Carenza medici. Federspecializzandi, Sigm e Cosmeu alle Regioni: “Confronto serio o pronti a mobilitazione”
Il documento delle regioni presenta alcuni punti positivi, sicuramente di grande utilità, e altri vaghi o totalmente irricevibili. L’unico obiettivo sembra quello di voler tagliare, ridurre e sminuire i percorsi di specializzazione, aprendo le porte ad un far-west formativo al fine di tappare i buchi nei reparti. Soluzioni costruite con mera logica economicista, che non tengono in conto della realtà. Serve una riforma radicale del sistema della formazion e che metta al centro l’acquisizione delle competenze dei medici e valorizzi davvero la loro progressiva autonomia.
05 OTT - Come anticipato nei giorni scorsi, è stato presentato un
documento con le proposte delle Regioni per risolvere la carenza di medici specialisti. Essendo il testo articolato, le nostre quattro realtà associative hanno deciso di analizzarlo nel dettaglio, fornendo una nostra lettura critica e condivisa di ogni punto presentato, con l’auspicio possa contribuire a trovare soluzioni nel reale interesse del sistema della formazione e della stabilizzazione del personale sanitario.
1. Adozione di una disposizione legislativa (e previsione contrattuale) per consentire l’accesso al SSN dei medici privi di diploma di specializzazione, garantendo agli stessi la possibilità di conseguire un titolo di specializzazione.
Tale misura, presentata come “la più efficace, e potenzialmente più tempestiva, azione per superare l’attuale situazione di carenza”, rappresenta a nostro avviso la proposta invece più critica e dequalificante.
Dopo anni di interventi finalizzati ad un miglioramento della formazione specialistica, si prevede che i medici anche senza specializzazione possano accedere ai Servizi Sanitari Regionali, “per lo svolgimento di funzioni adeguate alle competenze possedute”.
Si specifica poi che “la Regione potrà anche organizzare o riconoscere percorsi formativi dedicati all’acquisizione di competenze teorico-pratiche negli ambiti di potenziale impiego”, ma non viene data alcuna certezza a riguardo.
Nel testo si specifica che il medico assunto verrà inserito in soprannumero nelle Scuole di Specializzazione ma non si comprende né se ciò possa avvenire senza il superamento del concorso di accesso al concorso nazionale, né come possa conciliarsi con gli eventuali corsi regionali.
In aggiunta, non viene per nulla chiarito quale sarebbe l’effettiva retribuzione per coloro che potrebbero essere assunti tramite alle sopra menzionate condizioni.
Di fatto, con una deroga sostanziale all’art.15 del D.Lgs. n.502/1992 che prevede la necessità di accedere al SSN tramite il diploma di specializzazione, si certifica una dequalificazione del percorso formativo con una miope sanatoria.
Con una simile scappatoia, ci chiediamo dunque con quale interesse i giovani neo-abilitati saranno spinti a tentare l’accesso ad un concorso selettivo e a intraprendere un percorso di formazione di diversi anni per diventare professionisti più preparati.
2. Modifica della disciplina concorsuale.
Su questo punto non ci sono controindicazioni.
3. Modifica norma utilizzo graduatorie.
Questo punto ci trova in sostanziale accordo, e potrebbe aiutare a immettere nuovi specialisti nel SSN senza dover moltiplicare inutilmente le procedure concorsuali.
4. Modifica delle disposizioni inerenti il collocamento a riposo.
Di per sé, concedere la possibilità di rimanere in servizio fino a 70 anni su base volontaria, compatibilmente con lo stato di salute e previa valutazione aziendale non rappresenta una soluzione irricevibile.
Molti professionisti al termine del loro percorso lavorativo già oggi continuano a fornire prestazioni in regime libero-professionale e in un’ottica puramente emergenziale la loro esperienza potrebbe essere rimessa a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale.
Per essere attuata devono però essere previsti dei vincoli orari e turnazioni ben delimitate, oltre che una giusta retribuzione, in modo che i professionisti vadano a supportare i reparti in difficoltà, di cui hanno già esperienza, senza tuttavia farsene carico completo.
Ovviamente una simile soluzione rappresenta deve essere attuata solo ed esclusivamente in seguito all’impossibilità di reperire specialisti tramite concorsi pubblici a tempo indeterminato e in parallelo all’aumento dei contratti di formazione specialistica.
5. Adozione di una disposizione legislativa che consenta, entro precisi limiti, il conferimento di incarichi libero professionali al fine di garantire l’erogazione dei LEA ed evitare l’interruzione di servizio pubblico.
