Intervista alla neo presidente Ipasvi Barbara Mangiacavalli: “Nessuna marcia indietro: primo obiettivo restano le competenze avanzate per gli infermieri. Sì all’incontro con Chersevani”
di C.F.
”Il risultato sarebbe anche a portata di mano se non fosse per una presa di posizione di alcune categorie professionali. Non si rendono conto che il sistema paese, ancor prima del sistema salute, ha bisogno di rimodellare modelli, funzioni e processi in maniera più coerente ai bisogni di salute dei nostri cittadini”. E con la Fnomceo?: “Aspettiamo il contatto, noi ci siamo e ci siamo sempre stati”
30 MAR - Dopo quindici anni l’Ipasvi cambia presidente. Alla guida della Federazione è stata scelta
Barbara Mangiacavalli. 46 anni, dirigente di struttura complessa al San Matteo di Pavia, laurea Magistrale in scienze infermieristiche ed ostetriche a Milano e Laurea in business administration all’University of Canterbury. Una professionista che senz’altro rappresenta appieno la nuova figura dell’infermiere italiano a 20 anni dall’inizio delle battaglie per l’affermazione di un ruolo autonomo e non subalterno della professione. In questa intervista, la prima da quando è stata eletta alla guida dell’Ipasvi, racconta i suoi progetti e le sue aspettative e non si tira indietro rispetto alle polemiche della “sua” minoranza.
Pronta a raccogliere la proposta di
Roberta Chersevani di un incontro tra le due presidenti per affrontare il nodo della questione medico/infermieristica ribadisce comunque che la via è segnata e che il primo obiettivo della federazione sarà proprio quello di portare a casa le competenze avanzate/specialistiche degli infermieri.
Presidente, qual è la prima cosa che le è venuta in mente una volta resasi conto che stava per diventare la nuova presidente dei 423 mila infermieri italiani?
Ho sentito una grande responsabilità: quella di proseguire e garantire la crescita della professione avviata e decollata negli ultimi quindici anni, dalla legge 251 del 2000 in poi. E che soprattutto negli ultimi anni, grazie proprio alla Federazione e al suo lavoro costante, ha consentito alla professione un vero e proprio balzo avanti.
Quali saranno le priorità del primo anno del suo mandato? E quelle a più lungo termine?
Il mio gruppo si è candidato per il rinnovo del Comitato centrale con un programma ben definito che verrà declinato nel corso del triennio con la definizione di progetti e percorsi fortemente contestualizzati rispetto all'andamento del Paese e del sistema salute da cui ricaviamo le determinanti decisionali del nostro impegno. Siamo stati eletti con un consenso indubitabile, lo stesso che ho a mia volta avuto dai colleghi del Comitato centrale che mi hanno eletta presidente.
Tra i punti principali del nostro programma ci sono le competenze avanzate/specialistiche degli infermieri. Si tratta in realtà di un cammino quasi compiuto che per arrivare al traguardo richiede una riflessione culturale non solo da parte nostra. Poi apriremo la partita del territorio sul quale rivendichiamo una presenza attiva e responsabile degli infermieri. E per questo stiamo lavorando con le associazioni dei cittadini con l’obiettivo di mettere a punto indicazioni utili su standard, indicatori di esito e fabbisogni di personale. Contemporaneamente c’è da attualizzare l’esercizio della libera professione degli infermieri. In questo senso intendiamo prevedere un meccanismo di accreditamento che dia garanzie ai cittadini su che professionista è, quello a cui si stanno rivolgendo. E c’è poi tutta la partita della verifica di ciò che oggi si eroga al di fuori dell’ospedale, spesso da parte di soggetti non abilitati e soprattutto con il rischio che bisogni e necessità diventino un mix dirompente da un lato per lo sfruttamento di situazioni di sottoccupazione e dall’altro anche di poca trasparenza dal punto di vista fiscale. A fianco di tutto questo ci dovrà essere anche una revisione dei percorsi formativi, sia per quanto riguarda le competenze di base e specialistiche, sia per l’Educazione medica continua rispetto alla quale la Federazione è sempre stata in prima linea proponendo ai suoi iscritti corsi gratuiti perché gli infermieri siano sempre aggiornati e all’altezza della loro professionalità. E per la formazione intendiamo sostenere anche l’ampliamento, in ambito accademico, del numero di infermieri ricercatori e professori di prima e seconda fascia.
Lei rappresenta l’incarnazione dell’infermiera per la quale l’Ipasvi ha combattuto negli ultimi 20 anni. Super laureata, dirigente e a capo di una struttura complessa di un grande ospedale. A questi traguardi potrebbero/dovrebbero aspirare tutti i suoi colleghi o anche per l’infermiere è il momento di pensare a percorsi di carriera più articolati di quelli attuali?
