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La legge sulla libera professione dei medici è di “favore” e nasce come “scambista”

di Luca Benci

Si tratta di un istituto che fino ai primi anni novanta dello scorso secolo segnava lo scambio tra medici poco retribuiti dal Ssn in cambio della possibilità di lavorare persino con la concorrenza. E’ un canale classista, eticamente inaccettabile e ingiusto. Stupisce che i sindacati della dirigenza medica difendano un istituto praticato da una minoranza di medici.

21 MAG - Gentile direttore,
La questione della libera professione dei medici dirigenti torna periodicamente a essere al centro dell’attenzione. In una bella e articolata “lettera al direttore” il dottor Maurizio Nazari cita una passo del mio libro “Tutela la salute: il diritto alla salute negato, privatizzato e mercificato” (Imprimatur, 2017) proprio sulla questione. 
 
Scrive Nazari: "il giurista Luca Benci nel suo utile e bel libro 'Tutela la salute' afferma: “Non è la mancanza di controlli che genera il problema: è l'istituto della libera professione il problema” (p. 67). Anche se poco dopo mitiga l'affermazione 'In tutta onestà intellettuale non è certo possibile attribuire alla libera professione dei medici il problema delle liste d'attesa, visti i problemi strutturali e di definanziamento che ci sono stati e ci sono attualmente'".

Vorrei precisare meglio il mio pensiero. La mia contrarietà alla libera professione è ampia e la mia analisi non verte solo sul problema liste di attesa su cui ribadisco quanto ho scritto: non penso che la libera professione intra ed extra-muraria sia la causa (quanto meno unica) delle liste di attesa. Può essere, in taluni settori una concausa, ma la problematica coinvolge più fattori come i tagli, il definanziamento, il blocco delle assunzioni e altro.

La condanna dell’istituto che ritengo ormai senza diritto di cittadinanza è però ampia e lo spiego nel libro laddove analizzo proprio i gravi problemi che tale istituto genera (anche se non sempre): “conflitto di interesse tra la parte pubblica e privata, rischio di malaffare, comportamenti eticamente discutibili, organizzazione piegata sulla libera professione anziché sull’attività istituzionale in alcuni contesti specialistici, ingiusto vantaggio di prestigiosi incarichi pubblici utilizzati per l’attività privata a scapito di quella pubblica e potremmo continuare”.

Alcuni recenti scandali confermano questa mia analisi. La libera professione dei medici dirigenti ha avuto varie normative che hanno comunque tutte un tratto caratteristico: disegnano una legislazione “di favore” permettendo a dei dipendenti (rectius “dirigenti”) di svolgere attività privata anche “dentro le mura”. Un istituto che non ha eguali in altri contesti dirigenziali a cui tale attività viene rigorosamente vietata.

Una persona intelligente e equilibrata nei giudizi come Carlo Palermo ha affermato su queste colonne che “le leggi vigenti garantiscono il diritto dei medici a esercitare una professione liberale e il diritto del cittadino di scegliersi un medico di propria fiducia in un periodo critico della propria vita”. Mi sento di confutare il pensiero di Palermo.

L’attuale legislazione sulla libera professione dei medici è una legislazione “di favore” che nasce come legislazione “scambista” intendendosi per tale un istituto che fino ai primi anni novanta dello scorso secolo segnava lo scambio tra medici poco retribuiti dal Servizio sanitario nazionale in cambio della possibilità di lavorare persino con la concorrenza. Le restrizioni successive hanno limitato tali possibilità, ma il patto osceno di inizio è stato quello.

Il problema è la necessaria incompatibilità tra rapporto di lavoro e libera professione. Nascondersi dietro il diritto del cittadino di scegliere il “medico di propria fiducia in un momento critico della propria vita” è fuorviante quando la maggior parte dei pazienti che scelgono – e possono permettersi – la libera professione lo fa spesso per sfruttare il canale surrettizio che il sistema permette per saltare liste di attesa (che non dipendono solo da questo istituto, ripeto) e ottenere le prestazioni sanitarie di cui abbisogna.

E’ un canale classista, eticamente inaccettabile e ingiusto.

Se i dati sono corretti meno della metà dei medici dirigenti svolge la libera professione e solo una percentuale ancora più bassa ha guadagni significativi e, a volte, stratosferici come ben documenta Marco Geddes in un suo recente articolo.
 
Stupisce che i sindacati della dirigenza medica – non solo Palermo e l’Anaao - difendano un istituto praticato da una minoranza di medici. Alcuni affermano che la libera professione premi il merito: anche questa affermazione è spesso fuorviante. Vi sono medici ampiamente meritevoli che per specialità praticata, per organizzazione, luogo geografico sono “penalizzati” sulla libera professione.

Il dottor Nazari dall’alto della sua esperienza chiede il ripristino di una legalità sostanziale che non è solo violazione di leggi ma di principi e di equità ricordando anche la contrarietà alla libera professione dei presidenti della Regione Toscana Enrico Rossi e Lazio Nicola Zingaretti.
 
Per farlo serve convinzione e politiche anche contrattuali.
 
Se volessimo essere ottimisti potremmo pensare che gli imminenti rinnovi contrattuali potrebbero trovare le soluzioni (e le risorse) per superare l’istituto della libera professione e consegnarlo al passato.
 
Sappiamo però che non accadrà.
 
Luca Benci
Giurista


21 maggio 2017
© Riproduzione riservata

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