Rendere attrattiva la professione infermieristica nelle zone di confine, è questo l’intento degli Ordini degli infermieri di Varese e Como che chiedono a Regione Lombardia di intervenire per evitare la migrazione verso la Svizzera di figure essenziali per la sanità italiana. Una fuga verso il Canton Ticino nota da tempo che nel post Covid è diventata ancora più frequente.
“Nell’ultimo triennio la situazione si è aggravata – spiega Aurelio Filippini, Presidente OPI Varese -. Abbiamo raddoppiato tutti i dati precedenti, da 150 siamo passati a 360 professionisti della Sanità migranti. Di questi il 90 percento sono infermieri. Il nuovo anno, non ancora mappato, non dà segnali in controtendenza, anzi”.
Una migrazione che interessa Como, Varese, Lecco e Sondrio Una emorragia di risorse che interessa tutte le quattro province di confine: Como, Varese, Lecco e Sondrio, senza distinzione alcuna. “Mediamente al mese sono circa venti gli infermieri che scelgono di andare a lavorare oltre confine – sottolinea Filippini impegnato, con il collega Giuseppe Chindamo (Presidente OPI Como) nel cercare soluzioni in grado di frenare questa migrazione – di questo passo il Sistema Sanitario Pubblico e forse anche quello privato non saranno più sostenibili”.
Un messaggio forte che i Presidenti di OPI Varese e Como stanno cercando di far arrivare ai vertici della giunta lombarda, senza per ora aver ottenuto grandi risultati: “Con il collega di Como abbiamo calcolato che approssimativamente nelle aziende: ASST Sette Laghi, ASST Valle Olona e ASST Lariana mancano complessivamente 400 infermieri, ma nessuno sembra rendersene conto”
Tra Varese e Como mancano 400 infermieri. Una mancanza importante ad oggi tamponata dai turni supplementari a cui sono sottoposte le risorse presenti. “Si saltano riposi e straordinari ed è un vero e proprio miracolo – sottolinea Filippini – perché fino ad oggi non sono state chiuse delle attività, non sono stati ridotti gli interventi chirurgici e si sta pure lavorando sulle liste d’attesa. Ma non può durare. Nel tempo non è sostenibile. Il fatto che oggi si riesca a fare, non vuol dire che il problema non esista”.
Appello alla politica regionale L’appello, dunque, parte dalle province di confine verso Regione Lombardia. “Abbiamo scritto a tutti gli assessorati che in qualche modo sono partecipi di questo fenomeno: dalla Sanità e Welfare, ai Servizi Sociali, fino all’Istruzione e alla Ricerca perché la soluzione deve avere più sfaccettature, non una sola – prosegue il presidente di OPI Varese -. Abbiamo coinvolto tutti chiedendo un aiuto per valorizzare la professione e incentivare i giovani a scegliere questo percorso di studi”. In Italia mancano 60 mila infermieri e solo in Lombardia 9.000.
“Per questo occorre valorizzare la figura degli infermieri per sostenere il sistema salute. Mancano anche medici e tecnici di laboratorio, ma l’asse portate del sistema regge sugli infermieri e questo deve essere rimarcato”. “Abbiamo bisogno di voi” è il messaggio che Filippini e Chindamo vogliono che passi nelle aule regionali: “Stimolare un senso di appartenenza è il primo passo da fare per valorizzare gli infermieri ed incentivare i giovani ad iscriversi al corso di laurea. Un impegno che deve prendere la politica”.
Azioni welfare necessarie Poi occorre rivedere tutto il welfare: dagli sgravi sugli affitti, allo sconto benzina, fino all’assegno di confine come accaduto in passato per le forze dell’Ordine: queste le iniziative pensate dai vertici OPI delle province di frontiera, per trattenere gli infermieri sul territorio. “Tutto serve – ammette il presidente dell’Ordine degli infermieri di Varese -. Abbiamo scoperto dal presidente dei sindaci dei comuni di confine che qualche anno fa c’era l’assegno di confine destinato ai finanzieri che lavoravano in quei territori. È da riproporre per gli infermieri, per farli rimanere nelle loro terre, ma anche per incentivare professionisti dal sud a spostarsi nei territori del nord al confine con la Svizzera”.
In Svizzera un infermiere al primo incarico guadagna 3500 euro al mese Rendere attrattiva la professione infermieristica nelle zone di confine è l’altro perno su cui la politica dovrebbe agire per invertire la tendenza. “Non è cosa da poco, tanto più che un infermiere al primo incarico in Svizzera guadagna 3.500 euro al mese, mentre in Italia si ferma per buona parte della sua carriera a 1.500 euro al mese”. Un gap apparentemente impossibile da colmare. “Eppure, se si considerano le due o tre ore di viaggio al giorno che devono sostenere i pendolari e qualche iniziativa di welfare che permetterebbe di risparmiare sugli affitti, potrebbe aiutare, così come aumentare gli stipendi di 300 euro al mese potrebbe essere sufficiente per frenare la fuga verso il Canton Ticino“ ribadisce a più riprese il Presidente di OPI Varese.
Tra dodici mesi qualcosa potrebbe cambiare Se oggi i numeri dicono che la Svizzera è più attrattiva sia per lo stipendio, ma anche per la carriera, tutto potrebbe cambiare a partire da gennaio 2024. Infatti, secondo un accordo ministeriale, i frontalieri dal prossimo anno saranno tassati in Svizzera, ma secondo le regole italiane. Questo andrà a riequilibrare maggiormente gli stipendi e con tutta probabilità il desiderio di fuga potrebbe venire attutito. “Una notizia che da un lato ci fa sperare in una minor emorragia, ma dall’altra potrebbe incentivare ancor più gli infermieri a fuggire prima. La soluzione è in mano alla Regione con azioni concrete per incentivare queste figure a rimanere nel nostro Paese”, conclude Filippini.