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Ospedali. Progetto Codes: software di supporto decisionale consentono più qualità ed efficienza delle cure


In particolare la ricerca suggerisce di adottare gli Ssdc per collegare le informazioni specifiche del paziente, contenute nella cartella clinica elettronica, alle evidenze scientifiche disponibili in banche dati informative di alta qualità, offrendo un immediato supporto ai clinici durante i processi decisionali. LO STUDIO

09 APR - L’adozione di un sistema di supporto decisionale computerizzato evidence based da parte di un ospedale è un processo di integrazione tecnologica e culturale complesso e non scontato. Un percorso in cui sono identificabili sei posizionamenti, che corrispondono ad altrettante possibili esperienze di utilizzo delle tecnologie e delle evidenze da parte dei professionisti sanitari. È quanto emerge dallo studio qualitativo condotto nell’ambito del progetto Codes, un programma di ricerca finalizzata sui sistemi di supporto decisionale computerizzati (SSDC) cofinanziato dal Ministero della Salute e da Regione Lombardia.

“Il SSDC è un software che collega le informazioni specifiche del paziente, contenute nella cartella clinica elettronica, alle evidenze scientifiche disponibili in banche dati informative di alta qualità, offrendo un immediato supporto ai clinici durante i processi decisionali - spiega Lorenzo Moja, responsabile del programma di ricerca e dell’Unità di Epidemiologia Clinica dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano - Una sorta di seconda opinione istantanea e autorevole, e un punto di arrivo per gli ospedali all’avanguardia nell’offerta di supporto ai processi decisionali dei propri clinici”.

Diversi studi suggeriscono che i SSDC hanno la potenzialità di migliorare l’efficienza e la qualità delle cure. Tuttavia, la mera disponibilità del SSDC nei contesti di cura non garantisce la sua adozione in pratica, che è vincolata dalla volontà dei professionisti di integrare questa tecnologia nelle loro attività. Risulta utile, pertanto, esplorare le percezioni del personale ospedaliero direttamente chiamato a farne uso. I dati empirici analizzati nello studio qualitativo sono stati raccolti attraverso interviste semi strutturate, condotte in vari ospedali caratterizzati da diversi livelli di informatizzazione e di familiarità con il SSDC, rivolgendosi a figure professionali diversificate, dai medici agli infermieri, dai professionisti dell’ICT (Information and Communication Technology) agli esponenti delle direzioni ospedaliere. Le interviste sono state analizzate secondo il metodo grounded theory, ricostruendo le dinamiche psicosociali dell’adozione e dell’utilizzo del SSDC.

“I risultati mostrano che l’adozione del SSDC si configura come un processo articolato in sei posizionamenti, che rappresentano altrettante possibili esperienze di utilizzo del SSDC -afferma Elisa Liberati, psicologa del lavoro nelle organizzazioni e coautrice dello studio - Esperienze che si distinguono in base alla differente percezione di padronanza del SSDC: a un estremo, il sistema è percepito come un oggetto minaccioso e incontrollabile, all’estremo opposto diventa uno strumento a servizio dei clinici, integrabile con le loro competenze, adattabile alle specificità organizzative locali. I primi posizionamenti sono connotati da ostacoli rappresentazionali, cioè legati a percezioni fortemente negative delle evidenze scientifiche e del SSDC, costruite dai clinici e dalle comunità professionali, mentre i posizionamenti più vicini all’utilizzo sono connotati dagli ostacoli tecnici, legati alle concrete difficoltà di interazione con l’interfaccia del SSDC”.

Il modello consente a decisori e manager di collocare i propri contesti di riferimento in uno (o più) dei posizionamenti descritti, diagnosticando così il rispettivo livello di maturità della propria struttura nei confronti del SSDC e identificando le leve su cui agire per avvicinarsi a un’integrazione soddisfacente di queste tecnologie.  I risultati sono discussi anche alla luce degli attuali trend innovativi in sanità, proponendo alcune riflessioni sullo stato attuale e sullo sviluppo futuro degli ospedali italiani e europei. “Ipotizzando che l’uso di una nuova tecnologia informativa non consista in un unico, generalizzabile passaggio off-on, ma in un complesso percorso di adattamento e integrazione con la pratica”, conclude Elisa Liberati, “il nostro studio fornisce indicazioni sulle leve da attivare per accompagnare l’implementazione e favorire il successo dell’innovazione”.

Un approccio semplicistico, che considera la disponibilità di tecnologia e di evidenze come garanzia del loro effettivo utilizzo rischia di tradursi, sottolinea lo studio, in un insuccesso pur a fronte di importanti investimenti, quando invece i manager sanitari sono oggi chiamati a guidare i loro ospedali alla piena comprensione e all’uso vantaggioso di tecnologia ed evidenze.
 

09 aprile 2015
© Riproduzione riservata

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