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Cassazione: “Cambio sesso all’anagrafe possibile anche senza intervento chirurgico”. Il commento dei medici cattolici e della Rete Lenford


“Ogni manipolazione della persona umana è da considerarsi fuori dalla vocazione originaria dell’uomo: riteniamo che ogni ‘modellamento’ artificioso debba rispettare la “legge dei confini”. Ma per gli avvocati della Rete Lenford si tratta di "Una sentenza storica" LA SENTENZA.

21 LUG - “Il transessualismo costituisce una realtà clinica ancora confusa e incerta che rientra nel grande capitolo delle variazioni dell’identità di genere”.
 
Ad affermarlo, in una nota, è il prof. Filippo Maria Boscia,presidente nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, nel commentare la sentenza della Cassazione, secondo cui non è più necessario sottoporsi a un intervento chirurgico per poter ottenere il cambio di sesso all'Anagrafe.
 
“A fronte di una chirurgia sempre più in espansione, va certamentesottolineato che esistono moltissimi pazienti scontenti dopo tecniche di correzione, i cui esiti sono stati scarsi e inefficaci, altri pazienti che si sentono più appagati, altri ancora  con esiti chirurgici eccellenti sono infelici e spesso anche desiderosi di ritornare alla condizione precedente”, aggiunge Boscia.
 
“Questi fattori di parziale o totale efficacia/inefficacia confermanoche quelle che noi oggi dichiariamo conquiste sono in realtà delle sconfitte e forse delle vere e proprie mutilazioni. In questo contesto, ogni rifiuto del paziente ad entrare e a completare o perfezionare codificati percorsi di cura deve essere fatto salvo perché diritto inalienabile di ogni persona”, prosegue la nota.
 
“Ogni manipolazione della persona umana è da considerarsi fuori dallavocazione originaria dell’uomo: riteniamo che ogni ‘modellamento’ artificioso debba rispettare la “legge dei confini”. Voler a tutti i costi riaprire la vita al “migliore essere” di ogni “persona” è e rimane la più grande violenza sull’uomo, sulla donna, sul bambino.
Occorre una guida etica da emendare continuamente contro ogni forma di abuso”, conclude il presidente dei medici cattolici italiani.
 
Il commento della rete Lenford: “Una sentenza storica”.Ieri, quando è stata resa la sentenza della Cassazione, la rete Lenford, avvocatura per i diritti delle persone Lgbt che aveva presentato ricorso,  definiva “storica” la sentenza che ha stabilito che per ottenere la rettificazione degli atti anagrafici non è obbligatorio l'intervento di adeguamento degli organi riproduttivi.
 
“Nel caso deciso dalla Cassazione, l'assistita, - spiega la rete Lenford - una persona trans di 45 anni aveva già ottenuto nel1999 una sentenza che l'autorizzava all'intervento chirurgico. Ciononostante aveva rinunciato alla demolizione/ricostruzione chirurgica dei propri caratteri primari, avendo raggiunto nel tempo un equilibrio psico-fisico e che da 25 anni vive ed è socialmente riconosciuta come donna. Sia il tribunale di Piacenza che la corte d'appello di Bologna, a cui la stessa si era rivolta per ottenere la rettificazione dello stato civile pure in assenza dell'intervento chirurgico, avevano respinto la richiesta aderendo a quella giurisprudenza di merito, sino ad oggi prevalente, che subordinava la modificazione degli atti anagrafici all’effettiva e concreta esecuzione del trattamento chirurgico sui caratteri sessuali primari (organi genitali)”.
 
La Cassazione sostiene che “La percezione di una disforia di genere (secondo la denominazione attuale del D.S.M. V, il manuale statistico diagnostico delle malattie mentali) determina l’esigenza di un percorso soggettivo di riconoscimento di questo primario profilo dell’identità personale né breve né privo d’interventi modificativi delle caratteristiche somatiche ed ormonali originarie. Il profilo diacronico e dinamico ne costituisce una caratteristica ineludibile e la conclusione del processo di ricongiungimento tra ‘soma e psiche’ non può, attualmente, essere stabilito in via predeterminata e generale soltanto mediante il verificarsi della condizione dell’intervento chirurgico”.
 
E ancora: “il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche è, anche in mancanza dell’intervento di demolizione chirurgica, il risultato di un’elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale. Il momento conclusivo non può che essere profondamente influenzato dalle caratteristiche individuali.
Non può in conclusione che essere il frutto di un processo di autodeterminazione verso l’obiettivo del mutamento di sesso, realizzato mediante i trattamenti medici e psicologici necessari, ancorché da sottoporsi a rigoroso controllo giudiziario. La complessità del percorso, in quanto sostenuto da una pluralità di presidi medici (terapie ormonali trattamenti estetici) e psicologici mette ulteriormente in luce l’appartenenza del diritto in questione al nucleo costitutivo dello sviluppo della personalità individuale e sociale, in modo da consentire un adeguato bilanciamento con l’interesse pubblico alla certezza delle relazioni giuridiche che costituisce il limite coerentemente indicato dal nostro ordinamento al suo riconoscimento”.
 
Secondo la Cassazione, scrive in conclusione la rete Lenford: “L’interesse pubblico alla definizione certa dei generi, anche considerando le implicazioni che ne possono conseguire in ordine alle relazioni familiari e filiali, non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psico fisica sotto lo specifico profilo dell’obbligo dell’intervento chirurgico inteso come segmento non eludibile dell’avvicinamento del some alla psiche. L’acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia accertata, ove necessario, mediante rigoroso accertamenti tecnici in sede giudiziale”.

21 luglio 2015
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