È stato inoltrato alla Camera dei Deputati il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata, già approvato dal Senato, frutto di un patto politico all’interno della maggioranza di governo. Il potenziamento del regionalismo in 23 materie, tra le quali la sanità, trova la sua premessa nella modifica del titolo V della Costituzione effettuata nel 2001. Ma, per un paradosso della Storia, chi allora era contrario al regionalismo, fino a presentare nel 2014 un ddl per l’abolizione delle Regioni, oggi sostiene il progetto, sia pure con qualche mal di pancia. Viceversa, i sostenitori del primo provvedimento oggi si oppongono con emendamenti azzerati da votazioni in batteria.
Forse non siamo all’eversione ma, certo, l’approvazione del ddl segna la fine dello Stato e di quella identità nazionale che il Presidente del Consiglio rivendicava dalla opposizione e continua a rivendicare oggi.
Il diritto alla tutela della salute, l’unico che la Costituzione definisce “fondamentale”, viene frammentato in 21 parti, diverse per l’accesso alle cure e i loro esiti, cessando di avere una valenza nazionale per assumerne una locale, con effetti devastanti per le regioni meridionali, comprese quelle governate dal centrodestra che (per ora) sussurrano o non fiatano. La salute di un cittadino lombardo avrà valenza diversa, più di quanto già oggi avvenga, da quella di un cittadino calabrese. Perché le Regioni più ricche, grazie a un residuo fiscale stimato in circa 20 mld, potranno assicurare ai propri residenti servizi migliori, per quantità e qualità.
Le palesi ambiguità della legislazione concorrente hanno decretato il fallimento del federalismo, spesso di abbandono, in sanità, ma la versione “a geometria variabile” aumenta le spinte verso l’egoismo territoriale e il sovranismo regionale oltre che l’entropia del sistema, in cui le differenze arrivano alla stessa erogazione dei LEA. Più sistemi sanitari, a diversa efficacia e sicurezza, comportano il venir meno del concetto stesso di Servizio sanitario nazionale e di politica sanitaria nazionale.
Brilla poi nel testo l’assenza di fili verticali quali lo stato giuridico del personale, la perequazione finanziaria a favore delle regioni svantaggiate, i requisiti di accreditamento di strutture e professionisti, i livelli essenziali organizzativi omogenei, le competenze delle professioni, gli accordi contrattuali e convenzionali. Il quadro che viene fuori dal Ddl Calderoli è confuso ma chiaro sul risultato ultimo che rischia di conseguire: rendere i livelli essenziali in sanità ancora più essenziali se non addirittura “eventuali”.
In presenza di un elevato deficit e debito pubblico, e dei vincoli comunitari, appare difficile il finanziamento necessario a garantire LEA egualitari. Una riforma a costo zero sarà costretta, nonostante l’ambizioso progetto, a conservare il criterio della spesa storica con l’effetto di cristallizzare le disuguaglianze esistenti nel Paese. Mettendo a rischio la solidarietà tra ceti e generazioni e rendendo altissima, come gli umori variabili del corpo elettorale dimostrano, la sfiducia dei cittadini nella democrazia rappresentativa e nelle istituzioni che la interpretano. Il darwinismo federalista e la secessione dei ricchi che ne consegue, rappresentano un siluro sparato contro la sanità pubblica. Ma anche uno affronto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, nel discorso di fine 2022, affermò: “Le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari tra i diversi territori del nostro Paese…. creano ingiustizie, feriscono il diritto all’uguaglianza.” “Occorre operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Ssn si rafforzi”.
L‘Anaao non accetterà il ruolo di spettatore passivo.
Pierino Di Silverio
Segretario Nazionale Anaao Assomed