Fine vita. Nuova fumata nera dalle Commissioni Affari Sociali e Giustizia. Lorefice (M5S): “Non ci sono presupposti per testo base”
La possibilità di una legge che dia una risposta sul tema del suicido assistito come richiesto dalla Consulta con la sua Ordinanza del 24 settembre 2018 entro il prossimo 24 settembre, appare ormai remota. E ancora una volta sarà probabilmente un organo terzo a quello legislativo a stabilire cosa si può o non si può fare rispetto alla scelta di porre fine alla propria esistenza.
01 AGO - Il prossimo 24 settembre la Corte Costituzionale si riunirà nuovamente per emettere la sua sentenza sulla legittimità dell’attuale normativa sull’aiuto al suicidio dopo il caso Cappato/Dj Fabo.
La Consulta si era già riunita il 24 settembre del 2018 e in quella sede aveva deciso di dare un anno di tempo al Parlamento per legiferare in materia.
I dodici mesi sono ormai quasi trascorsi ma stante anche all’ultima riunione di ieri delle Commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali della Camera, dove sono in esame diverse proposte di legge sul fine vita, pare sempre più probabile che ancora una volta sarà la Corte a dover dirimere la questione.
Le forze politiche non hanno infatti trovato l’accordo su un testo base. “Non sussistono le condizioni per addivenire all'adozione di un testo base…e il provvedimento in oggetto non risulta inserito nel programma dei lavori dell'Assemblea per il mese di settembre”, ha ammesso in avvio di seduta la Presidente della Commissione
Marialucia Lorefice (M5S).
Oggi sarà l’Ufficio di presidenza della Affari Sociali, integrato con i rappresentai dei gruppi delle due Commissioni, a decidere come procedere ma salvo colpi di scena alquanto improbabili, la discussione sembra ormai destinata verso un binario morto.
A constatare l’impasse anche il relatore della XII Commissione
Giorgio Trizzino (M5S) che intervenendo durante la seduta ha constatato “il fallimento del tentativo di adottare una legge sul fine vita che riconosca l'ipotesi della morte volontaria assistita” anche se “i lavori parlamentari erano partiti con le migliori intenzioni, dando voce alle diverse posizioni in campo, con l'obiettivo di adottare un testo base tale da consentire lo sviluppo di un ampio dibattito nell'ambito delle Commissioni riunite”.
Per Trizzino c’è la “sensazione sgradevole che tutto si sia risolto in un «buco nell'acqua», nonostante il fatto che il dibattito svolto abbia in parte consentito di accorciare le distanze tra i vari gruppi parlamentari e di affrontare temi di assoluta rilevanza relativi al tempo della vita e al tempo della morte”
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A questo punto bisogna riconoscere “che purtroppo il Parlamento non è pronto a compiere questo passo e, pertanto, con mitezza e al tempo stesso con rabbia, non si può che riconoscere il fallimento del percorso intrapreso, attendendo che la Corte costituzionale emani la sentenza in materia”, la conclusione amara dell’esponente 5 Stelle.
Anche
Roberto Turri (Lega), relatore per la II Commissione, sottolinea “come sulla materia si registrino sensibilità molto diverse anche all'interno dei singoli gruppi parlamentari”, ed evidenzia “che il comitato ristretto ha certificato l'impossibilità di giungere ad un testo condiviso da sottoporre alle Commissioni e come non sia stato possibile neppure individuare una soluzione comune che si limitasse alla sola modifica dell'articolo 580 del codice penale con riguardo alla fattispecie dell'aiuto al suicidio”.
Per il vice presidente del Gruppo del Pd alla Camera
Michele Bordo, “il nulla di fatto uscito ieri dalle commissioni congiunte Affari sociali e Giustizia della Camera dei deputati sul tema dei trattamenti sanitari di fine vita ha come unici responsabili le forze di governo, che sin dall’inizio hanno scelto di lavorare su testi legislativi che avevano poco a che fare con quanto chiesto invece al Parlamento dalla Corte Costituzionale”.
Leggi qui il resoconto parlamentare integrale.
01 agosto 2019
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