Speciale 8 marzo. La vita difficile delle donne medico. Tra scelte, tempi, prospettive e libertà
di Sandra Morano
Ecco le storie di quattro donne. Sono medico, ex allieve o specialiste in formazione. E affrontano ogni giorno i pregiudizi, reali o percepiti come tali, di un ambiente ancora fortemente maschile. Le difficoltà di conciliare la vocazione di medico con quella di madre. La convinzione di doversi ispirare a modelli maschili per potersi affermare. Quattro storie per riflettere sul bisogno finalmente espresso di modelli femminili in Medicina
08 MAR - Di solito in marzo si scatena su tutti i media, in tutte le istituzioni, associazioni, una invasione di cifre riguardo al “posto della donna nella società degli uomini”. Lavoro, occupazione, e più recentemente patologie femminili, prevenzione, femminilizzazione della professione medica, tetti di cristallo, carriere, violenza. Cifre alla cui diffusione non è estraneo neanche il mondo medico, che nelle federazioni, nelle associazioni di categoria, ha già da tempo raccolto informazioni e proiezioni per convegni su medicina di genere, comunicati, dossier, ecc.
Più di un anno fa, nella
prima Conferenza Nazionale su “Donne e Medicina” dell’Anaao Assomed, proponemmo di guardare il tema a partire dalle scelte del/nel mestiere di cura, attraversando tempi e prospettive impari, perché differenti, verso una libertà che è ancora tutta da costruire. Che è l’espressione di quella diversità che nemmeno alle stesse protagoniste è ancora sufficientemente chiara, così come alle fautrici della impropriamente definita “rivoluzione di genere”, agìta in un campo tradizionalmente maschile, con regole ad esse estranee.
Per questo 8 marzo ho raccolto, nei luoghi della formazione dove si sviluppano le tendenze, e in quelli delle cure dove si consumano gli anni della vita e della professione, da ex allieve o specialiste in formazione, quattro storie che ritengo esemplificative delle categorie suesposte. Dentro ci sono le scelte, difficili da fare e da perseguire, in un clima di darwinismo a cui neanche le donne sono estranee, i tempi, inclementi con quelli della riproduzione, ma anche con la giornata tipo di ognuna di noi, e infine le prospettive e le libertà, racchiuse contemporaneamente nelle due riflessioni finali. Il bisogno di un empowerment che ci può venire solo dal di dentro, dalla piena consapevolezza della nostra diversità e dalla enorme forza (superiorità?) che un emancipazionismo neutrale ci ha finora impedito di vedere e valorizzare, e che ci capita di scoprire non in sala operatoria, ma – inaspettatamente - in travaglio. Al di là delle ritualità sulla salute delle donne, può essere interessante per qualcuno attrezzare la formazione, la professione medica, la dirigenza, l’associazionismo, a rispondere al bisogno finalmente espresso di modelli femminili in Medicina?
SCELTE
Sonia, una studentessa imperfetta
“E' stata un'esperienza molto difficile. Ho avuto una specie di crollo in concomitanza con un momento cruciale dal punto di vista ‘professionale’: avevo appena iniziato il mio ultimo anno di università ed era iniziato l'ultimo sprint per arrivare al traguardo, la laurea. Allo stesso tempo, però, riflettendo sul percorso fatto e su quello che mi aspettava da lì a qualche mese, non mi sentivo minimamente preparata a finire il percorso. Il modello educativo italiano per quanto riguardo il corso di studi in medicina è famoso in tutto il mondo per essere molto teorico: sappiamo tutto su patologia e fisiopatologia, ma non sappiamo poi fare un ragionamento clinico vero e proprio di fronte ad un paziente che si presenta a noi. A me spaventava l'idea di ‘mettermi in gioco’ dal punto di vista lavorativo perché mi rendevo conto che non avrei saputo applicare le nozioni che avevo imparato nel corso degli anni alle situazione pratiche e reali che mi si sarebbero presentate. L'università italiana, in questo senso, a mio parere, pecca un po' nel non saper accompagnare gli studenti in un percorso che sia propriamente FORMATIVO: per quel che ho visto dalla mia esperienza, si limita un po' solamente a dare nozioni.
