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Liberalizzazioni. Parla D’Ambrosio Lettieri, il senatore che ha guidato la rivolta


In questa intervista esclusiva, il senatore del Pdl Luigi D’Ambrosio Lettieri, che ieri ha guidato una cordata di 22 senatori per chiedere la riformulazione dell’emendamento sulla liberalizzazione delle professioni, spiega a Quotidiano Sanità le ragioni della protesta del Pdl contro l’iniziativa governativa. “Non si può entrare a gamba tesa in un sistema che deve essere ammodernato, ma non certamente scardinato”.

14 LUG - Intervista a Luigi D'Ambrosio Lettieri (Pdl), primo firmatario della lettera sottoscritta da 22 senatori per chiedere la riformulazione dell’emendamento sulla liberalizzazione delle professioni.
 
Senatore, nella serata di ieri abbiamo visto rispuntare e poi sparire di nuovo l’emendamento sulla liberalizzazione delle professioni. Cosa è successo ieri in Senato?
L’emendamento circolato, il 39 bis, relativo alla liberalizzazione delle professioni, di fatto non è mai stato un emendamento ma solo un’ipotesi di emendamento. È poi accaduto che, sulla base del contenuto del 39 bis, io abbia guidato una cordata di 22 senatori per esprimere, anche attraverso un una lettera, le perplessità sulle assurde conseguenze di questa ipotesi e la netta e determinata contrarietà a un emendamento del genere.
Abbiamo infatti valutato l’effetto dirompente e di destabilizzazione completa del mondo delle professioni, che conta in Italia oltre 1,5 milioni di soggetti. Considerato anche l’effetto di ricaduta inesistente sotto il profilo della competizione, ma piuttosto l’effetto deleterio per i livelli di appropriatezza delle prestazioni professionali.

Quella messa in atto dai senatori del Pdl è stata una presa di posizione molto forte.
Sì, al punto di raggiungere una situazione di incompatibilità tra il desiderio, il dovere e l’obbligo di votare la manovra finanziaria e la contrarietà a votare anche un provvedimento così destabilizzante. Tenga conto che nemmeno in caso di calamità, di eventi internazionali, è possibile fare un provvedimento di emergenza per le categorie professionali. Non è nello stile, nella storia e nella consuetudine dei partiti di centrodestra, che sanno come su queste materie si debba costruire un percorso di condivisione, di approfondimento e di valutazione che in questo caso non c’è assolutamente stato.
E così, dopo aver presentato formalmente questo stato di disagio e di protesta, il presidente del Senato, con grande equilibrio e saggezza, e con lui autorevoli rappresentati del Governo, Tremonti, Fitto, Romani, hanno elaborato l’emendamento dirimente dell’articolo 33 della Costituzione, con esplicito riferimento al comma 5, dove si fa esplicito riferimento all’esame di abilitazione. L’ipotesi di emendamento 39 bis si è così dissolta, e al suo posto è arrivato l’emendamento 29.1000 del relatore con questi nuovi contenuti.

Gli Ordini hanno avuto una reazione decisa e immediata. In che misura questo ha contribuito alla revisione del provvedimento?
Indubbiamente si è sollevata dal popolo, attraverso gli enti pubblici delle professioni, una nota di protesta molto forte. Che ha unito tutti, o quasi tutti gli Ordini professionali. Indubbiamente questo ha offerto sostegno all’iniziativa dei senatori che ha spinto il presidente del Senato ad aprire un ragionamento. Si può senz’altro affermare che il concorso tra l’iniziativa dei parlamentari e le note di dissenso degli Ordini professionali hanno permesso di raggiungere questo risultato.

Si può quindi parlare di un lieto fine per le professioni?
Non proprio. In questo momento particolare, forse sì. Ma quelle 8 ore di tensione generale lasciano ancora tutto aperto il capitolo della riforma degli Ordini che da 20 anni a questa parte impegna senza successo il Parlamento. Però non si può, per il ritardo della politica che non riesce a compiere una sintesi, entrare a gamba tesa in un sistema che deve essere ammodernato, ma non certamente scardinato.

Cosa prevede il nuovo emendamento?
Si distinguono le categorie professionali che devono sostenere l’esame di abilitazione rispetto a quelle che non lo sostengono. Queste ultime saranno disciplinate all’interno di una proposta che il Governo presenterà alle categorie interessate. Trascorso il termine di 8 mesi dalla data di entrata in vigore della manovra finanziaria, ove non si giunga a una riforma della materia, vigeranno disposizioni in materia di libero esercizio. Per le altre professioni che sostengono l’esame di abilitazione, come quelle sanitarie, continua l’iter di riforma già in atto in Parlamento. Un iter che speriamo arrivi presto a conclusione.

Quali sono i nodi critici che rendono così difficile questo iter?
Uno dei problemi è che il discorso deve essere affrontato anche per ambiti omogenei. Gran parte degli Ordini fanno capo al ministero di Grazia e Giustizia, mentre altri, come quelli delle professioni sanitarie, hanno come ministero vigilante quello della Salute.
Vi è poi la necessità di attualizzare leggi ormai lacunose e non adeguate ai tempi: gli Ordini sono stati istituiti con leggi che risalgono al 1946 e ancora oggi continuiamo ad attingere a una normativa antica i cui elementi rischiano di rendere inutile l’attività di questi Enti o di ostacolare l’esercizio della loro funzione. Gli Ordini possono e devono continuare a svolgere un ruolo declinando in modo più evidente e completo la loro funzione di Enti pubblici a garanzia e tutela della prestazione professionale, quindi a beneficio del cittadino, e quindi dovranno scrollarsi di dosso tutti i residui di una legislazione che ancora oggi li fa connotare come degli organi corporativi.

L.C.

14 luglio 2011
© Riproduzione riservata

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