L'impegno sull'evoluzione delle competenze clinico assistenziali e per la definizione e attivazione della figura dell'infermiere specialista risponde già alla domanda. Continueremo a lavorare sodo non solo per rafforzare quanto abbiamo raggiunto in ambito gestionale-manageriale ma anche per ampliare la platea dei ricercatori e professori in infermieristica e per lo sviluppo di carriera nella clinica. Le sei aree cliniche in cui attivare lo sviluppo delle competenze delineate nell’articolato pronto per la conferenza Stato-Regioni, ne sono una plastica dimostrazione. A tal proposito proseguiranno le riflessioni di un gruppo di lavoro, già attivato prima della mia elezione a presidente, che sta analizzando la tematica e che ci fornirà le basi per fornire le nostre proposte che immaginiamo potranno impattare sull'organizzazione dei processi di assistenza e sulla futura formazione dei professionisti infermieri.
Il fatto che io abbia raggiunto determinati traguardi, poi, dovrebbe essere un’evidenza che all’infermiere non sono precluse strade se ha la volontà e il coraggio di percorrerle. Io ho iniziato la mia attività come infermiera in ambito clinico-assistenziale; ho poi percorso la strada che ho ritenuto più utile per me e per il tipo di lavoro che mi sono resa conto sarebbe stato utile ai colleghi e alla comunità professionale. Ognuno di noi deve curare la propria formazione e crescita professionale, ma deve farlo senza aver paura di percorrere strade che a prima vista sembrano difficili: gli infermieri sono professionisti di tutto rispetto e devono per questo portare avanti, tutti e a testa alta, con coraggio e determinazione autonomia, responsabilità e competenza la loro professione.
Nonostante la laurea e la dirigenza, il sentire comune degli infermieri è ancora quello di una professione in qualche modo “non autonoma” rispetto al medico? E’ così o è solo il retaggio di vecchie situazioni ormai superate?
Non generalizzerei; ci sono colleghi che continuano a rifarsi a modelli e modalità assistenziali ante legge 42/99, ma la maggior parte degli infermieri ha ben chiaro il suo ruolo e il suo status. La vera questione è che i decisori di sistema fanno molta fatica a modificare i modelli organizzativi e quindi le relazioni professionali e le aree di attività e questo costringe a soggiacere, per non entrare in contenzioso ogni giorno e per 365 giorni all’anno, a questa idea davvero fuori dal tempo di una subordinazione e quindi di non autonomia rispetto al medico.
Chi è ancorato al “vecchio” sconta quindi il retaggio di situazioni superate nei fatti (e dovrebbero esserlo anche nella forma), ma che in realtà, soprattutto in alcune aree del Paese, ancora pagano un lento rinnovamento sia delle persone e, soprattutto, della cultura professionale.
Il comma 566 sta diventando il simbolo della definitiva emancipazione infermieristica verso una più complessa caratterizzazione della professione. Sia per gli aspetti delle competenze che per quello dei rapporti con le altre professioni. Ma di fatto a quattro mesi dal varo della legge di stabilità non si è ancora mosso nulla? Cosa pensa di fare?
Continuiamo e continuo a stupirmi per i significati che si sono voluti artatamente dare al mitico (come noi ormai lo definiamo) comma 566.
Per due anni ci è stato detto che senza una legge non si poteva procedere nel percorso dell'evoluzione delle competenze e nel ridisegno delle responsabilità. Abbiamo sempre detto che il quadro giuridico inerente l'esercizio delle professioni sanitarie e della professione infermieristica in particolare era già esaustivo. Ma tant'è: si continuava a invocare una ulteriore definizione normativa di fonte primaria. Bene adesso c'è. È stato messo fine al gioco dell'oca. Speriamo di poterci sedere presto intorno ad un tavolo con le professioni sanitarie tutte e con le rappresentanze sindacali tutte, per andare avanti. Il sistema salute ne ha bisogno. Comunque non intendiamo demordere.
Quindi è ottimista?
Il risultato sarebbe anche a portata di mano se non fosse per una presa di posizione di alcune categorie professionali che non si rendono conto che il sistema paese, ancor prima del sistema salute, ha bisogno di “rimodellare” modelli, funzioni e processi in maniera più coerente ai bisogni di salute dei nostri cittadini. Si tratta di chi non vuole una vera riorganizzazione o nuovi modelli, ma crede di poter tenere tutto e fare di tutto. Ci vuole coraggio, ripeto. Siamo pronti a lavorare con tutti gli altri professionisti in un contesto organizzativo nuovo che si può e si deve realizzare. E’ necessario che qualcun’altro lo capisca.
Si riferisce ai medici, suppongo. In proposito la neo presidente della Fnomceo Roberta Chersevani ha dichiarato ieri in una nostra intervista che è pronta ad incontrala per affronta rei nodi della questione medico/infermieristica. E lei?
Aspettiamo il contatto, noi ci siamo e ci siamo sempre stati. D'altra parte il rapporto tra Federazioni è sempre stato positivo e costruttivo e auspico che possa ulteriormente migliorare e rafforzarsi. La strada della collaborazione tra federazioni, organismi di tutela della professione, è sicuramente quella che può dare i migliori risultati. Ne siamo sempre stati e siamo tutt'ora convinti.
