Cavicchi e “quattro amici al bar”
05 GEN -
Gentile Direttore,
indubbiamente
le perplessità e i dubbi che Cavicchi esprime relativamente alla capacità del Ministro Speranza di “rafforzare” il SSN credo possano essere condivisi da una percentuale molto elevata dei suoi lettori, almeno da quanti, per motivi generazionali o di approccio culturale e politico, hanno da sempre inteso nella sua pienezza il concetto di universalismo del Servizio sanitario pubblico, concetto questo che almeno nei primi anni successivi al 1978 è stato dominante.
Subito dopo però prese avvio il processo di aziendalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale a seguito della pubblicazione del D.L. n. 502/1992. Furono modificati gli acronimi e le USL si trasformarono in ASL, Aziende Sanitarie Locali, dotate di autonomia sia decisionale che patrimoniale, con l’obiettivo di rispondere a criteri di efficacia, efficienza, economicità e rispetto dei vincoli di bilancio. Il rischio che la necessità di una profonda ristrutturazione dello stato sociale potesse cancellare lo stesso principio di solidarietà che lo aveva ispirato era emerso già nel corso della prima conferenza nazionale della Sanità, svoltasi a Roma nel 1999.
In quella occasione, una persona illuminata come l’Arcivescovo di Milano Cardinale Martini aveva sottolineato un pensiero già più volte espresso: come non si potesse pensare alla sanità come azienda, alla salute come prodotto, al paziente come cliente, e come fosse necessario riproporre la centralità alla persona umana, soprattutto nei momenti di sofferenza. In sanità, l’aspettativa da parte del paziente non è rappresentata dal numero delle prestazioni, bensì dal miglioramento delle condizioni di salute. Sono passati venti anni, sembra essere passata una vita.
Su una potrei però dissentire da Cavicchi, laddove afferma di vedere il Ministro Speranza “né così libero né così interessato e neanche così preparato, come invece dovrebbe essere chi vuole cambiare sul serio il brutto andazzo della sanità pubblica”. Ma dissento per un motivo elementare ovvero perchè non me la sento di attribuire responsabilità piena ed esclusiva ad una singola persona, seppure Ministro della Salute, in quanto non rappresenta nè può rappresentare l’uomo solo al comando, essendo peraltro la sua funzione inserita in un contesto politico collegiale, economico, a tratti neoliberista, previdenziale ed assicurativo che ne limitano fortemente, laddove esistente, la capacità di imprimere una autentica svolta innovativa e riformatrice rispetto al rischio di privatizzazione del sistema.
Sono andato a rileggere la relazione del mio Segretario generale, Biagio Papotto, al Congresso della Cisl Medici di giugno 2017. Già lo slogan congressuale la diceva lunga sulla posizione del nostro sindacato ovvero “Medici e Cittadini: una nuova alleanza per la persona e per il lavoro”.
Papotto si chiedeva a cosa servisse un Servizio sanitario nazionale. A garantire lo stato di salute di un popolo. E affermava inoltre “Ma davvero siamo convinti che oggi occorra stravolgere un modello di sanità che ha garantito la tutela della salute dei cittadini? Si dice che oggi non ci si possa più permettere uno stato sociale, quale quello fino ad oggi esistente. Ne siamo convinti?”
Che Cavicchi abbia l’autorevolezza di “potere suggerire qualche consiglio, passare qualche idea” al Ministro è cosa risaputa. Se poi, anziché passarla sottobanco, volesse metterla a disposizione di tutti gli stakeholder - uso il termine in maniera sarcastica e per dimostrare che ho frequentato almeno un master - che hanno ancora a cuore il servizio pubblico, ma davvero pubblico, allora sarebbe cosa buona e giusta e magari troverebbe forse più sostenitori di quelli che lui stesso immagina.
A meno che la deriva sia tale che non c’è scampo ed il percorso è segnato a prescindere dai colori del Governo di turno, anche di quello che verrà. In tal caso, se accetterà, ci ritroveremo a cantare “Quattro amici al bar”.
Luciano Cifaldi
Oncologo, Segretario Generale Cisl Medici Lazio
05 gennaio 2020
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