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L’assenza ingiustificata dal lavoro può determinare il licenziamento del dipendente

di Maria Parisi

Ha suscitato interesse il recente episodio del licenziamento di un lavoratore, al quale era stata contestata l’infrazione di assenza ingiustificata il terzo giorno in cui non si presentava al lavoro, adducendo come motivazione le vessazioni subite nell’ambiente lavorativo. Ecco perché i giudici hanno dato ragione al datore di lavoro

26 NOV - Nel contesto lavorativo, al dipendente è garantita la salvaguardia dei propri diritti dalla legislazione del Lavoro, grazie ad un percorso in divenire intrapreso con lo Statuto dei Lavoratori (Legge 300/70), tuttora riferimento di primaria importanza normativa.
 
Parimenti, l’articolo 2104 del Codice civile recita che ogni lavoratore nei confronti del proprio datore ha dei doveri, classificati come obbligo di diligenza, obbligo di obbedienza ed obbligo di fedeltà. Il dipendente inoltre deve attenersi alle norme riportate nel Contratto Collettivo e nel codice disciplinare dell’azienda nella quale presta la propria opera.

In caso di inosservanza delle disposizioni, il datore di lavoro ha facoltà di promuovere una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente, in considerazione della gravità del comportamento messo in atto, con provvedimenti rappresentati da un richiamo verbale per infrazioni lievi, fino al licenziamento nelle inadempienze gravi, quali l’assenza ingiustificata dal posto di lavoro. L’assenza viene ritenuta ingiustificata quando sussistono due elementi: il lavoratore non si reca al lavoro e non fornisce valida giustificazione entro un periodo determinato, stabilito dal contratto collettivo. Trascorso tale intervallo temporale , il dipendente può essere legittimamente licenziato.

In alcune sentenze la Corte di Cassazione ha introdotto un terzo parametro di riferimento: il criterio di proporzione tra la condotta del lavoratore e la sanzione, in conformità a quanto indicato dall’articolo 2106 del codice civile: la misura del provvedimento deve tenere conto non soltanto dell’infrazione, ma anche delle circostanze che hanno indotto il dipendente ad assumere il comportamento contestato.

Ha suscitato interesse il recente episodio del licenziamento di un lavoratore, al quale era stata contestata l’infrazione di assenza ingiustificata il terzo giorno in cui non si presentava al lavoro, adducendo come motivazione le vessazioni subite nell’ambiente lavorativo. Alla richiesta di riprendere l’attività lavorativa e di fornire adeguata giustificazione, con lettera successiva egli ribadiva le proprie ragioni, affermando che sarebbe rientrato soltanto quando fossero terminati i comportamenti da lui contestati. In seguito a tale dichiarazione, il datore di lavoro intimava il licenziamento per giusta causa, preceduto da preavviso. Nel caso specifico i giorni previsti dal contratto collettivo per motivare l’inadempienza erano quattro.

Il dipendente, ritenendo illegittimo l’estremo provvedimento poiché la lettera di contestazione riguardava i primi due giorni di assenza ed il provvedimento espulsivo faceva riferimento anche ai giorni successivi, decideva di presentare ricorso, ma questo veniva respinto sia dal giudice di prime cure che dalla Corte d’Appello.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22127 del 2 novembre 2016 confermava le decisioni precedenti: il fatto che la sanzione fosse stata imposta tenendo conto anche dei giorni di assenza continuata tra contestazione e licenziamento non determina una modifica dell’addebito disciplinare, anche considerando che non era stato leso in alcun modo il diritto di difesa del lavoratore, il quale nella sua comunicazione scritta aveva preannunciato di non avere alcuna intenzione di rientrare al lavoro finché fosse continuato il comportamento, da lui ritenuto lesivo, del datore. 
 
Maria Parisi
Associazione Nazionale Medici Fiscali (ANMEFI)

26 novembre 2016
© Riproduzione riservata

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