Si tratta di una proposta accettabile per i medici specialisti, che consentirebbe loro, anche tramite un sistema di equipollenze, di coprire parte delle attività tramite contratti ad hoc. Ovviamente devono essere stabilite delle specifiche pre-condizioni e dei limiti nel periodo di applicazione della norma, per evitare collaterali blocchi nel bando di nuovi concorsi; al contempo deve essere definita una remunerazione dei professionisti adeguata e capace di incentivare tali incarichi, anche di natura straordinaria.
Non è accettabile questa proposta per i medici non specialisti, che già oggi sono assunti con contratti precari e dequalificanti. Per queste figure occorre identificare misure apposite che contemplino l’ingresso nei percorsi di formazione specialistica.
6. Piena attuazione dell’art.1, comma 548-bis della legge 145/2018 (assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato degli specializzandi).
Come già definito in più occasioni per il DL Calabria, la possibilità di assunzione a tempo determinato dello specializzando rischia di scaricare responsabilità non adeguate sulle spalle di professionisti ancora in formazione.
Il ruolo dello specializzando in nessun caso deve diventare sostitutivo del personale di ruolo e modifiche in tal senso rischiano inevitabilmente di andare in questo senso.
C’è infatti la concreta possibilità che in assenza di un chiaro profilo giuridico dello specializzando i rischi professionali siano sproporzionati sia all’effettiva formazione che alla retribuzione, con possibili conseguenze sul medico in formazione e sul paziente.
7. Ruolo del SSR nella formazione del medico specializzando.
Non si comprende il motivo di una simile proposta: se le Regioni vogliono aumentare il numero di specializzandi, possono già finanziare contratti regionali, inquadrati nell’attuale modello standard a livello nazionale.
Di fatto, si tratta dell’ennesimo tentativo di istituzione di un vero e proprio percorso formativo parallelo su base regionale, peraltro con modalità di accesso locali, svincolate dal concorso nazionale.
Tale proposta darebbe il via ad una frammentazione della formazione medica specialistica, aumentando senza controllo le già forti disomogeneità presenti su tutto il territorio e creando percorsi di serie A e serie B.
Proposta decisamente irricevibile.
8. Revisione del corso regionale di formazione specifica in medicina generale.
Esprimiamo la nostra soddisfazione per il fatto che le Regioni abbiano finalmente riconosciuto questa necessità.
Il Corso di Formazione in Medicina Generale non va revisionato ma va riformato radicalmente. Da 25 anni aspettiamo un curriculum, obiettivi formativi, reali possibilità di una formazione a autonomia e responsabilità crescente e tutorata. Se lo scopo vuole essere quello di sostituire l’attuale massa professionale in via di pensionamento allora basta aumentare il numero delle borse attuali. Noi riteniamo tuttavia che sia giunto il momento di guardare a lungo termine, di essere coraggiosi e radicali.
Il numero dei medici necessari in Medicina Generale può essere anche diverso da quello attuale ed è necessario investire risorse nella creazione di team e nella evoluzione delle cure primarie, senza cadere in mere questioni di risparmio o corporativismo. Come già chiesto in diverse occasioni istituzionali è il momento che la politica convochi una conferenza nazionale sulle cure primarie e che guardi alle attuali raccomandazioni ed esperienze positive prodotte in Italia ed all’estero.
Se per la medicina clinica vogliamo affidarci alle evidenze cliniche, per la programmazione e l’organizzazione possiamo e dobbiamo fare lo stesso.
9. Risorse aggiuntive per la valorizzazione delle professionalità del SSN.
Questa proposta va nella direzione richiesta da tempo di aumentare le risorse, migliorare le condizioni e le indennità lavorative per tutto il personale sanitario al fine di rendere attrattivi i percorsi professionali all’interno del SSN.
Tuttavia, per evitare un inasprimento delle già critiche disuguaglianze regionali, è necessario che tali le condizioni si applichino in maniera uniforme sul territorio nazionale.
10 Adozione di una disposizione legislativa (e previsione contrattuale) per consentire ai medici dipendenti l’effettuazione di prestazioni aggiuntive ulteriori rispetto a quelle previste dall’art.55, comma 2 del CCNL 8 giugno 2000.
Ogni deroga all’orario di lavoro comporta un sovraccarico per il professionista e un aumento del rischio di burnout con possibili ripercussioni sul piano clinico nei confronti del paziente.
La qualità del lavoro di ogni professionista passa anche dalla possibilità di avere spazi adeguati perla dimensione personale e/o famigliare a cui non si deve chiedere di rinunciare.
Interventi di questo tipo devono quindi essere necessariamente di carattere straordinario, adeguatamente retribuiti e con vincoli temporali ben precisi, nel rispetto della normativa sullo smonto.
