Il primario è una specie in via di estinzione
di Carmine Gigli
Non tanto per l’abolizione del titolo voluta da Veronesi nel 2000, quanto per la sua trasformazione in una sorta di tecnocrate attento alle relazioni con il palazzo e ai costi delle prestazioni. E adesso, con la definizione degli standard qualitativi e quantitativi dell’assistenza ospedaliera, si sta preparando un’altra cura dimagrante per i direttori di struttura complessa
27 APR - Il titolo di Primario è stato abolito nel 2000 dall’allora ministro della salute
Umberto Veronesi, al quale non piaceva il termine e decise di farlo modificare in direttore. Tuttavia, il vero colpo mortale alla figura del primario era venuto dalla trasformazione dell’accesso a questo ruolo, da concorsuale a selettivo, con il conferimento dell’incarico da parte dell’organo politico. Da allora è stato un susseguirsi di dichiarazioni sulla necessità che la politica dovesse fare un passo indietro ma, alle parole non sono seguiti i fatti.
Così, quella figura professionale che era stato un punto di riferimento per generazioni di malati e una guida per tanti giovani medici all’inizio della professione, si è andata via via trasformando in quella di un tecnocrate attento alle relazioni con il palazzo e ai costi delle prestazioni. In pratica, si è passati da un professionista impegnato nella cura dei pazienti, al responsabile dell’erogazione di prestazioni. Adesso, con la definizione degli standard qualitativi e quantitativi dell’assistenza ospedaliera si sta preparando un’altra cura dimagrante per i direttori di struttura complessa.
Attualmente non si riesce a sapere con precisione quante siano in Italia le strutture operative complesse (SOC). L’Elenco Nazionale dei Direttori di Struttura complessa del Ministero della salute riporta 8.400 direttori, dei quali: 7.579 Medici, 332 Veterinari, 285 Farmacisti, 97 Psicologi, 59 Biologi, 39 Fisici, 7 Chimici e 2 Odontoiatri. Questo elenco è certamente incompleto, perché non comprende i reparti clinicizzati affidati ai direttori universitari e non tiene conto di tutte le strutture che attualmente sono rette da incaricati, supplenti, direttori a scavalco, etc.
Inoltre, non si riesce a sapere quante siano in Italia le strutture complesse amministrative e quelle affidate alle professioni sanitarie, anche se un dato orientativo lo si può ricavare andando a guardare gli elenchi forniti da alcune regioni. In Emilia Romagna le strutture complesse dirette da un dirigente amministrativo sono il 38% di quelle dirette da un dirigente medico e possiamo ipotizzare che questo dato, più o meno, rispecchi la situazione delle altre regioni. Più difficile invece è sapere quante siano le strutture con al vertice un professionista sanitario, i dati disponibili non sembrano rispecchiare la realtà, ad esempio: in una Regione come la Campania ne risulta solo una.
Leggendo questi dati alcune domande sorgono spontanee. Quali e quante di queste strutture verranno colpite dal previsto taglio di “mille primari”, riportato dalla stampa come uno degli obiettivi del prossimo accordo Stato Regioni sulle misure di razionalizzazione della spesa del SSN? Ancora una volta toccherà ai medici pagare il tributo più alto? Come al solito, nessun sacrificio verrà richiesto all’Università? Verranno ulteriormente penalizzate le aspirazioni di carriera dei medici che, dopo un lungo precariato riescono ad entrare nei ruoli del SSN? Se si dovesse arrivare alla centralizzazione del sistema degli acquisti di servizi e forniture, nessuna razionalizzazione sarà messa in atto sulle strutture complesse amministrative?
Sino ad oggi questi interrogativi non hanno trovato una risposta e visti i precedenti, è difficile sperare in un cambiamento di rotta rispetto agli ultimi anni. Tuttavia, mi sento di dare egualmente un consiglio ai gestori politici della salute o meglio, un invito a considerare un punto che potrebbe diventare di loro interesse. Riducendo il numero dei direttori di reparti clinici e attribuendo loro sempre di più dei compiti gestionali e organizzativi, c’è il rischio che i magistrati vadano a cercare ad un livello più alto la responsabilità per i casi di mancata vigilanza o di responsabilità della struttura. C’è di che riflettere.
Carmine Gigli
Presidente FESMED
27 aprile 2015
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