Morte cardiaca improvvisa: 60mila decessi all’anno, la burocrazia frena i soccorsi
Anche se dal 2001 una legge consente a personale non sanitario di eseguire la defibrillazione in ambiente extraospedaliero, l’accesso pubblico ai defibrillatori automatici stenta a decollare a causa di cavilli burocratici. La denuncia arriva dall’Irc, Italian Resuscitation Council, la società scientifica che nel corso del Congresso nazionale, svolto a Catania nei giorni scorsi, ha insegnato a 100 bambini le tecniche di base per soccorrere chi viene colpito da arresto cardiaco. In Italia le morti cardiache improvvise sono circa 60 mila ogni anno.
07 GIU - Si chiama Pad (Public Access Defibrillation) ed è la filosofia che negli ultimi 30 anni ha portato in molti Stati esteri a considerare il defibrillatore automatico esterno (DAE) un qualcosa di molto simile all’estintore: uno strumento per la garanzia della sicurezza pubblica e privata indispensabile in tutti i luoghi in cui ci sia un forte afflusso di persone. Centri commerciali, palestre, aeroporti, scuole.
Di pari passo alla diffusione dei DAE cresce all’estero il numero delle persone - non operatori sanitari - in grado di usarlo dopo aver frequentato un semplice e breve corso di formazione.
Un’azione che permetterebbe di salvare le vite delle 60 mila persone che ogni anno, in Italia, vengono colpite da eventi cardiaci che si rivelano letali senza un soccorso immediato. Eventi in cui, per ogni minuto che passa, le probabilità di sopravvivere si abbassano del 5-10 per cento.
Insomma, un beneficio altissimo che si può ottenere davvero con poco: basta un filmato e un manichino dal costo di circa 30 euro. Ed è un gioco da ragazzi, come hanno dimostrato gli esperti dell’Irc, che nel corso del Congresso nazionale 2010, svolto a Catania il 4 e 5 giugno, hanno insegnato, in soli trenta minuti, le tecniche di base per far fronte a un evento drammatico come un arresto cardiaco a 100 bambini di scuola media - tra i 12 e i 13 anni di età.
Tuttavia, nonostante la legge del 2001 e le successive norme intervenute a correggere alcune lacune della legge, l’“accesso pubblico alla defibrillazione” in Italia rimane una filosofia molto difficile da mettere in pratica. Le cause più frequenti vanno “dal reperimento dei fondi per l’acquisto degli apparecchi da destinare a enti pubblici, alla realizzazione di reti formative davvero efficaci e capillari, al superamento, in alcuni territori, delle resistenze dei servizi 118, unici titolari della potestà di concedere l’autorizzazione a defibrillare al personale non sanitario”.
In Italia, insomma, “continuiamo a scrivere tante parole a cui non seguono i fatti”. Intanto, denuncia l’Irc, da più di un anno, un disegno di legge che avrebbe dovuto riordinare il settore è bloccato in Parlamento. “Ne stiamo aspettando l’approvazione con ansia - ha commentato Alessandro Barelli, direttore del Servizio di Tossicologia Clinica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore- Policlinico “A.Gemelli” di Roma e presidente Italian Resuscitation Council - perché è la proposta che deve sia sbloccare la disponibilità dei fondi per l’acquisto dei defibrillatori sia far partire il processo di formazione del personale laico”.
Formazione che dovrebbe coinvolgere anche le scuole. “A quell’età è possibile presentare i corsi come un gioco. Allo stesso tempo si può far capire che quell’insegnamento può essere utile a salvare una vita”, ha osservato Vincenzo Scuderi, Responsabile per la formazione all'emergenza intraospedaliera della struttura catanese e Vice Presidente IRC. Tuttavia, ha aggiunto, “le difficoltà per proseguire su questa strada non mancano. Il primo problema è di tipo economico. Per quanto i costi siano esigui, molte scuole hanno difficoltà a reperire risorse per i kit formativi o per gli istruttori”. E, sottolinea Scuderi, “non mancano nemmeno le resistenze culturali a sottoporre a questo processo cognitivo bambini e insegnanti”, mentre l’insegnamento nelle scuole “potrebbe rappresentare uno straordinario volano per la diffusione della cultura dell’emergenza”.
07 giugno 2010
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