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Cassazione. Paziente dà informazioni errate. Medico comunque responsabile delle cure


Condannati alcuni medici precedentemente assolti che, per decidere il da farsi, si erano basati sulle dichiarazioni di un paziente poi deceduto. Per la Suprema Corte l’incompletezza o la reticenza delle informazioni ricevute dal paziente non limita la responsabilità del medico. Cozza (Fp Cgil Medici): “Serve nuova legge su responsabilità professionale". La sentenza.

20 SET - “Una volta iniziato il rapporto curativo, la ricerca della situazione effettivamente esistente in capo al paziente, almeno per quanto attiene alle evidenze del suo stato psico-fisico, è affidata al sanitario, che deve condurla in modo pieno e senza fidarsi dell'indirizzo che può avergli suggerito la dichiarazione resa in sede di anamnesi dal paziente, integrando un diverso operare una mancanza palese di diligenza, con la conseguenza che deve escludersi che l'incompletezza o reticenza sotto il profilo indicato delle informazioni sulle sue condizioni psico-fisiche, se queste sono accertatali dal sanitario e/o dalla struttura attraverso l'esecuzione accurata secondo la lex artis della prestazione iniziale del rapporto curativo, non può essere considerata ragione giustificativa per l'applicazione della limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c.”. E’ quanto si legge nella sentenza della Corte di Cassazione, Sez III Civ, del 12 settembre 2013, n. 20904, che ribalta il giudizio sull’assoluzione dei medici di una struttura ospedaliera in cui era avvenuta la morte di un paziente.
 
Questi i fatti: tra il 28 giugno e l'11 agosto, giorno del decesso, il paziente si era infatti recato in ospedale più volte, riferendo di un trauma accidentale al fianco sinistro che i medici avevano trattato con antidolorifici. Solo dopo molti accessi, a seguito del peggioramento delle condizioni di salute del paziente, i medici avevano esteso i controlli dalla zona inguinale e addominale alla coscia, rilevando una lesione nevrotica del diametro di 4 cm alla faccia mediale della coscia sinistra e la presenza di una scheggia di legno di 4 cm. Raggiunto uno stato settico non dominabile, il paziente era stato inviato al reparto malattie infettive, dove gli venne diagnosticata una fascite necrotizzante che lo ha portato alla morte.

Ma la sentenza della Cassazione preoccupa la Fp Cgil medici. “L'applicazione del principio della Cassazione secondo il quale il medico non deve fidarsi di quanto sostenuto in sede di anamnesi dal paziente ma condurre tutti gli accertamenti possibili in relazione alle evidenze dello stato psico-fisico del paziente, mina l'appropriatezza dei percorsi diagnostici, costringendo i sanitari a sottoporre i cittadini a un innumerevole numero di esami”, afferma Massimo Cozza, segretario nazionale del sindacato. Secondo il quale “si tratta di un ulteriore mattone che completa il muro della medicina difensiva per la quale sono stati stimati oltre 10miliardi di sprechi di spesa sanitaria, a danno non solo della serenità dell'operato dei medici, che sono giudicati non diligenti se non prescrivono, ma degli stessi cittadini che si devono sottoporre alle indagini diagnostiche".

Per questo Cozza chiede l’intervento del ministro della Salute Beatrice Lorenzin a “rompere ogni indugio” e “presentare subito una legge sulla responsabilità professionale in sanità, in base al confronto avuto con le organizzazioni sindacali mediche. Vanno definiti in modo completo tutti gli aspetti in gioco, consentendo ai medici e agli operatori sanitari di operare serenamente sulla base di norme eque, chiare e uniformi. Vanno cioè – sottolinea Cozza - stabilite regole a garanzia dell'uniformità di trattamento dei cittadini e a tutela della professionalità dei medici, troppo spesso esposti a denunce strumentali, alimentate da poderose campagne pubblicitarie”.

 

20 settembre 2013
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