Biotestamento. D’Ambrosio Lettieri (DI): “Dichiarazioni anticipate di trattamento non aprano derive nichiliste”
di Luigi d'Ambrosio Lettieri
Il disegno di legge presenta diverse distorsioni di tipo giuridico, che trovano anche nella mancata previsione del registro nazionale delle DAT uno dei loro punti di non ritorno. La cosa peggiore è che nella ambiguità che la contraddistingue, rischia di dare la stura ad un successivo passo verso l’eutanasia attiva
09 MAG - La vita non è un bene disponibile, è un bene inalienabile. Credo di poter affermare, senza mezzi termini, che il disegno di legge sul consenso informato e le Disposizioni Anticipate di Trattamento approvato dalla Camera e appena incardinato al Senato sia piuttosto lontano da questo principio che considero imprescindibile. Il passaggio da bene inalienabile a disponibile, infatti, non è affatto così innocente come sembra e le conseguenze potrebbero essere devastanti.
Ora, mi auguro che il testo possa essere suscettibile di quelle modifiche necessarie, a mio avviso, per ristabilire un equilibrio che oggi non c’è e superare criticità che non hanno trovato soluzione alla Camera. Non vi sono preclusioni, se non in ragione del fatto che un testo blindato troverebbe il mio netto dissenso.
Perché questo testo non mi convince? Innanzitutto perché parte da una visione antropologica della vita che non condivido, una visione meramente individualistica che finge di ignorare la natura sociale dell’essere umano, per dirla con Aristostele, erge l’autodeterminazione a religione assoluta, ma in realtà presta il fianco alla prevaricazione dei più deboli e indifesi, favorendo la convinzione nichilistica che sia meglio morire e annientarsi piuttosto che affidarsi allo Stato che non è capace di farti guarire e di darti l’assistenza necessaria di cui avresti invece diritto.
Il punto, infatti, è proprio questo: le disposizioni anticipate di trattamento, così come concepite da questo disegno di legge, spianano la strada all’eutanasia e al suicidio assistito perché non preservano sufficientemente i cittadini dalla paura di essere lasciati soli di fronte alla malattia e instillano il dubbio che l’accanimento terapeutico sia la prassi, senza neanche stabilire cosa sia effettivamente accanimento terapeutico.
Per come sono poste, le Dat sembrano essere l’esatto opposto di un consenso libero e informato, anzi entrano in contrasto con il consenso informato, già reso alquanto scivoloso da una forma scritta e un atteggiamento burocratico per niente agevole. Le “disposizioni” che superano anche nel linguaggio oltre che nella sostanza, le originarie “dichiarazioni”, consentono ad un essere umano di disporre anticipatamente della propria morte, non della propria vita, in previsione di un futuro eventuale, per sua natura incerto e imprevedibile nella sua evoluzione clinica, senza lasciare altra scelta al medico se non la vincolante osservanza delle volontà espresse nel buon tempo.
Si tratta, come è facile comprendere, di una criticità rilevante e dirimente che va necessariamente emendata ripristinando il giusto equilibrio tra i legittimi diritti del paziente e l'altrettanto legittimo diritto all'autonomia della professione sanitaria che diventa irrinunciabile presupposto di garanzia per l'intera comunità. Infatti il buon senso suggerirebbe che siano considerate orientative, non vincolanti per il medico, obbligato a dare la morte, anziché sollecitato a trovare e fornire le cure e l’assistenza migliori. L’obiezione di coscienza non è neppure contemplata e non oso pensare a quali e quanti contenziosi si aprirebbero nel caso in cui il medico decidesse in coscienza che la situazione clinica non consente di eseguire le volontà espresse dal paziente nella Dat.
Non solo. Le norme scritte per i minori e gli incapaci il cui destino è affidato a persone terze autorizzano di fatto, per via legislativa, il diffondersi di quella cultura dello scarto, per cui se non sei in grado di produrre e di essere autonomo, sei solo un peso per la società e dunque meriti l’eutanasia.
L’eutanasia come premio, come terapia, come riconoscimento del diritto alla dignità della morte, senza pensare a quello che una visione distorta potrebbe comportare in termini di dignità della vita di malati e disabili.
Mi chiedo e vi chiedo – e ho il dovere di farlo come persona, come cittadino e come legislatore – che società sarà quella che avrà smarrito il significato più profondo dell’ “avere cura” che invece si trasforma e traduce nella indicazione di una strada a senso unico, quella della morte?
Devo anche osservare che le norme contenute nel ddl, pure in discussione da tanti anni, sono un pugno nello stomaco per chi, da altrettanti anni, chiede e si adopera perché ai pazienti neurodegenerativi, o affetti da altre patologie gravi, sia garantita l’assistenza più adeguata e innovativa in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. E sia altresì garantito ogni necessario supporto ai loro familiari.
Le difficoltà immani e la solitudine cui sono costretti i malati e con loro, le persone che li seguono, concorrono per larga parte a costituire quel buco nero che risucchia la loro voglia di lottare, e anche quella di chi pensa di potersi trovare un giorno nella stessa situazione.
E questo varrà tanto più in là nel tempo, quando gli effetti di una legge incompleta e lacunosa, se approvata, si riveleranno in tutta la loro forza distruttiva, che va ben al di là della volontà di lasciarsi morire e il rifiuto delle terapie salvavita, soprattutto in presenza di un quadro di prospettiva che vede la nostra società invecchiare sempre di più. Il pericolo che si nasconde dietro la logica della vita e del corpo quale bene disponibile è l’uso utilitaristico e commerciale di essi, con sempre meno spazi e possibilità per i più deboli.
Il disegno di legge presenta diverse distorsioni di tipo giuridico, che trovano anche nella mancata previsione del registro nazionale delle DAT uno dei loro punti di non ritorno. La cosa peggiore è che nella ambiguità che la contraddistingue, rischia di dare la stura ad un successivo passo verso l’eutanasia attiva. Di fronte alla morte, terribile, per denutrizione e disidratazione di una persona in stato di coma neurovegetativo, sembrerà un sollievo poter mettere fine alla vita in modo più veloce e indolore con una sostanza letale, anziché lasciar morire di fame e di sete.
Credo che il legislatore debba dare delle risposte anche e a maggior ragione a temi di tale complessità, che investono la coscienza e la sensibilità di ciascuno in modo diverso e spero che a tale auspicato traguardo ci spingano anche le audizioni programmate che sono iniziate in Commissione Sanità al Senato.
Ma credo anche che una cosa non dobbiamo perdere mai di vista: non siamo isole. Siamo comunità. Ciascuno legato all’altro dalla stessa umanità carica di debolezze e di imperfezioni, che sono poi la nostra forza e la nostra perfezione. Ignorarlo significherebbe condannare a morte l’Umanità.
Luigi d'Ambrosio Lettieri (Direzione Italia)
Senatore della Commissione Sanità di Palazzo Madama
09 maggio 2017
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Governo e Parlamento