Alla “Sapienza” al via la 15ª edizione del master “Ricerca clinica: metodologia, farmacovigilanza, aspetti legali e regolamentari”
Anche quest’anno la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “Sapienza” di Roma ospita il Master di II livello dedicato alla ricerca clinica, con un programma di studi a 360 gradi, per fornire ai discenti competenze sempre più vaste che un panorama scientifico multidisciplinare richiede con urgenza.
15 MAR - L’Università di Roma “Sapienza”- Facoltà di Medicina e Chirurgia ha dato il via alla 15esima edizione del Master universitario di II livello in “Ricerca clinica: metodologia, farmacovigilanza, aspetti legali e regolamentari". Il master si rivolge principalmente a coloro che sono in possesso del titolo di laurea (magistrale, specialistica o vecchio ordinamento) in Medicina e Chirurgia, Biologia, Farmacia, Chimica e Tecnologie Farmaceutiche Biotecnologie, ma non chiude le porte anche ai laureati provenienti da Facoltà come Fisica, Chimica, lngegneria, Economia, Giurisprudenza, perché la Ricerca Clinica ha molteplici aspetti e ha l’obiettivo di formare figure professionali in grado di gestire una sperimentazione clinica sia dal punto di vista metodologico, sia regolatorio.
Il Master ha la durata complessiva di un anno accademico, l’attività formativa prevede 60 CFU pari a 1500 ore di formazione complessiva, tra lezioni frontali e tirocinio formativo presso istituzioni e aziende del settore attive nel campo della sperimentazione farmacologica. “La ricerca riveste e rivestirà un ruolo sempre più centrale all’interno del sistema salute – ha spiegato il direttore e ideatore del Master,
Roberto Verna – anche se gli investimenti a riguardo non sono ancora adeguati, soprattutto a livello pubblico. L’industria investe complessivamente 50 miliardi di dollari, l’Italia appena 800 milioni di euro. Una spinta a fare di più potrà arrivare dall'attuazione del regolamento europeo, che prevede quote di investimento pubblico più elevate entro il 2018. L’Università deve formare e fornire tutte le professionalità che si occupano di ricerca clinica, dal laboratorio agli aspetti di farmacovigilanza, a quelli legali e assicurativi. Il programma del Master tocca tutte queste aree”.
“Il Master aiuta gli studenti a entrare nella dimensione della ricerca clinica - ha aggiunto
Renato Masiani, Pro Rettore dell’Università Sapienza - L’Università è il luogo naturale della formazione e questo Master è veramente interdisciplinare”.
Un concetto, quello dell’interdisciplinarietà, sul quale è intervenuto anche
Sebastiano Filetti, Preside della Facoltà di Medicina: “Crediamo molto in questo programma di studi - ha aggiunto Filetti - anche perché abbiamo attivato collaborazioni al massimo livello, fra tutte quella con l’AIFA. I trial clinici, rispetto al passato, hanno bisogno di essere ripensati. Lo studio dei sottogruppi diventerà strategico nell’ottica di una medicina di precisione. Questo l’industria lo ha capito e si muove di conseguenza: dobbiamo far lavorare i nostri studenti immaginando scenari che tra pochi anni diventeranno realtà”.
“Le Facoltà di Medicina italiane sono tra le migliori d’Europa - ha aggiunto
Andrea Lenzi, presidente del Consiglio Universitario Nazionale (CUN) - e i Master che offrono sono veri e propri titoli accademici che entrano nella formazione curriculare”.
E proprio alla formazione dei ricercatori ha fatto riferimento, nel suo intervento, il Direttore Generale dell’Aifa,
Mario Melazzini: “È strategico, per lo sviluppo del sistema Paese, che dei professionisti possano garantire la qualità e la sicurezza della ricerca. Della ricerca fa parte, a pieno titolo, anche Aifa, che non è solo un organo controllore. Chi investe in ricerca ha bisogno di certezze in merito a tempi e procedure. E questo è l’impegno di Aifa”.
