“Dal testamento biologico all'obiezione di coscienza. Perché l'Italia ha paura di parlarne?”. Intervista al nuovo presidente della Società italiana di bioetica Francesco Bellino
di Stefano Simoni
Aborto, fine vita, legge 40: “Una società laica, democratica, pluralistica deve recuperare una visione globale della vita e questo lo può fare solo con la bioetica”. "Noi siamo favorevoli al testamento biologico perché crediamo nell'autodeterminazione del malato. Ma l'eutanasia no. Non esiste una buona o una cattiva morte"
22 GEN - La bioetica “è scomoda, perché impegna. Mentre si preferiscono posizioni statiche, ma i problemi di cui si occupa la bioetica sono complessi che hanno a che fare con l’indeterminatezza, con la coscienza”. Inizia con questa dichiarazione che ha l’amaro in bocca, perché per un bioeticista sa un po’ di sconfitta, l’intervista con
Francesco Bellino, docente di Bioetica dell’Università di Bari, neoeletto presidente della Società italiana per la bioetica e i comitati etici (Sibce).
Un presidente cattolico che però rifiuta le contrapposizioni classiche “laico-cattolico” perché spiega “il piano etico è universale per tutti, una società democratica ha bisogno di trovare dei punti d’incontro sul piano etico e bioetico”.
Bellini in quest’intervista si rammarica del fatto che in Italia non si riesca a fare una legge sul testamento biologico “che ritengo un’espressione di autodeterminazione del malato. E questo principio lo difenderemo sempre” e però si dice ancora favorevole al divieto di fecondazione eterologa, dichiarato incostituzionale dalla Consulta “perché i bambini devono nascere all’interno della coppia. L’eterologa è un fenomeno barbarico”.
Professor Bellino, lei è il neo presidente della Società italiana per la bioetica e i comitati etici. È dunque un bioeticista, studioso di una materia che pur trattando di temi che riguardano la vita delle persone è scomparsa dal dibattito politico e pubblico. Perché?
Perché è scomoda, perché impegna. Mentre si preferiscono posizioni statiche, ma i problemi di cui si occupa la bioetica sono complessi perché hanno a che fare con l’indeterminatezza, con la coscienza. È vero, la bioetica in Italia di fatto sembra non esistere. Sempre meno si tiene conto dell’aspetto etico mentre prevale sempre quello giuridico e medico. E questo è un vuoto enorme che ha creato contrapposizioni. Per me non esiste una bioetica cattolica e una laica. Il piano etico è universale per tutti e una società laica, democratica, pluralistica deve avere dei punti in comune sull’etica. Abbiamo bisogno di recuperare una visione globale della vita e questo si può fare solo con la bioetica.
La Società che presiede ha a cuore la centralità della vita umana, ovvero il rispetto della persona nella sua interezza, dalla nascita fino alla morte. Tema bioetico è la “buona morte”, l’eutanasia. Qual è la sua posizione in merito?
Distinguiamo. Io non sono contrario al testamento biologico che ritengo un’espressione di autodeterminazione del malato. E questo principio lo difenderemo sempre. Diverso è invece il concetto di eutanasia, a cui sono contrario, che è equivoco perché non c’è una buona o cattiva morte. Nessuno di noi ha fatto esperienza di morte. Io preferisco parlare di
eubiosia, ovvero di buona vita. Occupiamoci fino alla fine della vita del malato e rispettiamo la sua dignità, i suoi problemi, le sue paure. Che cosa facciamo noi per aiutare una persona che soffre, che sta morendo, a conservare la sua dignità, a fare in modo che conservi sempre un minimo di autodeterminazione?
Lei quindi non è contrario ad una legge sul fine vita che riconosca il diritto all’autodeterminazione, a non soffrire e a rifiutare i trattamenti medici?
