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Accesso alle cure. “Subito un piano nazionale cardiovascolare”. La richiesta dei cardiologi interventisti del Gise


Grazie a terapie non invasive come la Tavi risparmi per 13 milioni euro/l’anno evitando 52mila giornate di degenza per gli over 75. Il Presidente del Gise Tarantini: “Pronti a collaborare con le Istituzione per affrontare le sfide che ci attendono e migliorare l’assistenza in parte compromessa dal Covid”

05 OTT - Garantire a tutti i pazienti standard di cura elevati attraverso l’Istituzione e il finanziamento di un Piano Nazionale Cardiovascolare. In questo modo sarà possibile assicurare la continuità di cura, la presa in carico del paziente cronico, un monitoraggio costante degli esiti e soprattutto ridurre i tempi d’attesa. L’obiettivo finale non più procrastinabile è riorganizzare la cardiologia italiana mettendola nelle condizioni di poter affrontare le prossime difficili sfide, a cominciare dai numerosi interventi da eseguire dopo le interruzioni imposte dalla pandemia.
 
È questa la richiesta avanzata, alle Istituzioni regionali e nazionali, dalla Società Italiana di Cardiologia Interventistica (Gise) che in questi giorni tiene a Milano il suo 42° Congresso Nazionale. “Il Coronavirus ha evidenziato alcuni limiti sui livelli d’assistenza dei pazienti – sottolinea Giuseppe Tarantini, Presidente Nazionale del Gise – nel 2019, quindi prima dell’esplosione della pandemia, solo un malato su sette aveva accesso agli standard di cura in cardiologia interventistica. L’emergenza sanitaria, iniziata nel marzo del 2020, ha ulteriormente complicato la situazione. Come Società Scientifica crediamo fermamente che questa sfida possa essere affrontata solo con una partnership strategica e operativa tra clinici e Istituzioni. Se vogliamo garantire un adeguato e tempestivo accesso alle cure, durante e dopo la crisi del Covid-19, bisogna innanzitutto puntare su tecnologia e innovazione. Sono investimenti imprescindibili e bisogna invece abbandonare la logica del controllo della spesa favorendo canali di finanziamento di percorsi virtuosi e sostenibili nel lungo periodo”.
 
In particolare Gise sostiene la necessità del ricorso a terapie non invase come la Tavi (Transcatheter Aortic Valve Implantation). “Viene utilizzata per la gestione della stenosi valvolare aortica, la valvulopatia più comune in Italia e in Europa – spiega Giovanni Esposito, Presidente Eletto Gise – grazie a questo impianto transcatetere, inserito dall’inguine, riusciamo a sostituire la valvola aortica in circa 45 minuti senza dover aprire lo sterno del paziente ed evitando così cicatrici e anestesia totale. Di recente le nuove linee guida della Società Europea di Cardiologia hanno ampliato lo spettro di persone che possono essere sottoposte al trattamento. Sono stati inclusi anche gli over 75 e si tratta di un’ottima notizia dal momento che sono proprio questa categoria d’anziani la più esposta ai pericoli della malattia”.

Proprio al congresso Gise viene presentato uno studio che quantifica in termini economici l’ampliamento del ricorso al trattamento. È risultato che il ricorso alla Tavi nel 90% dei pazienti italiani over 75 consentirebbe un risparmio di 52mila giornate di degenza e riabilitazione in ospedale per un totale di 13 milioni di euro l’anno. “Avremmo inoltre una riduzione di 14mila giornate di ricovero per acuti e quindi potremmo trattare nei nostri reparti mille pazienti in più all’anno – aggiunge Tarantini -. Anche con riferimento alla riparazione mininvasiva della valvola mitrale il Gise denuncia il sotto trattamento per i pazienti. Meno di mille pazienti hanno avuto accesso in Italia alla terapia di riparazione mininvasiva della valvola mitrale e l’Italia, considerando i dati epidemiologici, è molto indietro rispetto agli altri Paesi”.
Per Tarantini è necessario ottimizzare con il territorio l’individuazione del unmet need del paziente e del trattamento più appropriato per quel paziente; di conseguenza, occorrerà programmare e riorganizzare la rete di offerta sanitaria. “Non trattare il paziente – aggiunge – non significa risparmiare e non occupare gli ospedali, anzi, è esattamente il contrario. Programmare e indirizzare gli investimenti tecnologici, umani e strutturali secondo un’analisi del fabbisogno epidemiologico, del unmet need del paziente avendo un Heart Team che garantisca l’appropriatezza delle cure per il trattamento delle malattie delle valvole aortica, mitrale e tricuspide è invece la proposta del Gise per vincere la sfida delle malattie cardiache strutturali. È un dato davvero rilevante soprattutto se consideriamo la necessità di recuperare gli interventi che non siamo riusciti ad eseguire a causa del Covid-19”.
 
“Nel 2020 abbiamo avuto un +30% di decessi per problemi cardiaci fuori dagli ospedali rispetto agli anni precedenti – prosegue Alfredo Marchese, presidente della Fondazione Gise – abbiamo inoltre registrato una riduzione del 20% delle attività dei laboratori di emodinamica. Per la Tavi e altre procedure interventistiche cardiovascolari, quali la riparazione mininvasiva della valvola mitrale e la chiusura percutanea dell’auricola sinistra del cuore nei pazienti con fibrillazione atriale non trattabili farmacologicamente, restano numerosi ostacoli clinici, organizzativi e finanziari che rischiano di penalizzare fortemente i pazienti. Come Società Scientifica siamo pronti a collaborare per la stesura e applicazione del Piano Nazionale Cardiovascolare. Vogliamo condivide i dati, monitorare gli esiti e avanzare proposte operative per valutare investimenti in sanità che garantiscano una migliore assistenza diagnostico-terapeutica e l’ottimizzazione di risorse umane e tecnologiche”.
 
Il 42° Congresso Nazionale Gise si svolge in forma ibrida e vede la partecipazione di oltre 1.500 Specialisti in presenza da tutta Italia e attesi 500 delegati collegati da remoto. Per quattro giorni si alterneranno oltre 500 relatori. “Le patologie cardiovascolari sono ancora la principale causa di morte nel nostro Paese, sia negli uomini che nelle donne – conclude Tarantini -. Determinano ogni anno oltre 220mila decessi e sono state tra le principali comorbidità osservate nel 65% dei pazienti che hanno perso la vita a causa del Covid-19. Nel caso di utilizzo di trattamenti non invasivi al fine di ottenere una migliore assistenza è fondamentale il ruolo dell’Heart Team che deve essere formato da diversi specialisti medici. L’approccio multidisciplinare assicura una più appropriata scelta terapeutica per ogni singolo paziente ed evita il ricorso ad interventi futili. È fondamentale infine il ruolo della cardiologia extra-ospedaliera territoriale, che deve svolgere compiti di sorveglianza clinica attiva sulla popolazione generale. Questa può avvenire anche utilizzando i moderni strumenti della telemedicina che favoriscono la possibilità di interazione costante fra ospedale e territorio”.

05 ottobre 2021
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