Punti nascita. Romagnoli (Sin): “La chiusura di quelli piccoli è una necessità"
Per il presidente dei neonatologi italiani la chiusura delle strutture con meno di 1.000 nati all’anno permetterebbe "un migliore utilizzo delle risorse economiche ed umane, migliorerebbe la qualità delle prestazioni sanitarie e, soprattutto, porterebbe ad una riduzione dei rischi di contenziosi medico-legali”.
18 FEB - La Società Italiana di Neonatologia (Sin) "si associa alla
protesta sollevata da Ginecologi e Ostetriche" per la mancata attuazione della razionalizzazione dei punti nascita, anche in considerazione della “scarsità di sicurezza per madre e bambino nelle strutture il cui volume di attività è ridotto”. “Da anni la Sin si sta battendo perché si riducano o si eliminino i punti nascita con meno di 1000 parti l’anno – afferma
Costantino Romagnoli, Presidente della Sin, professore di Clinica pediatrica all’Università Cattolica di Roma e direttore dell’Unità Operativa di Terapia Intensiva Neonatale (TIN) del Policlinico A. Gemelli –. Questo porterebbe ad un migliore utilizzo delle risorse economiche ed umane, migliorerebbe la qualità delle prestazioni sanitarie e, soprattutto, porterebbe ad una riduzione dei rischi di contenziosi medico-legali”.
Il maggior ostacolo nella razionalizzazione dei punti nascita, secondo la Sin, è nella mancata attuazione dell’Accordo Stato-Regioni. “Nonostante l’impegno dei Presidenti delle regioni italiane e della SIN, le proposte fatte trovano quasi sempre l’opposizione delle autorità regionali che sono quelle dedicate a legiferare in campo sanitario – continua Romagnoli –. Il Governo centrale emana degli indirizzi, ma le singole regioni si ritengono autonome nell’applicarle o meno. In questo gioco la voce delle Società scientifiche, spesso coinvolte in tavoli tecnici, viene ascoltata molto poco se non per nulla”.
L’autonomia regionale, secondo la Sin, si riflette anche sui comportamenti assicurativi a danno dei sanitari. “Si è calcolato – continua Romagnoli – che di tutti i contenziosi medico-legali che coinvolgono i neonatologi/pediatri meno del 5% si conclude con il riconoscimento di una colpa, non sempre grave. Tuttavia la mole di contenziosi che vengono sollevati nella speranza di un indennizzo, sempre più facile, pesa in modo determinante sui bilanci delle Società Assicuratrici che stanno progressivamente abbandonando il mercato sanitario. Di qui le auto-assicurazioni delle aziende con ripercussioni negative sui sanitari. Non è il caso di fare demagogia, ma è certo che la chiusura dei centri nascita con meno di 1000 parti l’anno e la centralizzazione delle attività di terapia intensiva neonatale porterebbero ad un notevole risparmio economico e ad una migliore utilizzazione delle risorse umane”. Anche i problemi medico-legali e assicurativi “ne avrebbero un giovamento e i sanitari potrebbero svolgere il loro lavoro più serenamente”.
In questo scenario, la Società Italiana di Neonatologia auspica l’intervento del Ministro. “È ora di cambiare passo e modo di ragionare – conclude il Presidente della Sin –. Le autonomie regionali non possono continuare a creare discrepanze di tipo assistenziale e disparità di prestazioni, quantitative e qualitative, tanto più ingiuste quanto più penalizzano i soggetti più fragili. Non dimentichiamo che i neonati di oggi costituiranno la società italiana di domani”.
18 febbraio 2014
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