Certamente. Io sono contro l’accanimento terapeutico e il limite è proprio la dignità della persona. Però è difficile stabilire per legge certi principi. Occorre sempre dare un margine di valutazione dei singoli casi. Io sono contrario ad una legge tassativa perché è pericolosa, dobbiamo calarci nelle singole situazioni e mettere al primo posto la dignità della persona.
Una legge, però, in quanto tale, deve fissare dei principi che poi saranno tassativi.
La vita va sempre difesa e dentro questo principio occorre valutare caso per caso per evitare l’accanimento terapeutico. Quello che sta emergendo attraverso lo studio dell’etica e della medicina è la necessità di tener conto dei singoli casi clinici, morali, psicologici, sociali evitando le generalizzazioni. Capisco la sua obiezione ma non so se si può normare in questo settore. Importante è anche il ruolo del medico che non è un agente passivo ma persona dotata di buon senso. Ecco, quello che si sta perdendo è proprio il buon senso, la saggezza pratica, aristotelica. Nella morale il buon senso serve più di tutto.
Quinsi sì al testamento biologico fondato sul principio di autodeterminazione e no all’eutanasia?
Certamente. In Italia dovrebbero esserci le dichiarazioni anticipate. Trovo assurdo che non si riesca a legiferare, e sarebbe importante anche responsabilizzare i malati ad esprimere le proprie volontà.
Legge 40. A più di dieci anni dalla sua emanazione e alla luce delle numerose sentenze che ne hanno svuotato il senso originario, si può dire che quella legge di buon senso ne aveva poco?
Io ho partecipato alla Commissione Busnelli, costituita nel 1995 dal ministro di Grazia e Giustizia. Per un anno e mezzo abbiamo studiato i problemi relativi alla fecondazione artificiale, e l’impalcatura della legge 40 è frutto proprio il nostro lavoro. Lo smantellamento della norma dimostra la difficoltà di legiferare con criteri generali, casi che sono particolari, diversi e sempre nuovi perché la scienza va avanti. La legge deve prevedere dei principi fondamentali inderogabili per il resto occorre affidarsi alla valutazione dei casi singoli.
Lei resta favorevole al divieto di fecondazione eterologa?
Si, totalmente. Credo che l’eterologa sia un fenomeno barbarico i bambini devono nascere all’interno della coppia. La tecnologia deve aiutarci a risolvere i problemi non aumentarli. Penso all’anonimato, alla riservatezza dei dati del donatore.
Aborto e obiezione di coscienza. Due esigenze da tutelare che però entrano in conflitto tra loro. Qual è la sua posizione in merito?
Per me l’obiezione di coscienza è stata una conquista della civiltà. La coscienza è sovrana e l’etica è fondata sulla coscienza che se è autentica deve essere rispettata sempre. Io sono per il rispetto della coscienza che è il sacrario dell’uomo mentre lo stato etico, che molti invocano, è un pericolo, la coscienza è il pilastro.
D’accordo ma questo come si coniuga con il rispetto della volontà della donna che ha deciso, per ragioni che riguardano solo la sua coscienza, di abortire?
Capisco che questo è un problema reale, specie in una struttura pubblica dove dobbiamo garantire un servizio e dobbiamo trovare il modo di soddisfare queste esigenze. Credo che il tutto andrebbe supportato da un
counseling etico ma le nostre strutture sanitarie sono carenti da questo punto di vista, mentre le persone hanno bisogno di parlare dei propri problemi sul piano valoriale e non solo sul piano tecnico e giuridico. Decidere se una maternità deve essere portata a termine o meno, non è solo questione medica ma anche morale. Riconosco che va trovata una soluzione. Non lo so, forse si potrebbe creare un circuito di medici non obiettori. Resta il fatto che su questo tema va fatta una riflessione su basi culturali diverse. C’è invece una contrapposizione tra obiettori e non obiettori quasi ci fosse un automatismo decisionale, io sono contrario a questi steccati. Compito della bioetica è invece creare un terreno d’incontro.
Stefano Simoni
22 gennaio 2015
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