Per quanto tollerabili in condizioni emergenziali, deroghe simili, se non controbilanciate da un ripensamento dell’impianto lavorativo, delle prospettive offerte ai professionisti e di un piano di assunzioni sistematico, rischiano infatti di avere sul lungo periodo effetti deleteri e controproducenti e pertanto vanno valutate con estrema cautela.
11. Determinazione del fabbisogno di personale per il SSR e 12. Determinazione del fabbisogno formativo per il SSR.
Pur rimanendo su un piano puramente teorico, le proposte mirano all’avvio di un condivisibile processo di ridefinizione delle modalità di programmazione del personale all’interno dei SSR. Occorre ovviamente meglio comprendere in che termini potranno essere attualizzate: la programmazione, ci teniamo a sottolineare, non è solo numerica ma è anche previsione dell’evoluzione dei servizi. Quali professionisti serviranno di più, quali di meno?
A questi interrogativi si deve rispondere con un progetto solido che tenga in considerazione il fatto che il rafforzamento delle cure primarie potrà modificare i profili lavorativi dei medici e di altri professionisti sanitari.
13. Revisione del percorso formativo per il conseguimento della laurea in medicina e chirurgia e del diploma di specializzazione.
Tale punto propone interventi sull’intero percorso formativo del medico, applicando tuttavia una la logica di mero taglio dei tempi e di recupero delle risorse, senza alcuna considerazione sulle possibili implicazioni formative.
Se da un lato è condivisibile la necessità di introdurre una laurea abilitante al termine del corso di medicina e chirurgia e di revisionare i curricula formativi delle scuole di specializzazione, dall’altro meno si comprende il bisogno di ridurre ulteriormente la durata di alcune Scuole. Già nel 2015 si è adottata una simile strategia, accorciando di un anno tutti i percorsi e non sono stati ottenuti i risultati di risparmio sperati. Le risorse ricavate sono state insufficienti rispetto alle reali esigenze e l’imbuto formativo ha continuato ad allargarsi.
Ora il rischio è di avere, per esempio, Scuole di otorinolaringoiatria di 3 anni.
I chirurghi devono avere “ore di bisturi alle spalle”, devono fare più esperienza possibile, non essere catapultati fuori dal percorso formativo in fretta e furia.
14. Valorizzazione del ruolo del medico specializzando.
Questo punto rimane su un piano vago, ma introduce alcune proposte positive.
In primo luogo si sottolinea che lo specializzando, a legislazione vigente, può svolgere con progressiva attribuzione di autonomia e responsabilità, specifici compiti che gli sono stati affidati tenendo conto degli indirizzi e delle valutazioni espressi dal Consiglio della scuola.
Si specifica inoltre che “tale strutturazione dovrebbe portare alla previsione di più specifici obiettivi formativi e di sistemi di valutazione del loro raggiungimento”: una condizione imprescindibile per superare l’attuale modello di piani formativi, totalmente inadeguato per riuscire concretamente a determinare i livelli di autonomia e l’acquisizione delle competenze.
Si prevede poi che “senza introdurre nuove forme contrattuali ed utilizzando le norme che già permettono allo specializzando di effettuare attività libero professionale (oltre che la sostituzione di guardia medica e medicina generale), potrà essere previsto che gli specializzandi possano fornire prestazioni temporalmente limitate, congruenti rispetto alle competenze possedute e adeguatamente retribuite extra orario formativo.”
Si tratterebbe di una soluzione temporanea che permetterebbe di dare spazio agli specializzandi con vincoli ben definiti e congrua remunerazione, ma che non deve assolutamente far correre loro il rischio di essere bloccati unicamente nello svolgimento quelle mansioni determinate dalle competenze acquisite, senza la possibilità poi di completare il proprio piano formativo.
Come più volte affermato, per fare ciò è necessaria una completa revisione dei piani formativi con la definizione di ambiti chiari e ben precisi sulle specifiche competenze da acquisire.
Inoltre, occorre ribadire che gli specializzandi già erogano prestazioni assistenziali contribuendo ad alleggerire il carico dei reparti e una semplice turnazione più adeguata nella rete formativa permetterebbe di dare un contributo significativo alle strutture più in difficoltà. Infine, si sottolinea l’importanza dei controlli sulle rotazioni nelle reti formative e dell’assimilazione dei medici specializzandi al personale dipendente per quanto riguarda la copertura assicurativa per la tutela legale, entrambi punti che ci trovano favorevoli, eccezion fatta per l’indicazione di una frequenza del 50% al di fuori della rete ospedaliera. In quest’ultimo caso non si capisce su quali basi sia stato definito tale valore arbitrario, che dovrebbe essere invece ponderato sulle reali esigenze formative degli specializzandi.
15. Valorizzazione e sviluppo delle professioni sanitarie ex legge 43/2006.
Questa proposta mira a valorizzare il ruolo e lo sviluppo delle professioni sanitarie. Si tratta di un punto valido nel merito, volto alla promozione del task-shifting.
