Pari opportunità. Vigiliamo sull’attuazione delle leggi
di M.L. Genna D.Crea
Per favorire la cultura delle pari opportunità occorre vigilare sull’assunzione dei criteri di attuazione delle leggi che tengano conto della conciliazione e della flessibilità e dei loro strumenti attuativi, ed anche pubblicare con regolarità le realizzazioni avvenute nella PA e nelle aziende sanitarie
07 APR - La conciliazione, definita come “politica della flessibilità e della produttività”, è una sfida aperta che rientra in una dimensione generale di adeguamento ai nuovi mercati ed ai nuovi processi di lavoro, specialmente all’interno delle aziende sanitarie ed ospedaliere, vincolate come sono al mantenimento dei livelli essenziali di assistenza e con costanti ridotte risorse economiche disponibili.
Il termine conciliazione, dal latino “cum calare”, si riferisce alla possibilità di coniugare insieme parti diverse permettendo l’accordo, la pacificazione, l’armonia. Applicato al settore dei rapporti tra il variegato mondo del lavoro e l’essenza della famiglia, si definisce come la volontà di predisporre direttive, informative, raccomandazioni e suggerimenti, affinché si adottino misure in grado di salvaguardare la possibilità di conciliare la vita familiare con quella lavorativa. Tale visione inizia ad essere introdotta nei documenti ufficiali dell’Unione Europea (UE) agli inizi degli anni Novanta, per via della crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro, delle trasformazioni del welfare state e dei cambiamenti nel rapporto tra i due generi.
La Commissione Europea definisce la conciliazione dei tempi lavoro-famiglia come “l’introduzione di azioni sistemiche che prendono in considerazione le esigenze della famiglia, di congedi parentali, di soluzioni per la cura dei bambini e degli anziani e lo sviluppo di un contesto e di un’organizzazione lavorativa tali da agevolare la conciliazione delle responsabilità lavorative e di quelle familiari per le donne e gli uomini”.
Da chiarire, subito, che non si tratta di una questione meramente femminile includendo in essa equilibri familiari riguardanti sia l’uomo, la donna che i figli. Una visione di insieme pertanto risulta assolutamente necessaria per evitare una eccessiva “femminilizzazione” della questione conciliazione, cosa che impedirebbe nei fatti un’effettiva equità di genere, finendo con l’alterare la comprensione e la portata reale del problema; la conciliazione andrebbe considerata, invece, per ciò che realmente è: “Una questione di famiglia, nella quale uomini e donne si sentano e siano ugualmente coinvolti”.
Le disposizioni introdotte con la Legge dell’ 8 marzo 2000 hanno rappresentato un punto di svolta con l’istituzione dei congedi parentali, l’estensione del sostegno ai genitori di portatori di parziale abilità e le misure a sostegno della flessibilità di orario, cercando di evitare che lavoro e famiglia finissero in contrapposizione.
Con le norme successive è stata creata una commissione per la non discriminazione tra uomo e donna ed introdotta la figura della Consigliera Nazionale di Parità. Sono state inoltre siglate intese con l’obiettivo di sostenere la crescita dell’occupazione femminile, sottolineando l’importanza della flessibilità dei tempi e degli orari di lavoro, tanto nell’interesse dei lavoratori che dell’impresa.
Il Decreto Legislativo n. 150/2009 - meglio noto come Decreto Brunetta - porta a rilevanti novità nel campo delle pari opportunità, che appare importante sottolineare. Tra queste, i fattori di misurazione e di valutazione della performance organizzativa di un’amministrazione. Il decreto Brunetta puntando sui principi della meritocrazia, trasparenza ed efficienza ammette che i principi della parità e delle pari opportunità facciano parte a pieno titolo di una normativa legata al funzionamento organizzativo. In esso, infatti, all’art. 8, comma 1, lett. h, negli ambiti di misurazione e valutazione all’interno della “performance organizzativa”, viene individuato il “raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità”; all’art. 9, comma 3, “nella valutazione di “performance individuale” non sono considerati i periodi di congedo di maternità, di paternità e parentale”; all’art. 10, comma 1, prevede l’adozione di una prospettiva di genere all’interno del Piano della performance” e della relativa “Relazione sulla performance”; all’art. 13 (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche) indica tra i compiti di indirizzo e coordinamento della Commissione nei confronti degli Organismi indipendenti quello di “favorire la cultura delle pari opportunità con relativi criteri e prassi applicative”; all’art. 14 (Organismo indipendente di valutazione della performance) annovera, tra le responsabilità dell’organismo, la “verifica dei risultati e delle buone pratiche di promozione delle pari opportunità”.
La norma più discussa del decreto Brunetta consiste nella sostituzione del comma 2 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 165/2001 (T.U. del Pubblico Impiego) ed è la seguente: “nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’articolo 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove prevista nei contratti (…). Rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità nonché la direzione, l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici”.
Il decreto - elaborato e presentato dal prof. Brunetta - viene spesso rigidamente applicato dalle direzioni generali delle aziende sanitarie ed ospedaliere, solo nelle formule inerenti le relazioni sindacali, con i sofismi della mancata concertazione sostituiti con la semplice informazione. Come mai le importanti modifiche e funzioni del concetto di pari opportunità vengono - di fatto e frequentemente - abbandonate e tralasciate? Chi dovrebbe peritarsi di metterle in pratica? Chi controllarne l’avvenuta esecuzione? Chi deve governarne i processi di realizzazione? In quali limite di tempo devono realizzarsi? E i Comitati unici di Garanzia (CUG), che dovrebbero essere presenti ovunque nel panorama aziendale della P.A. - a maggior ragione nel mondo sanitari - a che punto sono, insieme alla salvaguardia di tali opportunità? Per quale motivo la conciliazione e la flessibilità non paiono avere - nei fatti- la rilevanza che lo Stato, attraverso le norme redatte, attribuisce loro?
Per favorire la cultura delle pari opportunità, anche in ragione della maggiore presenza di donne nel servizio sanitario, occorre vigilare sull’assunzione dei criteri di attuazione delle leggi della Repubblica che tengano conto della conciliazione e della flessibilità e dei loro strumenti attuativi, nonché proporre la regolare pubblicazione delle realizzazioni avvenute, su tale traccia nella P.A. – AA.SS.LL./AA.OO, preferibilmente e regolarmente aggiornate nel corso del tempo.
Dott.ssa Maria Ludovica Genna
Dott. Domenico Crea
Osservatorio Sanitario di Napoli
07 aprile 2015
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lavoro e Professioni