Nicoletta Luppi, intervenuta in rappresentanza di Farmindustria, ha illustrato dettagliatamente il panorama della ricerca clinica condotta dalle aziende: “Quello del farmaco è un processo lungo e complesso - ha detto Luppi - Dal tempo zero all’autorizzazione alla messa in commercio possono passare molti anni. Mettere a punto un farmaco innovativo costa mediamente 2,6 miliardi di dollari. In Italia ci sono 200 aziende farmaceutiche, che danno lavoro a 63.500 persone. Tra questi, 6.100 sono occupati nella ricerca e sviluppo delle molecole. Le aziende presenti in Italia hanno una forte vocazione all’export, cui destinano il 73% della produzione. In un’ottica che mette il paziente al centro del sistema salute devono cambiare anche i disegni degli studi clinici, con una particolare attenzione a tutti gli aspetti produttivi e scientifici. Occorre incentivare la creazione di parchi scientifici, fare spin off, utilizzare le biotecnologie. E tutto questo deve vivere in un ecosistema in grado di attrarre risorse”.
Un ecosistema che, ovviamente, necessita di una governance. “Il Ministero della Salute può esercitare questa funzione – ha aggiunto
Marcella Marletta, Direttore Generale dei dispositivi medici e del sevizio farmaceutico del Dicastero di Lungotevere a Ripa – perché vuole una ricerca attrattiva, basata su una sinergia pubblico-privato, in un’ottica della semplificazione del quadro regolatorio. Il Ddl Lorenzin va in questa direzione, puntando sui requisiti delle strutture che vogliono fare ricerca. E la ricerca deve coinvolgere anche le nuove tecnologie. In Italia abbiamo 900 mila dispositivi registrati. Molti di questi device hanno cambiato il modo di fare diagnosi o di gestire alcune patologie”.
In questo percorso virtuoso un riferimento naturale è quello dell’Istituto Superiore di Sanità. “L’Iss svolge un ruolo fondamentale per quanto riguarda la sperimentazione clinica di Fase I, che rappresenta il delicatissimo passaggio dagli studi di laboratorio – ha sottolineato
Patrizia Popoli, intervenuta in rappresentanza dell’Iss e anche come Presidente della Commissione Tecnico Scientifica dell’Aifa – ma è di fatto coinvolto in tutti gli ambiti della ricerca clinica, dallo studio dei disegni dei trial clinici alla sperimentazione nelle malattie rare”.
Ad aiutare il Ministero della Salute a tutelare l’ecosistema della ricerca ci sono i Carabineri dei Nas. “I Nas – ha detto il Comandante, Generale
Claudio Vincelli - operano a fianco dell’Aifa insieme a tutte le forze di polizia. Contrastiamo la falsificazione dei farmaci e dei dispositivi sia a livello nazionale, sia a livello internazionale nell’ambito dell’operazione Pangea, il cui obiettivo principale è l’oscuramento dei siti che commercializzano farmaci contraffatti: La contraffazione è una delle ‘patologie complesse’ del sistema, che si riflette anche sul buon esito delle attività di ricerca clinica”.
La ricerca vista dall’Europa
Nel Vecchio Continente la ricerca occupa oltre 20 mila addetti. Le istituzioni puntano sulla competitività di questo segmento. E in tal senso è stata emanata una nuova regolamentazione. “Abbiamo individuato alcune aree di miglioramento per rendere anche la ricerca italiana più competitiva – ha osservato
Stefano Marini, Vice Presidente di EUCROF, European Conference on Clinical Research – Una è rappresentata dalla ridondanza dei Comitati Etici, che dilatano i tempi di valutazione di uno studio clinico. Un altro aspetto critico è legato alle disparità di applicazione dei regolamenti. Ma con l’entrata in vigore del Regolamento Europeo questo problema dovrebbe essere superato a breve termine. In Italia l’attivazione di uno studio clinico è quattro volte più costosa rispetto al resto dell’Europa. Il nuovo Regolamento Europeo prevede che lo sponsor di uno studio clinico debba scegliere lo Stato referente per la sperimentazione sulla base della sostenibilità. E in questo senso dobbiamo fare dei passi in avanti”.
Passi in avanti che, secondo i clinici, devono essere fatti anche dal punto di vista del disegno dei trial. “ Lancet – ha ricordato
Nino Caltabellotta, presidente della fondazione Gimbe, Evidence for Health – ha lanciato la campagna REWARD per coinvolgere, negli studi, stakeholder di tutte le categorie. E questo per avere evidenze scientifiche di qualità sempre più alta”.
"Bisogna investire sulle professionalità – ha aggiunto
Gualberto Gussoni, direttore scientifico del Centro Studi Fadoi – e integrarle nelle strutture ospedaliere. L’Italia investe poco più dell’1% del PIL in ricerca, e nella quota investita la ricerca medica rappresenta il 9%. Si può davvero fare di più”.
15 marzo 2017
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