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Parti cesarei. La mia esperienza di operatore "privato" della clinica "Pinna Pintor"


13 FEB - Leggo sistematicamente su “Quotidiano Sanità.it” gli interessanti e tempestivi aggiornamenti sulle vicende, sulle evoluzioni ed innovazioni delle normative in sanità. Vi scrivo in relazione al vostro articolo sul numero del 10 Febbraio dal titolo “Parti cesarei. Se ne fanno troppi. Balduzzi invia i Nas in tutta Italia a verifiche su abusi".

Da più decenni sono responsabile della gestione di una struttura sanitaria privata indipendente (non finanziata dal Ssn), nata come ginecologica nel 1904 ed in cui, da più di un secolo è tuttora attivo un reparto di ostetricia e ginecologia; il problema della numerosità dei tagli cesarei è sempre stato oggetto di studio e di azione, ai fini del loro contenimento, per quanto consentito dai rapporti non gerarchici con i ginecologi frequentatori.
Nei periodici scambi di informazione con l’Azienda Ospedaliera universitaria alla quale la Clinica “offre loro spazi” per la libera professione, ho potuto confrontare la frequenza di cesarei nel settore pubblico, in quello del reparto pensionanti dell’azienda ed in quello della Clinica privata, come si rileva dalla tabella allegata. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nei reparti ospedalieri ed universitari dell’Azienda sono stati effettuati cesarei nel 33,8%, nel reparto pensionanti della stessa azienda 56,33% e nella clinica privata di cui sono responsabile 83,82%.
Ci siamo domandati, senza aver potuto dare una risposta scientificamente valida del perché di queste differenze, nella stessa area geografica con gli stessi professionisti e più o meno le stesse tariffe.
La remunerazione differente per cesarei (2.500 Euro) e per parti vaginali (1.800 Euro), come specificato nell’articolo citato vale con poche differenze sia per il sistema pubblico (pagamento in base ai Drg –verificare) sia per quello privato basato sulle tariffe assicurative.
La variabile tariffaria per indurre ai cesarei, pertanto, è un elemento indiscusso.
Non è, tuttavia, l’unica, come per altro specificato nell’articolo, vanno infatti considerati altri fattori come la maggiore sicurezza per il medico per evitare i traumi del parto naturale (anche se con il cesareo vi sono altri tipi di rischio per le partorienti ed il neonato), e la libertà di decidere giorno ed ora del parto.

Per quanto riguarda le strutture private che si avvalgono di professionisti ospedalieri ed universitari, il cesareo inoltre è preferito per evitare l’impegno richiesto per l’assistenza al travaglio e la necessità, a questo scopo, di dover occasionalmente abbandonare l’ospedale quando si è di turno.
Questa variabile può spiegare la differenza tra numero di cesarei nel reparto pensionanti all’interno dell’Ospedale (56,33%) dove il ginecologo può garantire facilmente la sua presenza in caso di necessità per affiancare l’assistenza dell’ostetrica trovandosi già all’interno dell’ospedale; molto meno disponibile per l’assistenza al travaglio al di fuori delle mura.
Nelle linee guida recentemente aggiornate dell’Iss, non figurano certamente come indicazione al cesareo né la differenza di remunerazione (ci mancherebbe!),  né la difficoltà per assistere il travaglio fuori dell’ospedale.
A cosa altro dunque potrebbe essere imputabile (e a quale abuso?), la grande differenza fra nord e sud?

Se, come è noto, l’epidemiologia non può spiegare in generale le differenze del numero di prestazioni specialistiche di qualsiasi tipo nelle diverse aree geografiche di piccole dimensioni, tanto meno può spiegare quindi la prevalenza di cesarei.
Lascia perplessi, tuttavia, il fatto di dover ricorrere ai Carabinieri per verificare l’appropriatezza delle indicazioni.
Tale verifica sarebbe compito del Responsabile della Qualità di ciascuna amministrazione ospedaliera, dove presente.
A meno che non sussista un’ipotesi di reato. E allora viene da chiedersi: ma è un reato non rispettare le linee guida? Per qualsiasi motivo? Per fare più soldi? E ancora: quante Tac costose ed anche dannose vengono effettuate per “medicina difensiva” ed anche quanti altri interventi chirurgici inappropriati per lo stesso motivo?
Le società di assicurazioni individuali non mandano i carabinieri ma se hanno il sospetto che vi siano abusi, e ciò è implicito nella meticolosa loro revisione, non pagano le prestazioni o ricusano le polizze.
Non sarebbe più semplice, in casi manifestamente inappropriati, non pagare e limitare l’uso dei Nas, come per altro già avviene, a truffe conclamate e morti sospette?

Le difficoltà della adozione delle linee guida sono state analizzate negli studi sulla efficacia delle diverse strategie di intervento ed è stato dimostrato che le sanzioni sono poco efficaci. L’invio dei Nas parte dal presupposto che le “lezioni” (sanzioni) siano efficaci per farle rispettare.
Se l’associazione fra numero di cesarei e l’incentivo economico appare ovvio e non richiede una analisi statistica multivariata, meno ovvia è l’utilità di una strategia repressiva per la soluzione di un problema o di tanti altri che affliggono la Sanità italiana con le ben note differenze Nord-Sud, come rilevato anche da altri indicatori nello studio in corso.

Plinio Pinna Pintor
Clinica Pinna Pintor

13 febbraio 2012
© Riproduzione riservata

Allegati:

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