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Comitati per l’etica nella clinica: ecco come dovranno essere e come dovranno funzionare. Documento del Comitato nazionale di Bioetica 


I comitati per l’etica nella clinica devono essere indipendenti, avere precisi requisiti per la consulenza, struttura, composizione, compiti, localizzazione, coordinamento, competenze e regolamento. Tutto questo è contenuto e spiegato in un documento del Comitato Nazionale per la Bioetica che l’Istituto superiore di Sanità ha appena pubblicato sul suo sito istituzionale. IL DOCUMENTO.

05 MAG - I comitati per l’etica nella clinica devono essere indipendenti, avere precisi requisiti per la consulenza, struttura, composizione, compiti, localizzazione, coordinamento, competenze e regolamento.
Tutto questo è contenuto e spiegato in un documento del Comitato Nazionale per la Bioetica che l’Istituto superiore di Sanità ha appena pubblicato sul suo sito istituzionale.
 
Nel documento si evidenzia la necessità che i pareri dei comitati per l’etica nella clinica abbiano carattere non vincolante, e che mai i comitati si sostituiscano ai doveri del medico, primo responsabile delle decisioni cliniche.
Una revisione che arriva a soli quattro anni, come spiega l’Iss, dall’adozione delle regole per la composizione e il funzionamento dei comitati etici, ma che si è resa necessaria per l’arrivo del Regolamento europeo 536/2014 sulla sperimentazione clinica
 
È verosimile, spiega l’Iss,  che il carico di lavoro imposto dal Regolamento impedisca ai comitati etici per la sperimentazione di occuparsi anche dei molteplici problemi di etica che sorgono nella pratica clinica "al letto del malato" e che non riguardano l’ambito sperimentale. 
 
Per questo motivo il Comitato Nazionale per la Bioetica ha adottato un parere interamente dedicato a loro proponendo regole operative per il funzionamento. 
 
Per quanto riguarda l’indipendenza e la consulenza, il documento del CNB auspica che sia riconosciuto il ruolo specifico e particolare che possono svolgere i Comitati per l’etica nella clinica e si augura che trovino un’adeguata attenzione legislativa e amministrativa all’interno dell’attuale processo di revisione dei Comitati etici.
 
Come per i Comitati etici per la sperimentazione, anche per i Comitati per l’etica nella clinica deve essere garantita l’indipendenza rispetto alle strutture che li hanno costituiti e alle istituzioni presso le quali essi operano.
Il CNB ritiene che la consulenza etica sia compito esclusivo dei Comitati per l’etica nella clinica e debba essere fornita dal Comitato per garantire la pluralità di visioni e competenze indispensabili.
 
Per i casi urgenti o se si rendesse necessario acquisire informazioni direttamente dal paziente o dai curanti, il Comitato potrebbe prevedere la delega di una parte delle proprie funzioni a organismi più ristretti, mantenendo comunque la supervisione sul loro operato. Va sempre garantito il carattere multidisciplinare e pluralistico della consulenza etica.
 
La composizione dei Comitati per l’etica nella pratica clinica dovrebbe rispecchiare le diverse professionalità e figure implicate nel processo decisionale, affiancando, caso per caso e quando necessario, a un nucleo stabile di altri componenti esperti se si dovessero analizzare profili nuovi o particolari. Il nucleo stabile dovrebbe essere composto da membri che prendono parte a tutte le deliberazioni (membri dello staff medico e ospedaliero, rappresentanti delle associazioni dei pazienti, giuristi e bioeticisti) e membri che prendono parte solo a quelle decisioni in cui la loro presenza appare necessaria in base alle convinzioni o alle esigenze del paziente.
Nel nucleo stabile dovrebbe essere presente almeno: medico clinico, bioeticista, infermiere, giurista, esperto di rischio sanitario, rappresentante dei pazienti, epidemiologo.
 
I Comitati per l’etica nella pratica clinica dovrebbero: assumere le funzioni di valutazione di casi clinici che non rientrano nella sperimentazione clinica e farmacologica, e quindi analizzare e discutere la natura dei problemi morali che l’assistenza ai pazienti e la pratica terapeutica possono presentare nelle situazioni più delicate (ad esempio inizio e fine vita), con i soggetti vulnerabili (minori, incapaci, anziani, immigrati), negli eventi imprevisti; proporre e supervisionare le attività istituzionali di formazione bioetica; curare, quando è possibile, la sensibilizzazione bioetica della cittadinanza.
 
Toccherà a loro l’individuazione e la definizione dei problemi morali o culturali dell’attività assistenziale e terapeutica con il compito di proporre le possibili soluzioni e operare le opportune mediazioni, realizzando così l’alleanza terapeutica.
Ovviamente questo non vuol dire che si sostituiranno al medico: il Comitato fornisce un autorevole orientamento, che non è però vincolante, e non toglie al medico e all’equipe sanitaria l’autonomia e responsabilità decisionale.
 
E il Comitato di etica per la clinica potrebbe proporre alcuni modelli esemplificativi per il consenso informato, tenendo presente che però, vista l’ampia eterogeneità di condizioni, è impossibile pretendere di adattare lo stesso schema a qualsiasi situazione.
 
Nei piccoli centri si può prevedere che abbiano una dimensione legata alla struttura ospedaliera locale. Nelle località più grandi e dove ci sono anche centri universitari con policlinici, si possono prevedere Comitati etici a livello di singole strutture, selezionati in base a legami istituzionali o alla natura delle attività svolte, evitando però un’eccessiva frammentazione per consentire a ogni Comitato di avere un quadro complessivo dei problemi ed evitare eventuali disparità di trattamento. Sarebbe bene, secondo il documento, un coordinamento tra i Comitati di etica per la clinica, eventualmente mediante l’istituzione di una rete nazionale.
 
Le competenze “indispensabili” dei Comitati dovrebbero riguardare:
- fondamenti di etica e teorie morali;
- clinica medica, con particolare riferimento alle patologie curate nella struttura di appartenenza;
- contesto socio-culturale dei pazienti, prevedendo specifiche forme di mediazione culturale;
- codici deontologici e documenti di etica rilevanti per le professioni sanitarie;
- elementi di biodiritto e normativa sanitaria;
- linee guida nazionali e internazionali su temi di etica medica;
- organizzazione dei servizi sanitari.
 
E per tutto questo è necessaria formazione e aggiornamento continuo dei componenti.
 
Infine il regolamento. Dovrebbe definire l’organizzazione, le modalità per l’accesso, le procedure per l’esame dei casi, le modalità per emanazione dei pareri.
Dal regolamento deve emergere che i pareri non sono vincolanti: la responsabilità decisionale, e la relativa autonomia, spettano al medico, in accordo con il paziente o con chi lo rappresenta. Secondo il documento sarebbe bene adottare linee guida nazionali che definiscano le strutture essenziali di composizione, formazione, funzionamento e le specifiche competenze.
 
Nel regolamento si possono anche specificare:  modalità per un’eventuale informazione al paziente (e, se il paziente è d’accordo, ai familiari) sul coinvolgimento del Comitato e sul parere prodotto; modalità con cui il paziente può chiedere l’attivazione del Comitato; regole per la conservazione dei pareri e per l’accesso. Ma devono essere comunque regole flessibili, scegliendo caso per caso le procedure più idonee. 
 
Il documento è stato redatto con il coordinamento di Carlo Petrini, responsabile dell’Unità di Bioetica dell’ISS e rappresentante dell’ISS nel CNB, insieme ad altri due componenti del CNB, Salvatore Amato e Cinzia Caporale ed è stato votato all’unanimità dall’assemblea plenaria del CNB.

05 maggio 2017
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