Gli studenti spesso si sentono abbandonati a se stessi, senza una guida, e questo l'ho potuto cogliere anche nella mia esperienza da rappresentante, che ho fatto nei miei primi due anni di università. Infatti, l'idea generale è che ci si deve arrangiare, è lo studente che deve prendere iniziativa e muoversi, sennò non impara nulla. Aspetto particolarmente preponderante, che ho anche vissuto sulla mia pelle per il mio momento di difficoltà, è l'idea che chi resta indietro sia meno bravo; c'è una specie di gara a chi finisce prima, mettendo quasi in secondo piano la qualità della preparazione, aspetto che è anche incentivato dai cosiddetti punti-velocità e punti-malus alla laurea. Alla luce di questo, il mio ‘rimanere indietro’ per il mio momento di difficoltà devo ammettere che l'ho anche vissuto come fallimento personale, perché non ero riuscita a ‘restare in gara’.
Il clima di competizione, poi, ho percepito nella mia esperienza, è particolarmente forte tra le ragazze, e in un certo senso la solidarietà femminile è spesso carente. Questa è una verità che viene riconosciuta anche nella vita quotidiana. Ed essa viene giustificata parlando di natura femminile. E qui il discorso potrebbe diventare infinito. Però, forse le donne sono anche più competitive, più agguerrite, perché sentono di doversi impegnare e lottare di più per mostrare quanto valgono? Potrebbe essere quasi una rivincita sociale? Non so, non ho gli elementi per giudicare. Ma faccio ipotesi in base a quello che osservo. Ho imparato che non ho il controllo totale della mia vita, gli incidenti capitano, non vuol dire che sia colpa mia. Quello che ho imparato dalla mia esperienza, alla fine, è che sono un essere umano, non sono perfetta, non sono un robot, e vado bene così”.
TEMPI
Alessandra, una “arrivata”
“Ho 37 anni e sono una ginecologa. Da circa 6 anni svolgo la mia professione presso l’U.O. di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Infermi di Rimini e sono mamma da 9 mesi. Ho passato buona parte della mia vita sui libri. Il modello a cui mi ispiravo era quello che mia madre mi aveva insegnato: la donna emancipata che, qualunque cosa succedesse, potesse contare sulla propria indipendenza, ottenuta con lo studio prima e con il lavoro poi. E poi, era ciò che avrei voluto insegnare ai miei figli. Già, i miei figli. Ma quando farli questi figli? Perché il rischio che il momento non arrivasse mai era concreto! La realtà è che il mondo del lavoro è competitivo, (specialmente per una giovane donna medico) e, benché abbia cercato di realizzare i miei sogni, una piccola parte di me sapeva che se avessi avuto una gravidanza prima, sarei rimasta fuori da quel circuito che mi avrebbe consentito di realizzare ciò che volevo. Una triste realtà a cui ho deciso di piegarmi.
Dal test di gravidanza ad oggi, sto vivendo sicuramente il periodo più bello della mia vita. Ho energie da vendere e penso al mio lavoro come una conquista che nessuno potrà togliermi – crisi permettendo -, ma non mi vergogno ad ammettere che non scalpito per rientrare in ospedale. Tra breve rientrerò in servizio e si porrà il problema di chi dovrà gestire la bambina. Ho il grande privilegio di avere dei nonni a tempo pieno e di poter godere di un nido aziendale, ma tutto ha un costo in termini di denaro, sensi di colpa e rammarico, oltre che di un languore che solo un innamorato può comprendere. In qualche modo farò, ma spesso mi domando come fa chi questa rete di risorse umane e materiali non le possiede. A volte penso che i mille ruoli che una donna deve ricoprire possano farla sembrare un po’ schizofrenica, ma del resto a questo mondo chi può dire di essere davvero normale?”.
