3 (caratterizzate da una componente terapeutica marginale e dalla prevalente presenza di prestazioni socio-riabilitative) sono differenziate per livelli di “intensità” assistenziali modulati sul tempo di durata del supporto assistenziale offerto (24h, 12h e fasce orarie), rilevante quale indice proporzionale del grado di intensità del servizio prestato.
 
La dizione “bassa intensità assistenziale” si addice solo alle strutture che erogano prestazioni per “fasce orarie” e quindi solo per queste si giustifica l’obbligo della compartecipazione stabilito dal Dpcm sui Lea.
 
Il Consiglio di Stato ha obiettato alle varie motivazioni contrarie alla scelta a partire dal decreto del Commissario ad acta (DCA) del Lazio del 2015 che secondo i giudici “non offre una traccia logico-motivazionale in grado di giustificare l’innovativa soluzione accolta”.
 
Passando alle motivazioni del Tar Lazio, il Consiglio di Stato sottolinea che le disposizioni del Patto della salute 2014/2016 richiamate nel DCA  562/2015 “non contengono indicazioni nel senso di una limitazione nell’accesso alle prestazioni erogate in strutture socio riabilitative ad alta e media intensità assistenziale; vi si enuncia, al contrario, l’intendimento di procedere ad ‘una revisione del sistema della partecipazione alla spesa sanitaria e delle esenzioni che eviti che la partecipazione rappresenti una barriera per l’accesso ai servizi ed alle prestazioni così da caratterizzarsi per equità ed universalismo’”.
 
Neppure gli elementi ricavabili dalla normativa di settore sulla natura giuridica e assistenziale delle case di cura neuropsichiatriche offrono secondo la sentenza “spunti apprezzabili in senso favorevole alla innovazione del regime della compartecipazione”. 
 
In particolare “il mero raffronto tra la classificazione delle strutture residenziali psichiatriche e le tipologie assistenziali previste dal DCA 3 febbraio 2011 n. 8 e quelle illustrate nell’Accordo n.116/CU (Conferenza Unificata) del 17 ottobre 2013, poi recepito dal DCA n. 310 del 3.10.2014, non può essere individuato come motivazione del mutamento di regolazione, in quanto esso non fornisce alcuna spiegazione della estensione della compartecipazione anche a strutture ad alta e media intensità assistenziale a fronte di una normativa nazionale e inderogabile, di cui ai Dpcm del 2001, che invece stabilisce che le cure e le prestazioni erogate in tale strutture sono ad esclusivo carico del Servizio Sanitario Nazionale”.
 
Il fatto, poi, che il Dpcm sui Lea del 2001 sia stato abrogato dal successivo Dpcm del 12 gennaio 2017 è “argomento del tutto ininfluente” secondo il Consiglio di Stato, in quanto “non è dubitabile che la compartecipazione oggetto dell’impugnativa è stata introdotta con il DCA n. 562/2015, nella vigenza dei DPCM del 14.2.2011 e del 29.11.2001, così come è indubbio che tutti gli atti impugnati facciano riferimento ai DPCM del 2001”.
 
Ancora, secondo la sentenza “pur non costituendo oggetto specifico di questo giudizio, è lecito dubitare che l’art. 33 comma 4 del DPCM del 12 gennaio 2017 abbia alterato l’assetto regolatorio degli oneri di compartecipazione: in realtà, anche tale disposizione prevede una contribuzione al 40% da parte del Servizio Sanitario nazionale limitatamente ai trattamenti residenziali socio-riabilitativi di cui al comma 2, lettera c) – connotati da bassa intensità riabilitativa; mentre risulta confermato che i trattamenti residenziali di alta e media intensità riabilitativa di cui al comma 2, lettere a) e b) sono a totale carico del Servizio sanitario nazionale”.
 
Per quanto riguarda le misure di risanamento finanziario previste nel piano di rientro, secondo il Consiglio di Stato “non assumono nel corpo del DCA n. 562/2015 la rilevanza centrale che il Tar ha inteso attribuire loro, in quanto le stesse vengono fatte oggetto di una menzione del tutto fugace e marginale rispetto al più corposo apparto di successive deduzioni motivazionali”. 
 
“In ogni caso – affermano i giudici - l’attuazione delle politiche di rientro dal disavanzo non può che coniugarsi con la necessaria salvaguardia dei livelli essenziali di assistenza poiché, come più volte chiarito da questa sezione, ‘la ratio profonda ed essenziale che anima il procedimento del Piano di Rientro è proprio la garanzia del rispetto dei livelli essenziali e la loro sostenibilità nel futuro’”.


09 gennaio 2020
© Riproduzione riservata

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