Nuova assistenza territoriale. “Il Direttore di Distretto figura centrale”. Intervista a Gennaro Volpe, Presidente Card
di E.M.
Per il presidente della Confederazione Associazioni Regionali di Distretto “il rilancio del Distretto passa attraverso la predisposizione di una formazione specifica e la definizione di requisiti per l’accesso al ruolo di Direttore di Distretto”. Figure strategiche nell’ambito della futura riforma dell’assistenza territoriale e con grandi responsabilità, dalla gestione delle risorse all’offerta di grandi volumi di attività e prestazioni, ma soprattutto al raggiungimento degli esiti
21 LUG - La riforma dell’assistenza territoriale passa anche attraverso un Distretto rinnovato e forte, che sempre più dovrà diventare un punto di riferimento strategico nella gestione dell’assistenza. E proprio alla luce di questo giro di boa diventa ineludibile il tema della direzione del Distretto. Il binomio “Nuovo Distretto-nuovo Direttore di Distretto”, come spiega in questa intervista
Gennaro Volpe, presidente della Confederazione Associazioni Regionali di Distretto (CARD), diventa appunto inscindibile e i due aspetti vanno affrontati contestualmente. Tante le idee in campo, come la creazione una sorta di albo nazionale di Direttori “idonei” in cui questi manager accreditati possano essere” facilmente identificabili, con elevate garanzie di qualità”. Certo serve una formazione ad hoc e la definizione di requisiti per l’accesso al ruolo di Direttore di Distretto.
Dottor Volpe, nella recente audizione al Senato lei ha insistito sulla necessità di valorizzare la figura del Direttore di Distretto e di istituire nuovi percorsi formativi specifici per chi vorrà assumere questo ruolo e funzione. Ci spiega il perché?
E’ vero. Ed oggi si aggiungono i contenuti della bozza di riforma dell’assistenza territoriale, ottimamente preparata da Agenas e presentata alla Cabina di regia per il Patto per la Salute, per comprendere il motivo per cui Card sottolinea con forza la necessità del binomio “nuovo Distretto-nuovo Direttore di Distretto”. Due aspetti che vanno affrontati contestualmente. Da questo documento, riassunto egregiamente su
Quotidiano Sanità, emerge con chiarezza come in ogni nuovo Distretto dovranno coesistere le Case della Comunità (3-4 per ogni Distretto); il coordinamento dei Mmg, Pls, medici della continuità; le Usca, l’Ospedale di Comunità e l’hospice; i servizi di cure domiciliari, e la centrale operativa territoriale. E poi gli infermieri di comunità; il consultorio familiare, ed altro ancora, tra cui il raccordo con il Dipartimento di Prevenzione, i servizi di salute mentale. Emerge inoltre che il Distretto dovrà adottare programmi di uso della telemedicina e dell’e-health. Finalmente, i Distretti potranno contare su adeguate risorse, finora spesso assenti o inadeguate. Ecco, alla luce di questa realtà molto complessa è chiaro che il tema della direzione del Distretto diventi ineludibile. Ci sono poi alcuni aspetti cruciali da considerare.
Quali?
Il Direttore di Distretto ha la responsabilità della gestione di importanti risorse, dell’offerta di grandi volumi di attività e prestazioni, ma soprattutto degli esiti, ovvero dare risposte complesse ai bisogni complessi di una moltitudine di persone e famiglie, che sono molto ben descritti nel documento (sei livelli). Deve occuparsi di LEA, quindi di diritti. Deve relazionarsi con i Sindaci, le Municipalità. Ricordo che sono ottomila i Comuni italiani, a fronte di circa seicento Distretti. Quindi il Direttore dovrà realizzare e mantenere alti livelli di integrazione sociosanitaria, e creare reti di attenzioni primarie della salute con il terzo settore, le associazioni, il volontariato. Questo richiede una formazione specifica.
Quindi nella visione Card il Direttore di Distretto deve saper offrire risposte adeguate e possedere, oltre a elevate qualità tecnico-professionali, sensibilità ed attenzione ai bisogni?
È proprio così. Il Direttore di Distretto ideale dovrebbe “sapere, saper fare, saper essere”. Essere formato in questa classica triade. Del resto, questo si riscontra nei Direttori di Distretti “veri” (ovvero già in linea con i contenuti della bozza del documento di cui parliamo), che hanno spesso provveduto volontariamente a qualificarsi per imparare a correlare risorse disponibili e obiettivi nel budget di distretto, leggere il bisogno di salute della popolazione residente, servirsi delle mappature epidemiologiche, evitare l’istituzionalizzazione con cure domiciliari multidimensionali. Servono “soft skills”, che non sono meno importanti delle “hard skills” tecniche, concetto traducibile, dal punto di vista degli utenti, nella capacità di ascolto, comprensione empatica, vicinanza efficace. Ora serve moltiplicare questi professionisti con queste qualità, progettarne quindi una formazione e preparazione per un migliaio di essi (ripeto: 600 direttori ora, più i rincalzi per gli anni a seguire), da inserire in modo uniforme nel Paese, per diffondere “buone cure primarie”. Se servono 600 “buoni nuovi” Distretti, serviranno altrettanti “bravi nuovi” Direttori.