PROSPETTIVE, LIBERTA'
Valeria, specializzanda in Igiene, II anno
8 marzo-non solo mimose
“La giornata internazionale della donna quest’anno, per me, sarà diversa. Non perché sono donna, non perché sono una giovane medico in formazione, ma perché sono diventata da un mese mamma di una splendida bambina. Per me l’8 marzo ha sempre evocato le Suffragette americane ai primi del ‘900, le lavoratrici dell’industria tessile della Manchester descritta da Engels, le ragazze del ’68 che rivendicavano una parità col sesso maschile. Le prove che un giovane medico deve affrontare nel percorso di studi e di formazione sono molteplici, ma non sono solo gli esami o le ore di corsia e sala operatoria a contribuire a ciò che siamo professionalmente. La comunicazione e l’empatia difficilmente possono essere inserite nella didattica, sono capacità che si acquisiscono con un’esperienza di vita.
Scegliere di diventare madre esige un bilancio su come la propria vita cambierà: si pensa spesso alle rinunce, alla conciliazione con il lavoro durante la gravidanza e dopo la nascita all’asilo nido. Come il percorso di studi in Medicina: c’è un test iniziale di ammissione e poi c’è la laurea, ma fra i due eventi ci sono almeno 6 anni di travaglio!
L’esperienza della gravidanza insegna l’attesa, la gestione dei timori e delle aspettative, il cambiamento; è una fase della vita che dovrebbe essere maggiormente valorizzata, perché non sia considerata dalla donna un ostacolo e dal datore di lavoro una riduzione irrecuperabile della produttività della sua ‘risorsa umana’.
Dalla rottura delle membrane al pianto della mia bambina ho superato un esame dopo l’altro, ad ogni contrazione, a desiderare che fossero più regolari e intense, anche se questo voleva dire provare più dolore, ma anche avvicinarsi alla fine col suo stupendo epilogo. Il travaglio mi ha insegnato a lottare, stringendo i denti, per raggiungere un obiettivo, e questa esperienza, con la sua unicità, credo renda una donna veramente più forte e consapevole di poter affrontare anche le prove più difficili.
Quando penso all’8 marzo, ora, penso anche a tutte le madri che come me credono che questo sia un valore aggiunto, nella vita privata e in quella professionale, pronte a lottare per i propri diritti e a valorizzarsi in quanto donne, senza l’ombra della competizione con l’universo maschile, veramente libere di essere se stesse”.
Francesca, specializzanda Ginecologia e Ostetricia, V anno
Abbiamo bisogno di modelli femminili
“Negli ultimi tempi si è parlato molto dell’aumento percentuale delle donne nella scelta di facoltà scientifiche, e della prevalenza del colore rosa in Centri di ricerca e nelle Università. In ambito medico il fenomeno è tanto importante da aver spinto i più ottimisti a parlare di ‘Femminilizzazione della Medicina’. Per quanto riguarda me, giovane madre (ho una bimba di 8 mesi), e la mia esperienza di ginecologa in formazione all’ultimo anno di specialità, sarei portata a pensare piuttosto alla constatazione quotidiana di un fenomeno di mascolinizzazione delle donne che scelgono di fare il medico.
Il problema forse risiede nella mancanza di modelli femminili di riferimento, nella oggettiva ‘debolezza’ delle poche testimonianze di coerenza ‘di genere’ tra professione ed esistenza percepite come non vincenti, sicuramente scomode da imitare, perché a prezzi (ancora) troppo alti; e nell’adattamento pedissequo a modelli maschili-pur di dubbia validità!-, in quanto, si dice, i soli a disposizione.
Così succede (chi di noi non ci si è ritrovata?) che davanti alla macchinette del caffè il crocchio delle giovani dottoresse, via via sempre più nutrito, e perennemente scontento, parli ancora oggi, come trenta anni fa, di discriminazione, di non valorizzazione, di esclusione, cercando con criteri maschili certezze difficili da acquisire in contesti non ancora a misura di donne. Avrei detto qualche tempo fa ‘Abbiamo bisogno di modelli femminili!’. Oggi invece vorrei da noi (quante!) il coraggio di iniziare a camminare su quelle poche tracce già esistenti, farle nostre, e su quelle investire in formazione per le cure del futuro”.
Sandra Morano
Ginecologa Ricercatrice Università degli Studi di Genova
08 marzo 2014
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