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Cgil Medici e Pensionati Cgil: “Medici di famiglia: dipendenza è strada più chiara”

di L.F.

"I Medici di famiglia medici di famiglia sono in difficoltà, si sentono pesci fuor d’acqua, perché isolati senza sostegno della rete e del sistema. Basta slogan, ora riforme vere ma attenzione con la Nadef si tagliano 5 miliardi alla sanità". Pensionati e i medici del sindacato chiedono una riforma condivisa dell’assistenza sanitaria e denunciano un definanziamento per la sanità nei prossimi anni. “I nuovi modelli non si accontentano di slogan, ma richiedono un ripensamento vero, a partire dalle prassi professionali e dal lavoro”

06 OTT - “L’assistenza sanitaria si costruisce insieme”. È questo l’assunto da cui partono Lo SPI Cgil e la Fp Cgil Medici e Dirigenti SSN che per il 7 ottobre hanno organizzato una giornata dedicata al confronto sui temi caldi della sanità a partire dal Pnrr e dalla riforma della medicina del territorio.
 
"Lo Spi Cgil è un’organizzazione sindacale che rappresenta milioni di iscritti che appartengono alle generazioni più anziane del paese" dice Antonella Pezzullo Segretaria Nazionale Spi-Cgil. "E tuttavia crede che oggi non è solo questione di invocare il protagonismo dei cittadini, che pure hanno necessità di essere ascoltati e di partecipare a decisioni fondamentali in termini di diritti" spiega Pezzullo.
 
"Noi rappresentiamo una generazione che interroga in modo sostanziale il SSN – rimarca -, avendo partecipato decenni fa alla sua costruzione, e conoscendone dunque profondamente il valore politico e sociale. Questa generazione sa bene anche di essere al centro, e protagonista, di un potente cambiamento, demografico innanzitutto, ma nondimeno culturale" ma per lo Spi Cgil
"a questo mutamento si risponde con cambiamenti veri, sostanziali, non di facciata. Si tratta di risposte nuove a bisogni nuovi, e a cittadini nuovi, più consapevoli e più informati. Non comprenderlo significa moltiplicare inefficacia, iniquità, insostenibilità”.
 
“Gli anziani – spiega la sindacalista - di questo paese sono tra i più longevi del mondo e l’Italia invecchia a ritmi sostenuti.  Eppure i servizi dedicati alle malattie croniche, come al grande tema della non autosufficienza, sono tra i peggiori d’Europa. La pandemia ha mostrato quali possono essere i costi in termini di vite umane se le organizzazioni sanitarie non adegueranno i loro modelli e i paradigmi che ad essi sottostanno. E i nuovi modelli non si accontentano di slogan, ma richiedono un ripensamento vero, a partire dalle prassi professionali e dal lavoro, perché prassi e lavoro trasformano in servizi tangibili i diritti”.
 
“Per noi mettere al centro le persone, per costruire intorno alle persone le risposte adeguate ad una domanda di salute sempre più complessa, significa cominciare dal far dialogare cittadini e operatori, perché è solo da questa relazione tra punti di vista diversi che può nascere la risposta coraggiosa che questo cambiamento richiede" conclude la segretaria dello Spi.
 
Resta il fatto che ad oggi sul tavolo vi sono, da un lato la proposta di Dm 71 elaborata da Agenas e Ministero della Salute che ridisegna l’assistenza territoriale e dall’altro il documento delle Regioni per rivedere il rapporto tra i medici di famiglia e il Ssn.
 
“L’impianto proposto da Agenas è una buona mappa di servizi, ma manca la sostanza, non si affronta con coraggio il tema del personale in termini di fabbisogno, di organizzazione e di rapporti di lavoro, in effetti oggi sono palesi le resistenze al cambiamento espresse da interessi corporativi", sottolinea il segretario della Fp Cgil Medici, Andrea Filippi che ribadisce come il vero punto debole dell'assistenza territoriale sia la medicina generale al di là della “diatriba tra convenzione e dipendenza”. “Prima – sottolinea - occorre capire cosa serve al cittadino e cosa chiede il cittadino. I professionisti tutti sono disponibili al cambiamento per il bene dei cittadini, le resistenze sono di chi li ha rappresentati in questi anni" e spiega "La presa in carico dei cittadini dev’essere fiduciaria ma multiprofessionale non gestita dal singolo né tantomeno dal privato”.
 
 In quest’ottica Filippi giudica positivamente le Case della Comunità ma precisa: “Bisogna costruire dei servizi polifunzionali in cui tutto il personale abbia lo stesso datore di lavoro e la stessa organizzazione e poi valutare bene se esse rispondono realmente alle esigenza del cittadino di avere un rapporto fiduciario con il servizio e con l'equipe multiprofessionale in cui opera anche il medico”. 
 
E poi la stoccata: “I medici di famiglia, al contrario sono in difficoltà, si sentono pesci fuor d’acqua, perché isolati senza sostegno della rete e del sistema, sono costretti ad operare nei loro acquari, oberati di richieste, ma dove non riescono a sostenere la complessità ed a promuovere salute come vorrebbero”. Per questo Filippi propone che vi sia una chiara “identificazione di un sistema di rete interprofessionale sociosanitaria e di un datore di lavoro che dev’essere lo stesso per tutti e che dia a tutti i mezzi, i luoghi e l'organizzazione per lavorare bene, perché le disuguaglianze che abbiamo oggi generano disorganizzazione oltre che sacche di privilegio o mortificazione anche dei diritti dei cittadini”.
 
Ed ecco che torniamo alla dipendenza. “Per noi – spiega – è la strada più chiara. Anche una convenzione più stringente rischia di creare individualismi che possono sfociare in un rapporto privatistico che crea frammentazione. E poi nella nostra ipotesi voglio precisare che il medico dipendente è anche dirigente cui viene riconosciuta l'autonomia professionalità nella trasversalità e nella contaminazione delle competenze”.
 
In questo contesto s’inserisce poi il problema della formazione dei medici di famiglia, ma non solo “se vogliamo l'equiparazione anche economica dei corsi di formazione alle scuole di specializzazione è indispensabile muoversi nel solco delle norme che prevedono gli accreditamenti universitari del Mur, pur allargando la rete formativa ai servizi territoriali, dobbiamo superare la formazione "fatta in casa", senza criteri e senza standard delle Regioni".
 
Ma se questo è il modello i due esponenti della Cgil denunciano come tutto rischia di essere vanificato da quanto riportato nella Nadef 2021. “La discussione sul Pnrr rischia di essere un’arma di distrazione di massa. In termini assoluti nei prossimi 2 anni ci sarà un taglio di 5 mld sulla sanità”.
 
“Un fatto gravissimo – evidenziano Pezzullo e Filippi – perché servono risorse sul Fondo ordinario per le assunzioni dopo i tagli dell’ultimo decennio e per il fatto che nei prossimi 3 anni ci saranno moltissimi pensionamenti. Sono state finanziate molte borse di specializzazione in più ma tra qualche anno rischiamo di passare dall’imbuto formativo a quello lavorativo con il serio pericolo di aver speso milioni di euro per formare giovani medici che poi saranno attratti dalle sirene del privato e dell’estero”.
 
L.F.

06 ottobre 2021
© Riproduzione riservata

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