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Cosmofarma. Il convegno Fofi-Federfarma. L’evoluzione della farmacia parte dal territorio


Dall’analisi all’intervento: il dibattito che ha attraversato i convegni di Cosmofarma 2013 ha mostrato uno scenario in cui i farmacisti di comunità riprendono l’iniziativa per disegnare un nuovo modello di intervento sul territorio. Capacità, specializzazione e flessibilità, i cardini del valore aggiunto.

23 APR - Per una volta è stato abbastanza semplice indicare il tono generale di una manifestazione, per sua natura piuttosto composita, come Cosmofarma. L’edizione 2013, infatti, nell’offrire un gran numero di convegni, vedeva però dominare il tema del cambiamento della farmacia italiana. Com’è naturale, questo era evidente nel convegno organizzato da Federazione degli Ordini (Fofi) e Federfarma, dove l’analisi presentata da Gadi Schoenheit, vicepresidente di DoxaPharma, ha dimostrato, in modo si può dire definitivo, che la farmacia italiana non può sopravvivere se resta ancorata al modello logistico, cioè alla semplice dispensazione dei medicinali o anche di altri prodotti dell’area benessere.

La chiave dunque è nel valore aggiunto delle capacità del professionista, il vero margine competitivo, ma anche in altri elementi strategici: la specializzazione, la flessibilità in funzione delle esigenze sul territorio. Elementi, ha messo in luce Schoenheit, che peraltro sono già presenti nelle iniziative che autonomamente una quota interessante di titolari ha già assunto. Ma, e qui si viene alla presentazione di Andrea Manfrin della Medway School of Pharmacy, coordinatore del progetto pilota sull’Mur patrocinato dalla Fofi, c’è la necessità di dimostrare che strumenti e prestazioni che già hanno avuto applicazione in altri contesti possono essere applicati con lo stesso successo anche nella farmacia italiana.

Non è una fase trascurabile perché sia l’attitudine culturale del paziente, sia l’organizzazione sanitaria differiscono in modo anche sostanziale tra un paese e l’altro: in Gran Bretagna, per esempio, storicamente il pap-test viene eseguito dal medico di famiglia, arduo dire che in Italia si faccia altrettanto o che sarebbe prospettabile questa modalità. I dati forniti dalla sperimentazione del Mur, nelle province di Treviso, Pistoia, Torino e Brescia, hanno fornito, in questo senso, importanti conferme. La prima è che il farmacista italiano, dopo una formazione specifica, può eseguire correttamente la revisione dell’uso dei medicinali: quasi 900 pazienti “trattati” da 74 farmacisti in cinque mesi, con effetti inaspettati, quali la telefonata in farmacia per prenotare la prestazione. Di questa prestazione c’è effettivamente necessità, perché dall’analisi statistica dei dati rilevati durante il Mur, l’80% dei pazienti presenta almeno un problema legato all’uso dei farmaci prescritti e il 45% dei pazienti risulta potenzialmente “non aderente” alla terapia (vuoi perché dimentica l’assunzione, vuoi perché assume dosaggi potenzialmente inefficaci e altro ancora).  E per una volta non si tratta di estrapolazioni dalla letteratura internazionale, ma di evidenze emerse dalla ricerca sul campo. Il prossimo passo, ha riassunto Andrea Manfrin, verterà sull’impatto clinico del Mur e sulla sua traduzione in termini di riduzione dei costi sanitari grazie alla migliore aderenza della terapia. “Dobbiamo passare dalla fase della ricognizione dell’esistente alla dimostrazione dell’efficacia di quanto il farmacista può fare nel processo di cura” ha chiosato il segretario della Fofi, Maurizio Pace. “Che si abbia a che fare con il servizio sanitario pubblico o con le assicurazioni private, il terzo pagante prima di rimborsare una prestazione di qualsiasi genere esige la prova della loro costo-efficacia”.

Ci sono state anche voci differenti: nel corso del convegno organizzato dalla rivista AboutPharma, Nello Martini, già direttore generale dell’Aifa e oggi  Direttore Ricerca & Sviluppo dell’Accademia Nazionale di Medicina, ha criticato radicalmente questo approccio. Le indagini e gli studi possono essere fuorvianti, ha ammonito, e del resto i modelli basati sulle prestazioni avanzate del farmacista – ha citato Francia e Gran Bretagna – sono falliti. Il punto, ha detto, è riportare nella farmacia tutti i medicinali, compresi gli innovativi compatibili con l’impiego sul territorio (per esempio gli anticorpi monoclonali impiegati per l’artrite reumatoide o le incretine per il trattamento del diabete tipo 2) ma questo è impossibile visto che il farmacista che opera nella farmacia di comunità non ha una preparazione adeguata.

In realtà è difficile capire come possa essere fallito il modello britannico, visto che solo pochi giorni orsono è stato rinnovato il finanziamento di un’altra prestazione della farmacia: il new medicine service (Nms), attualmente in sperimentazione, ed è stato confermato il finanziamento del Mur. La riforma voluta dal primo ministro Cameron ha inciso sul livello organizzativo e amministrativo,ma  non ha revocato in dubbio l’efficacia della pharmaceutical care o il ruolo delle farmacie, come confermato dalle parole del ministro della salute Norman Lamb del 22 aprile.
“Il divorzio tra la farmacia di comunità e il farmaco innovativo non è stato sancito dall’impreparazione dei farmacisti di comunità - ha replicato Maurizio Pace nel corso del confronto - ma dalla Legge 405, dalla nascita della distribuzione diretta. E peraltro non è solo il farmacista sul territorio ad avere un deficit di informazione su questi aspetti, una situazione analoga si può facilmente riscontrare anche tra i medici di medicina generale. Ma come i colleghi farmacisti ospedalieri, anche quelli di comunità hanno tutte le possibilità di mettersi al passo con l’innovazione. E del resto la richiesta di riportare l’innovazione farmacologica sul territorio è stata sollevata da tempo dalla Federazione, così come quella di rivedere il ruolo del farmacista nell’assistenza territoriale e, in sostanza, di riformare il servizio farmaceutico”.

Ma le riforme, piaccia o meno, spettano alla fine alla politica, così come fu un’iniziativa politica, appunto, l’istituzione di un doppio canale per la farmaceutica territoriale. Ci fu passività della professione quando certe scelte vennero adottate? E’ possibile, ma è da tempo che è stata ripresa la strada dell’iniziativa, anche sul piano concreto: lo provano le tante iniziative sul territorio, grandi e piccole, che oggi cominciano a vedersi. Non è poco.

23 aprile 2013
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