L’art. 6 della l. 8 marzo 2017, n. 24, c.d. “Gelli-Bianco”, come noto, ha introdotto nel Codice penale l’art. 590 sexies, rubricato «Responsabilità colposa per morte o lesioni in ambito sanitario». Tale norma è composta dei seguenti due commi: «Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. / Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».
Come già sottolineato in ambito dottrinario e giurisprudenziale, la norma introdotta nel 2017 è meno favorevole di quella contenuta nella precedente legge “Balduzzi”, dal momento che la colpa lieve del sanitario, che si attiene a linee guida non «adeguate alle specificità del caso concreto», non punibile ex legge «Balduzzi», torna ad essere punibile, invece con alcune eccezioni.
L’equilibrio giurisprudenziale in ambito penalistico ha, però, di fatto già da tempo introdotto la regola civilistica della speciale difficoltà, applicando il contenuto dell’art. 2236 c.c., che la disciplina, come regola esperienziale.
Come è noto, l’art. 2236 c.c. limita la responsabilità del “prestatore d’opera” alle sole ipotesi di colpa grave (oltre che di dolo), «se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà». In diverse sentenze la Corte di Cassazione penale chiarisce la portata applicativa del concetto di speciale difficoltà in ambito penalistico.
Richiamata come regola di esperienza, può trovare applicazione non solo quando il caso implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, ma anche in situazioni di emergenza, contraddistinte come dice la sentenza “Cantore”- dalla «temperie intossicata dall’impellenza che rende quasi sempre difficili anche le cose facili». Il giudicante prosegue con l’affermazione che «La norma civilistica può̀ trovare considerazione anche in tema di colpa professionale del medico, quando il caso specifico sottoposto al suo esame impone la soluzione di problemi di specifica difficoltà, non per effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come regola di esperienza cui il giudice può̀ attenersi nel valutare l’addebito di imperizia sia quando si versa in una situazione emergenziale, sia quando il caso implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà».
Nella nota sentenza Mariotti l’ambito applicativo è maggiormente delineato.
Nella demarcazione gravità/lievità rientra altresì̀ la misurazione della colpa sia in senso oggettivo che soggettivo e dunque la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell’agente e del suo grado di specializzazione; la problematicità̀ o equivocità̀ della vicenda; la particolare difficoltà delle condizioni in cui il medico ha operato; la difficoltà obiettiva di cogliere e collegare le informazioni cliniche; il grado di atipicità̀ e novità̀ della situazione; la impellenza; la motivazione della condotta; la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa».
Comune denominatore in ambito giurisprudenziale è, quindi, il principio secondo cui la condotta tenuta dal terapeuta non può̀ non essere parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiesto ed al contesto in cui esso si è svolto. Sicché́ l’eventuale addebito di colpa è destinato a venire meno nella gestione di un elevato rischio, senza errori rimproverabili connotati da gravità.
La speciale difficoltà diventa espressione di un criterio di razionalità cui attenersi nella valutazione della colpa del medico, con riguardo a quelle «situazioni tecnico scientifiche nuove, complesse o influenzate e rese più difficoltose dall'urgenza» che «implicano un diverso e più favorevole metro di valutazione.
Ulteriore ricaduta pratica è la volontà di prevenire i rischi di indebite astrazioni nella costruzione della figura di riferimento, sottolineando la necessità che il termine di raffronto fornito dall'omologo agente ideale venga calato nella medesima condicio in cui si muove il soggetto reale. E’così da condividere l'assunto consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione sulla gravità della colpa (generica) debba essere effettuata “in concreto”, tenendo conto del parametro dell'homo eiusdem professionis et condicionis, che è quello del modello dell'agente operante in concreto, nelle specifiche condizioni concretizzatesi.
Paola Frati