Anche se chi l’ha scelta alla guida dell’Ipasvi è una consistente maggioranza di collegi, una pur piccola ma significativa minoranza esiste, e anche dopo il congresso ha manifestato un disagio verso quella che il presidente di Firenze ha definito “dittatura dolce della maggioranza”. Come risponde a queste critiche?
Credo sia doveroso precisare che oltre l'85% dei Collegi provinciali hanno scelto i sette componenti del Comitato Centrale che a loro volta mi hanno eletta presidente. Forse se la minoranza - di cui mi piacerebbe conoscere consistenza, programmi e progetti - si ponesse in una logica costruttiva anziché preconcetta e denigratoria, sarebbe possibile scrivere una storia diversa. La polemica quando è sterile non porta da nessuna parte e non fa crescere il gruppo, oltre a ledere l’immagine della professione.
Non capisco quindi l’origine della critica, mentre comprendo il disagio di chi ha visto che la maggioranza ha scelto e approvato altro rispetto al suo pensiero. Sia chiaro però: siamo tutti infermieri e questo e non altro deve essere il frame di riferimento di pensieri e azioni, non polemiche che di per sé nuocciono alla professione e trovano la loro riposta nei fatti … e nei voti.
A parte alcune esperienze, la rappresentatività sindacale maggioritaria degli infermieri è ancora saldamente nelle mani dei sindacati confederali che non hanno mai visto di buon occhio la possibilità di un soggetto sindacale autonomo, “forte” e a caratterizzazione professionale, come avviene da sempre per i medici. Che, non a caso, hanno una loro area contrattuale separata dal comparto. Pensa che sia venuto il momento per gli infermieri di compiere lo stesso passo?
Gli infermieri hanno fatto le loro scelte e lo si è visto anche con il recente rinnovo delle Rsu. Io ne prendo atto. Più che di sindacati con questa o quella casacca, servono sindacati forti, in grado di sbloccare la situazione. Ancora una volta gli infermieri, in modo positivo, pesano i fatti, non le parole.
I medici hanno un'area contrattuale autonoma per situazioni antiche che si sono perpetuate nel tempo. Non va dimenticato che fino al '99 erano "la professione sanitaria" della sanità. Ora la situazione è piuttosto diversa sia perché ci sono numerose professioni sanitarie sia perché la stagione della centralità del medico è al tramonto. Si sta avvicinando la stagione dei contratti (anche se molto lentamente), vedremo quali riflessioni prenderanno spazio.
Cosa suggerirebbe a un giovane o a una giovane aspiranti infermieri? Direbbe loro che hanno fatto bene a scegliere questa professione o, in cuor suo, li dissuaderebbe, viste le difficoltà a farsi strada ma anche a trovare un impiego sicuro e ben remunerato?
Gli direi che hanno scelto la professione del futuro e che non devono demordere. La crisi occupazionale attanaglia tutti e l'obiettivo della diminuzione della spesa pubblica incide particolarmente in un ambito - il Servizio sanitario nazionale - che è correlato alla spesa pubblica.
Comunque l’occupazione a un anno dalla laurea per gli infermieri secondo i dati raccolti dal consorzio interuniversitario Almalaurea, nonostante sia scesa dal 2007 a oggi, è al 63% nel 2012 rispetto a una media dell’area sanitaria del 62% e staccando nettamente tutti gli altri settori che sono in media attorno al 29 per cento.
Personalmente ritengo sia meglio impegnarsi in ciò in cui si crede davvero che non correre dietro a traguardi che lascerebbero chi li raggiunge con la sensazione di aver rinunciato a qualcosa di importante. Per sé e per gli altri. Anche qui, ripeto, ci vuole coraggio, come per affrontare qualunque cosa in cui si crede davvero.
Ma non le sembra che gli infermieri italiani guadagnino troppo poco rispetto alla loro preparazione e responsabilità professionali?
Nel farmi la domanda, si è già dato la risposta. Il problema è generale e non riguarda solo gli infermieri. E forse più che altro italiano, visto che da altri Paesi chiedono i nostri professionisti e li giudicano “fortemente motivati, entusiasti con eccellenti capacità comunicative”, inserendoli negli staff dei maggiori ospedali e affidandogli anche nuovi servizi. Se secondo la Ragioneria generale dello Stato nel 2013 un infermiere in Italia guadagna in media circa 33mila euro (si parla della media tra chi è agli inizi della professione e chi invece ha raggiunto la vetta), il salario iniziale in Gran Bretagna è di circa 17.794 sterline, poco meno di 24mila euro e diventa poi 21.000 sterline, 28mila euro, al momento della registrazione con l'NMC (Nursing and Midwifery Council, i collegi inglesi in partica). In sostanza il personale è un valore fin dall’inizio e tale dovrebbe essere per tutti quelli che, a vario titolo, hanno una responsabilità programmatoria, regolatoria ed attuativa.
C.F.
30 marzo 2015
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