“Se il Servizio sanitario nazionale continua a rimanere ai margini del dibattito pre-elettorale, la sanità privata convenzionata è del tutto ignorata dai partiti, nonostante il contributo fondamentale offerto nella lotta al Covid-19 e la fuga di medici e professionisti sanitari dal settore – dichiara Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED (a cui aderiscono ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED) e Vicepresidente CIDA -. Sono numerose le questioni cui da anni non si trova soluzione e che rischiano di condurre al fallimento anche la sanità privata convenzionata. Se i medici dell’ospedalità pubblica, infatti, dopo due anni di encomi e applausi sono stati dimenticati, quelli dell’ospedalità privata continuano ad essere abbandonati, con contratti di lavoro scaduti da anni, retribuzioni inaccettabili e titoli non equiparati che ne impediscono la carriera. Si tratta di una discriminazione intollerabile tra professionisti che hanno gli stessi doveri, le stesse responsabilità e lo stesso codice deontologico”.
“Chiediamo a gran voce al prossimo Governo, di qualunque colore esso sarà, di attivarsi prontamente per accelerare il rinnovo del contratto dei 4.770 medici dipendenti dell’AIOP che attendono da 17 anni l’aggiornamento della parte normativa, ormai del tutto incompatibile con le nuove regole del lavoro, e che aspettano dal 2009 l’adeguamento della parte economica – aggiunge Carmela De Rango, Segretaria nazionale CIMOP -. Un’odissea, quella vissuta dai medici AIOP in questi anni, che dimostra come l’attuale separazione contrattuale tra pubblico e privato convenzionato sia fallimentare: occorre invece riformare il sistema, introducendo un contratto quadro che preveda i diritti e i doveri di tutti i medici, stabilendo poi in accordi di secondo livello le peculiarità dei professionisti del settore pubblico e del settore privato convenzionato. Solo in questo modo sarà possibile riconoscere anche il percorso professionale dei medici dell’ospedalità privata ai fini dell’accesso ai concorsi pubblici. È una questione di riconoscenza e di giustizia”, conclude De Rango.