Roma. San Camillo-Forlanini. Anaao a Bissoni: “Il rilancio dopo il fallimento, ecco le soluzioni”
Un’analisi dettagliata della criticità della struttura romana e le richieste per il suo rilancio. È quanto contiene la lettera aperta che la segreteria aziendale Anaao Assomed ha consegnato al Sub Commissario e al DG Antonio D’Urso in occasione della "San Camillo Conferences".
10 APR - "I cittadini romani meritano, anche per quello che spendono, scenari nuovi e migliori, quindi un cambiamento profondo. Costruire nuovi scenari significa anche conoscere i gravissimi errori del passato, passare dall’improvvisazione alla progettazione, dai luoghi comuni all’analisi dei dati".
È quanto scrive, la segreteria aziendale Anaao Assomed in una lettera aperta al Sub Commissario
Giovanni Bissoni e al Direttore generale
Antonio D’Urso consegnata in occasione della presentazione di San Camillo Conferences “Nuovi scenari dell’organizzazzione ospedaliera”. Una lettera in cui il sindacato ha presentato l’analisi delle criticità e le richieste per un rilancio dell’ospedale.
Di seguito il testo della lettera della segreteria aziendale dell'Anaao Assomed.
"Politiche irrazionali. In pochi anni l’ospedale San Camillo è stato portato verso la paralisi da scelte della politica che si sono rivelate quanto meno irrazionali. La madre di tutte le miopie è stata l’ipotesi che una valida gestione si potesse realizzare esclusivamente mediante la riduzione del numero dei posti letto e del personale. Un indicatore, un traguardo da raggiungere, non può essere lo strumento di un rinnovamento organizzativo e le conseguenze di queste decisioni le vediamo tutti.
La riduzione del 30% delle attività chirurgiche che ha penalizzato circa 3.000 cittadini/anno, la drastica riduzione dei pl di Medicina, la progressiva inesorabile riduzione del personale nei reparti e nei servizi, hanno determinato il risultato a tutti noto: l’ingolfamento del PS, sul quale è superfluo esprimere ulteriori commenti.
Scendono i ricoveri ma aumentano i costi. L’applicazione acritica delle scelte della politica unita alla scarsa attenzione dei Direttori generali precedenti hanno così consentito nel San Camillo Forlanini il raggiungimento di un risultato che abbiamo il dovere di ricordare: nel 2013, ultimo bilancio pubblicato, i costi sostenuti ammontano a 467 milioni di euro e hanno consentito 45.511 ricoveri. La spesa risulta invariata rispetto al 2005, anno in cui però i ricoveri sono stati 66.359. A parità di complessità il costo medio di un ricovero è quindi lievitato da 7.000 a 10.272 euro.
La politica dei tagli non ha prodotto risparmio ma disservizio e spreco di risorse: un fallimento assistenziale e gestionale intollerabile anche in un’azienda pubblica. L’indignazione dei cittadini e degli operatori è più che giustificata.
Le criticità. Nessuno dei presenti in aula ha responsabilità progettuali in questo disastro, gli operatori ne sono vittime, ma siamo tutti complici se non denunciamo i gravissimi errori del passato, non ci dissociamo e non ci battiamo con ogni energia per il cambiamento con un solo obiettivo: ridare assistenza ai cittadini con un costo controllato, spendere meno ma sopratutto spendere meglio.
Il Pronto soccorso, da anni nell’occhio del ciclone, non è un problema ma è la fotografia di un problema risolvibile solo se l’ospedale recupera efficienza con l’assegnazione di risorse alle unità operative e con un intervento mirato sul territorio.
Il blocco del turnover e dei concorsi ha determinato solo gravi disservizi e anomalie: unità operative affidate a direttori “precari”, aggiramento del blocco con l’uso di contratti atipici o ricorso a procedure illegittime come l’assegnazione di borse di studio. Provvedimenti destruenti che hanno determinato un risparmio minimo, apparente e temporaneo. La magistratura del lavoro sta infatti sistematicamente condannando l’azienda a pagare gli incarichi di direttore ad interim conferiti in assenza di concorso e a breve ci sarà probabilmente anche il riconoscimento economico per chi con contratto atipico è stato impiegato con un rapporto subordinato.
E sono sempre più numerosi i ricorsi per il riconoscimento dell’eccedenza oraria non retribuita e per il danno da mancato godimento delle ferie.
Non è forse giusto ma chi dirige oggi, Regione e Direttore Generale, paga la superficialità di chi lo ha preceduto.
Il blocco del turnover è stato un altro fallimento: è giunto il momento di cambiare rotta.
Le richieste. L’Atto aziendale rappresenta il primo passo per il cambiamento.
Chiediamo quindi che sia reso operativo al più presto.
Chiediamo anche che siano assegnati i posti letto, intensivi e non, necessari al ruolo assistenziale che la Regione riconosce al nostro ospedale.
Chiediamo che sia assegnato il personale necessario per le unità operative di degenza e di diagnostica, di tutti i profili professionali.
Chiediamo che nelle Unità operative siano garantite la qualità e la sicurezza dell’assistenza messe in pericolo dall’esiguità del personale e non conciliabili con un lavoro usurante. Non esiste inoltre un limite contrattuale al lavoro notturno del medico, ma se le condizioni di lavoro non cambieranno, se i medici dovranno affrontare ancora più di 70 ore/mese di lavoro notturno nel nostro ospedale partirà un confronto sindacale serrato per l’abolizione di questa criticità.
Oltre alle risorse specifiche per l’ospedale chiediamo anche un intervento mirato sul territorio.
I dati del Ministero della salute, rapporto SDO, dimostrano chiaramente quali sono le criticità nel territorio laziale. Non sono certo quelle che troppe volte abbiamo sentito ripetere da esponenti delle istituzioni che imputano l’ingolfamento degli ospedali ad un eccesso di domanda che è inappropriata per la mancanza di un filtro territoriale.
Contestiamo queste affermazioni non confermate da rilievi obiettivi.
Nella sezione del Rapporto SDO dedicata all’accessibilità e funzionalità dei servizi territoriali si legge che da anni il Lazio è tra le regioni italiane migliori in quanto ad appropriatezza dei ricoveri per tutte le patologie, compresa l’influenza ingiustamente additata come causa principale del caos per la quale la percentuale di ricovero nel Lazio è di 3,2/100.000 abitanti contro una media nazionale di 5,4. Il nostro ospedale, come tutti gli ospedale della regione, soffre perché il territorio laziale non aiuta a ridurre i tempi di degenza accogliendo i pazienti che hanno superato la fase più critica: oggi servono letti di RSA, poi potremo pensare alle Case della salute".
10 aprile 2015
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