Biotestamento, normativa necessaria per il 75% degli oncologi
Mentre 6 oncologi su 10 chiedono una formazione ad hoc per gestire il fine vita. È quanto emerso da un’indagine condotta dall’Aiom e discussa al Convegno nazionale sulle “Giornate dell’etica in oncologia” in corso a Valderice
25 MAR - La legge sul testamento biologico è una priorità che non può essere rinviata: ne sono convinti tre oncologi italiani su quattro. Mentre sei su dieci chiedono una formazione ad hoc per gestire il fine vita, anche perché solo quattro su dieci ritengono di essere preparati nel gestire le questioni del fine vita.
Sono questi alcuni dei dati emersi nel corso del Convegno nazionale di Valderice sulle “Giornate dell’etica in oncologia” giunto alla sua seconda edizione. Due giornate di confronto, promosse dall’Aiom e dal Collegio dei Primari oncologi ospedalieri (Cipomo), su temi che interessano quotidianamente la professione, anche alla luce del dibattito parlamentare sul testamento biologico.
“Il 50% di noi – ha detto Carmelo Iacono, Presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) illustrando i dati emersi da un’indagine condotta dalla società scientifica – segue personalmente oltre 10 malati terminali ogni mese e il 56% si è sentito chiedere almeno una volta di accorciare le loro sofferenze. Siamo competenti sulle terapie ma nessuno ci ha formato dal punto di vista etico. Solo 4 medici su 10 ritengono di essere preparati nel gestire le questioni del fine vita”.
Per quanto riguarda le “Dichiarazioni anticipate di trattamento”, continua Iacono: “Quattro specialisti su dieci sono convinti che ci si debba attenere totalmente alle direttive del paziente mentre per il 50% queste vanno condivise e discusse. È significativo che il 56% ne abbia ricevute almeno una volta dai malati. Il bisogno è quindi reale e va affrontato sia sul piano conoscitivo che normativo, sollecitando la promulgazione di provvedimenti legislativi specifici. Per il 63% inoltre, la regolamentazione giuridica potrebbe facilitare il rapporto medico-paziente. Infatti, solo il 9% ha affermato che nei reparti dove lavora sono previste disposizioni specifiche su questi temi”.
Per il 78% degli intervistati “accanimento terapeutico” significa “persistere in terapie specifiche sproporzionate rispetto alle condizioni cliniche del malato ed alle aspettative di vita residua”.
Aiom e Cipomo sono inoltre intervenuti sul tema dell’etica nella ricerca. Gli specialisti ritengono che “non sia etico condurre studi con rilevanza clinica bassa e senza un potenziale vantaggio per il paziente (sopravvivenza, qualità della vita, tossicità) o per la società (minori costi del Ssn, maggiore integrazione professionale, migliore organizzazione dei processi, ecc..)”. Per quanto riguarda gli aspetti procedurali “i tempi burocratici di approvazione e attivazione di uno studio (da parte del Comitato etico e delle Autorità Competenti) devono essere rapidi” e raccomandano “il mantenimento dei tempi previsti dalla legge”. Infine, la divulgazione dei risultati della ricerca attraverso i media, pensano debba “avvenire in modo scientifico, accurato e imparziale al fine di evitare gravi conseguenze, come la medicalizzazione di non-patologie o la scelta di terapie non appropriate”.
25 marzo 2011
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