Vaccini: niente risarcimento se le procedure cliniche sono rispettate
Lo ha stabilito la terza sezione civile della Cassazione che, confermando la sentenza della Corte d’Appello, ha respinto la richiesta di risarcimento della famiglia di una persona che ha riportato gravi danni a livello neurologico dopo essersi sottoposta, nel 1992, a vaccinazione obbligatoria (pertosse). I giudici hanno riconosciuto il nesso causale tra la vaccinazione e l'encefalopatia, ma escluso la responsablità medica perché lo stato di salute del bambino, al momento della vaccinazione, non presentava controindicazioni. L'ORDINANZA.
20 AGO - Se al momento della vaccinazione non c’era nessuna controindicazione che potesse far immaginare effetti collaterali successivamente subentrati, al vaccinato non spetta alcun rimborso dei danni subiti, perché il medico ha rispettato la procedura prevista.
A deciderlo è stata la terza sezione civile della Cassazione con l’ordinanza 20727/2018 depositata il 13 agosto con cui ha confermato la sentenza della Corte d’Appello, respingendo la richiesta di risarcimento di alcuni parenti di una persona sottoposta nel 1992 a vaccinazione obbligatoria (pertosse) riportando poi danni gravi a livello neurologico. Secondo i giudici, sia di primo grado che della Cassazione, al momento della vaccinazione il bambino non presentava alcuna controindicazione e questo esclude responsabilità medica.
I magistrati hanno accertato il nesso causale tra la vaccinazione e l'encefalopatia, ma hanno escluso la responsabilità del sanitario che aveva vaccinato il bambino perché non erano “clinicamente evidenti delle controindicazioni alla stessa”.
Secondo la Cassazione è necessaria la verifica di “sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento e della colpa (medica) che deve sorreggere la condotta dell'agente”. “Ciò posto – si legge nella sentenza - detta verifica non postula alcun ordine logico giuridico indefettibile e necessario al quale doversi attenere (ossia il cui mancato rispetto produrrebbe una violazione della norma di riferimento: art. 1218 e.e. o art. 2043 e.e.), in quanto gli anzidetti clementi costitutivi dell'illecito, pur partecipando entrambi all'imputazione di responsabilità, operano comunque su piani differenti e autonomi: il “nesso causale” sul piano naturalistico (in base agli artt. 40 e 41 c.p.), secondo criteri oggettivi e in base a regole scientifiche/ statistiche/logiche (artt. 40 e 41 c.p.c.), la “colpa” sul piano della prevedibilità soggettiva”.
Secondo i giudici ne deriva che, proprio in ragione della differenza di piani sui quali si collocano i requisiti dell'illecito e sebbene (contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti) l'ordine logico dell'accertamento presupporrebbe “dapprima la verifica del nesso causale e poi quello della colpa, non sussiste alcun vincolo per il giudice di far precedere necessariamente l'uno all'altro, potendo esso (anche in forza della preferenza per la ragione più liquida) giungere (proprio nel caso di responsabilità sanitaria) ad una esclusione di sussistenza della responsabilità già solo con il riscontro dell'assenza della colpa medica”.
La Cassazione spiega nell’ordinanza che la Corte di Appello ha accertato, in base all'Atto medico-legale:
a) l'esistenza del nesso causale tra vaccinazione antipertussica del 13 gennaio 1992 e “successivo sviluppo di un'encefalopatia” a carico del minore;
b) l'insussistenza di elementi di responsabilità a carico del sanitario che aveva proceduto alla vaccinazione obbligatoria, non essendo “clinicamente evidenti delle controindicazioni alla stessa” e, in particolare, quelle specificate nella circolare ministeriale n. 9 del 1991 “o anche solo di previ elementi di sospetto circa una predisposizione in tal senso del paziente, là dove l'insorta complicanza neurologica “non era ragionevolmente prevedibile”, in quanto “evento documentato, ma estremamente raro”;
c) l'imprudente somministrazione delle ulteriori vaccinazioni e, segnatamente di quella antipolio in data 9 novembre 1992, essendo, però, da escludere che le stesse “abbiano potuto causare un qualche aggravamento nel quadro di una encefalopatia già conclamata a seguito della prima vaccinazione”.
“Si tratta dunque – sottolinenano i giudici della Cassazione - di un conferente accertamento ma fatto sulla sussistenza della colpa e dell'efficienza causale delle condotte, di pertinenza esclusiva del giudice del merito e insindacabile in questa sede, se non nei limiti del vizio veicolabile ai sensi del vigente n. 5 dell'art. 360 c.p.c. - ossia dell'omesso esame di fatto storico decisivo -, che non è stato affatto denunciato dai ricorrenti (né, comunque, è ravvisabile nella motivazione resa dalla Corte territoriale), i quali, lungi dall'evidenziare errores in iudicando, orientano le proprie critiche verso una complessiva rivalutazione delle risultanze istruttorie, senza peraltro neppure aggredire in modo conducente l'iter argomentativo della sentenza impugnata”.
Inoltre secondo la Cassazione i ricorrenti non considerano che, in riferimento alla vaccinazione antipertosse, “l'accertamento fattuale della Corte di appello ha condotto, nel caso concreto, alla verifica del positivo rispetto delle indicazioni dettate e in un contesto di insussistenza di controindicazioni non solo generiche, ma anche correlate alla situazione propria ed effettiva del vaccinando”.
A questo si aggiunge che non c'erano elementi di sospetto che il piccolo potesse avere una delle problematiche di salute che avrebbero sconsigliato la somministrazione del vaccino. Insomma secondo i giudici “l'insorta complicanza neurologica non era ragionevolmente prevedibile in quanto evento documentato, ma estremamente raro”.
20 agosto 2018
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