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Morire di parto. La responsabilità di non aver ancora attuato il piano “Punti nascita”

di C.Gigli e A.Vergallo

Dura presa di posizione dei presidenti di Fesmed e Aaroi Emac dopo la morte di una donna a Nicosia lo scorso 5 agosto. “Dobbiamo constatare che, a distanza di quasi tre anni, poco o nulla è stato fatto in tante Regioni, fra le quali la Sicilia, per attuare l’accordo Stato Regioni del 2010 sulla sicurezza dei punti nascita"

13 AGO - La triste notizia della donna morta di parto a Nicosia, lo scorso 5 agosto, riporta alla mente la raccomandazione emanata su questo argomento dal Ministero della salute. Nel documento si rileva come gli eventi avversi associati al parto possano avere un’incidenza maggiore di quanto le statistiche ufficiali riportino, e come possano risultare troppo spesso associati a fattori organizzativi.
 
In generale, gli ospedali non adeguatamente attrezzati, non collegati a terapie intensive, la mancanza di sangue e derivati, l’organizzazione del lavoro dei professionisti basata sulle pronte disponibilità invece che sulle guardie per carenza di personale, sono senza dubbio circostanze che frequentemente rischiano di creare i presupposti per il verificarsi di fatti drammatici o tragici.
 
Anche per questo motivo, il 16 dicembre 2010 veniva sottoscritto l’Accordo, tra il Governo e le Regioni, sulle ”Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”. In tale accordo si contemplava l’attuazione, da parte delle singole Regioni, di precisi criteri da adottare, tra cui la razionalizzazione/riduzione progressiva dei punti nascita con basso numero di parti, l’individuazione dei requisiti minimi di sicurezza relativi ai diversi livelli ospedalieri di assistenza ostetrica e neonatale, e la definizione delle risorse umane necessarie sulla base dei carichi di lavoro.
 
Dobbiamo constatare che, a distanza di quasi tre anni, poco o nulla è stato fatto in tante Regioni, fra le quali la Sicilia, per attuare il suddetto accordo.
In generale, non entrando nel merito dell’opportunità di chiudere o di mantenere aperto questo o quel punto-nascita, riteniamo che così come le Regioni rivendicano il loro diritto alla gestione dei propri sistemi sanitari regionali, in quanto più vicine alle realtà locali e ai bisogni dei cittadini, di pari grado non possano sottrarsi al loro dovere di decidere, anche e soprattutto in un momento in cui le condizioni economiche obbligano a scelte precise, su come e su dove debbano essere allocate le risorse disponibili. Crediamo che tra le scelte possibili non possa rientrare quella di mantenere in funzione servizi strutturalmente inadeguati, al di sotto degli standard di sicurezza, e in violazione del contratto di lavoro dei professionisti chiamati a prestare la loro opera, soprattutto in condizioni di emergenza-urgenza.
 
Nel momento in cui non si decide quali siano i presidi ospedalieri ed i servizi sanitari che devono erogare le prestazioni indispensabili ai fabbisogni di salute dei cittadini, e non si provvede ad attrezzarli e ad organizzarli in maniera adeguata, si creano i presupposti per intollerabili situazioni di rischio, non solo nei punti-nascita, ma anche in tutte le altre strutture sanitarie deputate a gestire un’urgenza o un’emergenza medica o chirurgica, tra cui le sale operatorie.
 
Chiediamo a chi ha la precisa responsabilità di garantire il diritto alla salute dei cittadini, in tutte le Regioni, di provvedere al più presto alla messa in sicurezza dei punti-nascita e dei servizi per l’emergenza-urgenza di tutti i presidi e i servizi ospedalieri presenti sull’intero territorio nazionale.
 
Carmine Gigli  
Presidente FESMED                                                                                    
 
Alessandro Vergallo
Presidente AAROI-EMAC

13 agosto 2013
© Riproduzione riservata

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