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Il punto. Il ticket e la manovra. Il topolino che mette in crisi l’elefante


I 10 euro del ticket sulla specialistica, da qui al 2014, peseranno solo il 6% dell’intera manovra. Eppure è proprio su questa misura che si sono registrate le proteste più forti. Del resto nella storia dei ticket ha sempre prevalso il rifiuto di un balzello visto più come una vera e propria “tassa sulla malattia”, piuttosto che come un calmieratore della domanda.

18 LUG - La manovra è legge da ieri. Le prime reazioni dei mercati purtroppo non sembrano buone come si sperava, nonostante la prova di rapidità offerta dal Parlamento. Cornuti e mazziati? E’ presto per dirlo, ma è certo che le prime reazioni, non dei mercati ma dei cittadini, a questa manovra tanto rapida quanto pesante, evidenziano soprattutto due elementi che proprio non sembrano essere stati digeriti. Il primo è il mancato taglio al costo della politica, l’unica categoria rimasta esente da qualsiasi provvedimento di austerità. L’altro sono i ticket. Una bestia nera di qualsiasi governo fin dai tempi della prima Repubblica, fino all’ultimo governo di Romano Prodi che, dopo avere introdotto il ticket di 10 euro sulla ricetta per la specialistica, fu costretto a una repentina marcia indietro iniziando ad assicurare la copertura statale del fardello.
Ora ci risiamo. Quei 10 euro tornano a provocare una crisi di rigetto che non investe solo pensionati e casalinghe ma tocca commentatori economici come Enrico Marro del Corriere della Sera, che oggi dedica al tema un editoriale in prima pagina dal titolo inequivocabile “Il federalismo (malato) del ticket”. Dove quella parentesi assicura un giudizio di prognosi riservata sia al federalismo sanitario (sempre più fuori controllo) che al ticket, sempre meno giustificabile in un contesto di servizi sanitari inefficienti e in ogni caso difformi da una zona all’altra del Paese. Con l’assurdo che proprio dove le cose non vanno bene (vedi Regioni con Piano di rientro)  si prevede che quella tassa non potrà non essere applicata a danno delle tasche dei cittadini residenti, già tartassati da altri ticket e da aumenti di Irpef e Irap proprio per tamponare i buchi delle “loro” Asl e dei “loro” ospedali.

E poi c’è la questione base dell’effettiva utilità di questo ticket, messa in dubbio già all’epoca di Prodi e mai risolta. Secondo molti osservatori, infatti, gran parte di questi ticket non sarà mai incassata dalle Regioni. Almeno per quella quota relativa a prestazioni il cui costo complessivo rientra o si avvicina alla soglia dei 46,15 euro (che è la soglia massima di ticket pagabile su ogni ricetta specialistica, risultato della somma tra i 10 euro sulla ricetta e i 36,15 di franchigia massima già in vigore per queste prestazioni). I cittadini non esenti, fatti due conti, preferiranno probabilmente rivolgersi direttamente al privato che assicura le stesse prestazioni agli stessi costi ma senza l’aggravio dei 10 euro.
Una previsione che le Regioni hanno già rilanciato, chiarendo che al danno politico provocato da questo nuovo balzello e all’aggravio per le tasche di coloro che lo dovranno pagare, si aggiungerà la beffa di incassi molto al di sotto delle attese.
E così, a 24 ore dall’entrata in vigore della manovra, lo scenario dell’Italia sanitaria si conferma ancora una volta molto difforme con le Regioni in ordine sparso e incerte sul da farsi.
La cosa apparentemente incredibile è che tutto ciò accade per una misura il cui valore è stimato in 834 milioni su base annua che, spalmati su tutto il periodo oggetto della manovra da oggi fino al 2014, rappresentano circa il 6% della manovra pluriennale da 48 miliardi di euro.
Eppure le parola ticket ha segnato questa manovra in tutti i titoli di prima pagina, ieri come nei giorni scorsi. Molto di più degli altri tagli ben più consistenti.

Il fatto è che quando si parla di ticket sanitari si va a toccare una sensibilità sempre viva dell’opinione pubblica, ormai cosciente di aver diritto costituzionale alla tutela della propria salute per la quale già paga fior di tasse. Il ticket, quasi indipendentemente dal suo valore monetario e di potenziale calmieratore di una domanda inappropriata, acquista così una valenza di “tassa sulla salute” aggiuntiva e con l’aggravante di dover essere pagata proprio quando si sta male (tassa sulla malattia) e che, come tale, non si riesce proprio a digerire e a far digerire.
Sono riflessioni alle quali l’economista di turno, di rinforzo ai dicasteri competenti e al quale viene chiesto anno dopo anno di inventare qualcosa per far tornare i conti del bilancio pubblico, presta in genere poca attenzione, fermandosi alla fredda lettura dei numeri. E in questo senso quegli 834 milioni di euro gli saran parsi certamente risibili rispetto alla mole della cura da cavallo iniettata al Paese e al sistema economico italiano. Ma forse, sarà proprio a partire da questa piccola tassa sanitaria che si potrebbe incrinare l’apparente robustezza di questa manovra “titanica”.
 
Cesare Fassari

18 luglio 2011
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