E’ possibile ipotizzare il numero degli operatori di cui sarà responsabile il Direttore di questo nuovo Distretto?
Una stima è facile: già oggi lavorano almeno 150 medici convenzionati ogni 100mila abitanti, tra Mmg, Pls, Mca e specialisti convenzionati (Sumai). In molti territori inoltre i Mmg operano in modo aggregato (Aft, Uccp), rendendo ancora più complessa la gestione di questo segmento di attività. Va tenuto poi conto che in un Distretto di 100mila abitanti dovremo avere almeno 40 infermieri di comunità, cui si aggiungono quelli delle Case di Comunità, delle cure domiciliari, dell’Ospedale di Comunità e dell’hospice. In totale, quindi, tra infermieri, medici, psicologi, fisioterapisti, ostetriche, assistenti sociali ed altri ancora – mi scuso se dimentico qualcuno - un Direttore dovrà gestire un gruppo multiprofessionale di 150-200 professionisti, condurre una loro formazione sul campo. A fronte di questi, teniamo conto che la platea delle persone da prendere in carico in un tale Distretto ha un ordine di grandezza di circa 15mila soggetti, tenendo conto di chi è affetto da malattie croniche, del 10% dei soggetti in ADI (obiettivo del Pnrr).
Avete parlato di costituire un Albo dei Direttori di Distretto: su quali requisiti ?
Oltre al superamento del percorso formativo, per l’accesso alla Direzione di Distretto pensiamo siano necessari requisiti curriculari, ad esempio una specializzazione pertinente a questo lavoro territoriale, una soglia di anzianità di servizio nei servizi territoriali, direi almeno cinque anni. Tutto questo dovrebbe portare ad allestire una sorta di albo nazionale di “idonei” in cui questi manager accreditati possano essere facilmente identificabili, con elevate garanzie di qualità.
Si potrà arrivare davvero a costruire una nuova figura professionale così strutturata?
Penso che l’obiettivo possa essere realisticamente raggiunto se saranno chiari i compiti del Distretto e le sue funzioni, ferma restando la necessità che nel nuovo Distretto accanto al Direttore ci siano altri dirigenti e coordinatori esperti. Inevitabilmente in questo “Distretto post-Pnrr” dovranno esistere Strutture Complesse e Strutture Semplici tematiche, funzioni di Coordinamento e Posizioni Organizzative. Questo middle management dovrà essere coerente con le nuove visioni e, soprattutto, prassi, con un ruolo interposto fra il top management della Direzione Aziendale ed il livello operativo.
Criticità?
Il problema sarà rendere omogenea l’architettura organizzativa-gestionale del Distretto ed i compiti richiesti al suo Direttore in tutte le Regioni ed Aziende Sanitarie che, non dimentichiamolo, restano sovrane nelle decisioni e scelte finali. Sfruttiamo la grande opportunità delle risorse destinate alla formazione manageriale del Pnrr.
Ultima domanda: riesce ad immaginare quale potrebbe essere un programma e un percorso di formazione per Direttori di Distretto così identificati?
Non è semplice, ci sono gli esperti del settore. Io non voglio né improvvisare né semplificare. Penso comunque che CARD, anche attraverso il suo Centro Studi, possa apportare un grande contributo di idee, di cultura e di esperienze ultradecennali, oltre che di persone di provata esperienza. Vorrei aggiungere che le esperienze dei Distretti-CARD mi inducono ad affermare che un valido Direttore di Distretto si distingue anche perché sa motivare, stimolare all’innovazione. Occorre pensare a come si può trasmettere questo valore.
Quando prima parlavo di un albo nazionale, garanzia di professionisti con “giusta” preparazione, competenza, capacità, pensavo al risultato di “Direttori di Distretto accreditati”, ovvero, nella metafora dell’accreditamento, in possesso di requisiti strutturali ed organizzativi, ad esempio riferiti all’anzianità specifica nel lavoro territoriale, a provata esperienza nella gestione di risorse, in primis umane, di integrazione multiprofessionale, ed anche di innovazione, di capacità di valutazione dei risultati. Il tutto nella cornice della consapevolezza che il collante deve essere la competenza nella Primary Health Care, grande assente nel nostro Ssn, di cui il Distretto deve esserne primo interprete.
E.M.
21 luglio 2021
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