Lazio. A luglio addio al piano di rientro. Ma ora la nuova sfida è combattere le disuguaglianze
Tra poche serttimane il Lazio dirà addio a dieci anni di piano di rientro. Ora, oltre al rispetto delle coordinate economiche, bisognerà però valutare anche altri indicatori di efficacia del sistema, tre su tutti: la riduzione della spesa privata dei singoli cittadini; la riduzione del divario tra l’alta professionalità delle cure ospedaliere e l’aspetto “alberghiero” del ricovero; la riduzione del divario tra strutture di Roma e delle province
09 GIU - A luglio probabilmente il Lazio dirà addio al piano di rientro durato quanto l’Odissea cioè dieci anni pieni. Da quel giorno si dovrà varare un piano di rientro dalla diseguaglianza che in questi anni è cresciuta a dismisura come sottolineano tutti gli studi recenti.
In questi anni è stato raggiunto un risultato importante: il Servizio Sanitario Regionale del Lazio è oggi risanato nei conti, anche nella qualità delle cure erogate in particolare quelle cardiache è migliorata. Ma tutto ciò vale per chi riesce ad entrare nel sistema, perché in questi anni è diventato emergenza il problema dell’inaccessibilità: un castello con solide fondamenta ma con pochi ponti levatoi. Cosi è sempre più alto il numero di chi rimane fuori dalle mura, pagando di tasca propria o, peggio, rinunciando.
Il perimetro presidiato e garantito dal pubblico arretra in silenzio da anni, mentre nella terra di mezzo che si è creata, sempre più vasta, cresce il fai da te, che già oggi “fattura” oltre 36 miliardi di euro, un terzo della spesa pubblica annuale per la sanità.
Secondo il VII Rapporto RBM – Censis sulla Sanità in Italia, appena pubblicato, nell’ultimo anno 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente). Di questi 2/3 sono affetti da malattie croniche, a basso reddito, in prevalenza donne e non autosufficienti. A questi vanno aggiunti i 7,8 milioni di italiani che hanno dovuto utilizzare per le spese sanitarie tutti i propri risparmi o indebitarsi. E la spesa di tasca propria per la sanità è salita a 35,2 miliardi di euro, dato che combacia quasi perfettamente con il fatturato della sanità privata (+4,2% nel periodo 2013-2016). Questo il dato nazionale. Sono cifre allarmanti, non sviluppate su base regionale, ma che incrociate con i dati per macro area fanno pensare che riguardino anche la nostra regione in linea con la media nazionale.
Durante un consiglio regionale dedicato a questo tema ho ricordato che anni fa l'Osservatorio epidemiologico regionale pubblicava un rapporto sulla sanità del Lazio, indicando sempre come l'accesso alle cure fosse il discrimine per definire l'equità del sistema, perché le classi più agiate o quelle con un livello d'istruzione più alto avevano più facilità di accedere alle cure rispetto alle classe sociali più in difficoltà e ai margini.
Occorre nei prossimi anni di certo colmare il fossato della diseguaglianza. In questo senso occorre un impegno nuovo e senza condizioni da parte del settore privato che invece spesso preferisce indugiare in atteggiamenti di convenienza volti a drenare risorse dalle tasche dei cittadini laziali, lucrando sulle disfunzioni della sanità pubblica e sui ticket esosi. La sanità privata accreditata è una risorsa nella misura in cui fa la sua parte, perché in questi anni molto ha chiesto, molto ha ricevuto, ma poco ha dato, per esempio proprio sulla lotta alle liste di attesa. Da anni, per esempio, le strutture private devono mettere a disposizione il 30% della loro prestazioni. Lo hanno fatto? Lo faranno?
Il Lazio sta per uscire dal piano di rientro del 2007, dunque nei prossimi anni l’azione di governo dovrà essere puntata, oltre al rispetto delle coordinate economiche, anche a valutare altri indicatori di efficacia del sistema, tre su tutti: la riduzione della spesa privata dei singoli cittadini per le cure, oggi nel Lazio si spendono circa 3 miliardi e mezzo l’anno con una media di circa 600 euro a cittadino; la riduzione del divario tra l’alta professionalità delle cure ospedaliere e l’aspetto “alberghiero” del ricovero; la riduzione del divario tra strutture di Roma e delle province, che provoca sovraffollamenti e alta mobilità.
La strada dunque a me appare segnata; obiettivo: abbattimento del deficit di uguaglianza che si è accumulato in dimensione inaccettabili.
Riccardo Agostini
Consigliere regionale del Lazio (Art.Uno – Mdp), Membro della commissione salute
09 giugno 2017
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