La Cassazione fa chiarezza sugli accertamenti fiscali per le attività commerciali che gestiscono “merci diverse”. Farmacie comprese
di Federico Jorio
Ritenuto illegittimo il ricorso al "sistema della media semplice" piuttosto che a quello della cosiddetta "media ponderata" per la rideterminazione, sia i fini Iva che Irpef (e anche Irap), dei ricavi. E ciò quando le merci componenti il costo del venduto siano notevolmente diversificate, sia in termini di specie merceologica che di valore nonché di scontistica pratica e differenziata a seconda se praticata da grossisti e/o industria
07 APR - Una recente sentenza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, la
n. 4312 del 4 marzo 2015, pur riguardando una fattispecie commerciale diversa e più precisamente una rivendita di ferramenta, fa chiarezza negli accertamenti disposti dalle Agenzia delle Entrate nei confronti delle farmacie, in quanto aziende costrette a girare una innumerevole quantità di articoli per soddisfare la domanda dell'utenza. Una specificità che non ha uguale, fatta eccezione per la tipologia merceologica che si occupava dei ricambi generalizzati di autoveicoli, oramai in disuso. Proprio per questa caratteristica, l'anzidetto
decisum della Corte di Cassazione, assunto in continuità con altre precedenti sentenze, sembra calzare benissimo nel processo di normalizzazione che spesso coinvolge l'Agenzia delle entrate e l'azienda-farmacia.
Il problema specifico riguarda la ricostruzione dei ricavi e, di conseguenza, la determinazione presuntiva del reddito attraverso il ricorso alle percentuali di ricarico, che ha costituito e costituisce, sin dalla sua originaria previsione normativa, un problema assai complesso sia per gli accertatori che per le accertate. Una metodologia che, per la sua (diffusa) applicazione, abbisogna della inattendibilità della contabilità della azienda sottoposta a verifica, tale da fare presumere ricavi non dichiarati a seguito di verificati comportamenti confliggenti con i criteri della ragionevolezza. Al riguardo, occorre evidenziare che per farvi ricorso necessitano, nel contempo, essere supposti in capo alla farmacia esaminata l'antieconomicità delle condotte imprenditoriali tenute dal titolare e l'esistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, dalle quali desumere ragionevolmente maggiori ricavi e minori costi fondati sul raffronto tra i prezzi di acquisto e quelli di rivendita. In tal senso, è intervenuta la Corte di Cassazione che ne ha sancito i criteri di accesso, non affatto trascurabili.
Di conseguenza, cosa dovranno fare gli accertatori per non rincorrere in errore? Relativamente all'effettuazione delle modalità cui dovere necessariamente riferimento, il Massimo Giudice tributario ha statuito un principio di diritto inderogabile. Proprio per questo da dovere rispettare senza eccezioni di sorta, pena la sindacabilità del risultato della verifica eseguita in tal senso. In questo, la Corte di Cassazione ha richiamato tre omologhe interessanti sentenze, più esattamente le nn. 673/2015, 1331/2011 e 6849/2009. Ha così elaborato, nella sostanza, a tutela della legittimità dei comportamenti da tenere, delle linee guida specifiche, sia per la pubblica amministrazione erariale (le Agenzie delle entrate) che per il giudice di merito (le commissioni tributarie), chiamato successivamente a decidere. Con questo importante "manuale" giurisdizionale ha ritenuto illegittima ogni presunzione di maggiorazione dei ricavi basata sulla semplice comparazione dei prezzi di acquisto con quelli di rivendita, eventualmente intervenuta su alcuni degli articoli dispensati al pubblico (medicinali e affini, nonché prodotti cosiddetti non etici) piuttosto che sull'inventario generale.
In una tale ottica, ha ritenuto insufficiente, e quindi illegittimo, il ricorso al "sistema della media semplice" piuttosto che a quello della cosiddetta "media ponderata" per la rideterminazione, sia i fini Iva che Irpef (e anche Irap), dei ricavi. Ciò allorquando - ed è il caso soprattutto delle farmacie e delle parafarmacie, così come di tutte quelle aziende che gestiscono una infinità di articoli destinati alla rivendita - le merci componenti il costo del venduto siano notevolmente diversificate, sia in termini di specie merceologica che di valore nonché di scontistica pratica e differenziata a seconda se praticata da grossisti e/o industria.
Un assunto da condividersi che dovrebbe, finalmente, evitare errati accertamenti, quasi "a rischio di infarto" per gli accertati, e contenziosi ingombranti per la giustizia tributaria, già oberata da procedimenti non sempre convenienti in termini di costo-beneficio. Non solo. Dovrebbe rendere giustizia nel processo di rettifica delle dichiarazioni dei redditi e Iva (e anche Irap), attraverso una più corretta determinazione presuntiva delle percentuali di ricarico da applicare induttivamente sul costo del venduto. Di conseguenza, la merce direttamente produttiva del venduto dovrà essere valorizzata per il tramite dell'adozione di un criterio coerente "con la natura e le caratteristiche dei beni", in quanto tale funzionale ad assumere un campione degli stessi selezionato "in modo appropriato e fondato su una media aritmetica o ponderale", sì da rendere verosimilmente fedele ogni conseguente ricostruzione. Una selezione che, nel caso della farmacia, dovrà essere onnicomprensiva delle innumerevoli categorie merceologiche trattate e dei prodotti negoziati (che sono qualche decine di migliaia), ulteriormente distinte per tipologie di acquisto.
Un modo, questo, per rendere giustizia ai tanti accertamenti perfezionati sino ad oggi su errati presupposti, peraltro non affatto rispettosi dei canoni della coerenza logica e della congruità. Ma anche un'occasione per evitare conclusioni accertative, cui si è pervenuti al di fuori di ogni logica scientifica, spesso produttivi di risultati tanto esagerati da mettere in difficoltà sia i soggetti accertati che i giudici chiamati a decidere in ogni stato e grado.
Avv. Federico Jorio, Ph.D.
Studio associato Jorio - Cosenza
Globalfarma srl - Roma
07 aprile 2015
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