Dal livello generico però chiediamo che si inizi concretamente ad entrare nello specifico: la formazione deve diventare multiprofessionale e multidisciplinare, così come i servizi.
Si tratta di un passaggio prima di tutto culturale che richiede tempo, ma che ha l’obiettivo di abbattere i compartimenti stagni tra le professioni e di sviluppare competenze al servizio dell’intero SSN.
16. Adozione di una disposizione legislativa per derogare all’orario settimanale di lavoro.
Come già indicato per il punto 10, ogni deroga all’orario di lavoro comporta rischi concreti. Devono essere valutate come extrema ratio, con opportune retribuzioni e vincoli temporali ben precisi.
Conclusioni
Il documento delle regioni presenta alcuni punti positivi, sicuramente di grande utilità, e altri vaghi o totalmente irricevibili.
Questi ultimi, in particolare, sono quelli che riguardano la sfera della formazione, sulla quale mancano completamente riflessioni di natura qualitativa.
L’unico obiettivo sembra quello di voler tagliare, ridurre e sminuire i percorsi di specializzazione, aprendo le porte ad un far-west formativo al fine di tappare i buchi nei reparti.
Soluzioni costruite con mera logica economicista, che non tengono in conto della realtà.
Non ha senso, ad esempio, dire che “gli specializzandi potranno entrare in corsia”: il problema, semmai, è che spesso lo sono più del dovuto, svolgendo mansioni che non sono per niente formative, abbandonati a loro stessi dai tutor, universitari, territoriali e ospedalieri.
Gli specializzandi, poi, già devono ruotare nelle reti formative: nelle realtà in cui ciò non avviene bisogna intervenire, sanzionando o chiudendo le Scuole che non rispettano le normative vigenti.
Infine, effettuare una distinzione tra lezioni teoriche, da svolgere in università, e attività pratiche da svolgersi in ospedale significa avere una visione completamente banalizzata e distorta, se non strumentale, dei processi formativi: teoria e pratica vanno di pari passo e devono essere svolte in tutti i setting formativi ad alto livello. Uno specializzando non può fare pratica in un reparto universitario? Uno specializzando non può svolgere ottime lezioni in strutture ospedaliere e territoriali? Come è pensabile di dividere separare gli ambiti così nettamente quando tutto il mondo chiede capacità di integrazione?
Spiace quindi notare come alcune realtà che pur dovrebbero tutelare i professionisti di oggi e domani diano invece il loro avallo a proposte insensate sul piano formativo che scaricano sui medici in formazione, che hanno meno potere contrattuale e che sono meno preparati, la responsabilità di risolvere un’emergenza di cui non sono responsabili, di fatto giustificando il tentativo di sopperire a basso costo alle carenze di organico.
Serve una riforma radicale del sistema della formazione, lo sosteniamo da sempre, che metta al centro l’acquisizione delle competenze dei medici e valorizzi davvero la loro progressiva autonomia.
Una riforma che non sia basata su contrapposizioni puerili tra università ospedale o territorio, perché uno specialista deve potersi formare acquisendo il meglio che tutte le realtà offrono. Se si continua a ragionare solo in termini di input/output, tagliando costantemente sulla qualità formativa, il problema sarà solo posticipato.
Servono investimenti sulla qualità del lavoro e sulle retribuzione perché molto spesso i professionisti ci sono ma scelgono altre strade considerate più gratificanti, stabili e sicure per il proprio benessere famigliare.
È inutile gridare alla carenza di medici o specialisti se si continuano ad offrire le stesse condizione da cui tutti fuggono.
E soprattutto serve un progetto generale di rinnovamento del SSN costruito sui bisogni di salute, tramite il quale stabilire poi i bisogni di professionisti.
Senza di esso c’è possibilità concreta di programmazione.
Non abbiamo solo bisogno di medici specialisti, abbiamo bisogno di bravi medici specialistici, che siano valorizzati e che abbiano davvero la volontà di entrare nel SSN a servizio della comunità.
Altrimenti tra 10 anni avremo tamponato l’emergenza con un sacco di medici specialisti solo sulla carta, incapaci però di affrontare con sicurezza ed esperienza i più semplici scenari clinici o chirurgici.
Siamo arrivati ad un momento critico per la nostra formazione e se non verranno avviati momenti di confronto con tutte le realtà di giovani professionisti siamo pronti a mobilitarci di conseguenza.
FederSpecializzandi
Segretariato Italiano Giovani Medici
CoSMEU – Coordinamento Specializzandi in Medicina d’Emergenza-Urgenza
Movimento Giotto
05 ottobre 2019
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