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Decreto nomina e valutazione manager. Quale grado di separazione dalla politica?

di Fabrizio Gianfrate

Il provvedimento risponde, anche se non del tutto. La politica mantiene salda la cloche di selezioni, nomine e valutazioni.Il punto resta sulla reale indipendenza dei manager selezionati ma anche di quelli “selezionati a selezionarli”

18 FEB - Dice il Governo che col nuovo decreto sui manager sanitari “sleghiamo le nomine dalla politica”. Parole forti. Questi i miei pensieri d’impulso:
- manca la Fata Turchina per completare adeguatamente il quadro,
- è un’uscita panglossiana per lisciare il pelo alla vulgata popolare “anti casta”,
- niente politica “Tafazzi” che si auto disarciona dalla sanità galoppante (per elettorato, spesa pubblica, potere)
- deja vù della 502 un quarto di secolo fa: diceva di uscire ma accentrava di più il suo potere, dal proporzionale dei comitati di gestione al maggioritario dei nuovi (suoi) manager,
- slegare la sanità dalla politica rischia di gettare via con l’acqua sporca del malaffare anche il bambino dell’equità all’accesso da essa storicamente garantita (da Bismarck e Beveridge fino a Obama),
- quale allora il più efficace grado di separazione tra politica e management e chi lo nomina e valuta? Quale la giusta distanza tra i porcospini infreddoliti di Schopenhauer?
- cosa serve a individuare e poi a rendere stabile e duratura, sicura ed efficace questa giusta distanza?
 
Il provvedimento risponde, anche se non del tutto. La politica mantiene salda la cloche di selezioni, nomine e valutazioni. Niente radicalismi di autocoscienza Lacaniana, nonostante le dichiarazioni. Ma introduce nuove e assai più stringenti regole per farle.
 
Inizio dalla cloche, che appunto resta in ultima analisi nelle stesse potenti mani. L’Albo nazionale sarà gestito da una commissione di Ministero, Agenas e Regioni (quindi più o meno direttamente dalla politica). Selezione dall’albo fatta da commissione regionale (idem). Per una terna dalla quale il Governatore (idem bis) sceglierà il vincitore. I cui obiettivi saranno definiti dalla Regione (idem tris). Poi valutati dalla stessa (idem quater).
 
Il punto resta sulla reale indipendenza dei manager selezionati ma anche di quelli “selezionati a selezionarli”.D’obbligo il “todos caballeros”, ma certo è legittima la diffidenza data dalle calcificate consuetudini non solo della politica che decide e detta carriere e nomine ma anche e soprattutto delle carriere inseguite inseguendo il politico. Come diceva Longanesi, in Italia la liberta c’è, sono gli uomini liberi a mancare.
 
Il nuovo decreto ha il merito notevole di alzare la soglia dei profili di competenze ed esperienze richiesti al management(nei fatti già piuttosto alti, cresciuti specialmente dopo la sfida dei “piani di rientro”). E soprattutto di rendere meno discrezionali e più sistemici ed uniformi, standardizzandoli anche geograficamente, i processi selettivi e valutativi finora tra le diverse regioni difformi al limite dell’anarchia.
 
Migliorabile invece il meccanismo di valutazione dei risultati. È vero che la decadenza del DG è automatica in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, economici e sanitari. Ma dipende dalla loro asticella. Che è posta discrezionalmente dalla Regione ai manager che essa stessa ha scelto e che poi va a valutare. Una specie di autocertificazione, chiedere all’oste com’è il suo vino.
 
Cosa manca? Quali gli “anticorpi” giustamente evocati dalla Lorenzin sulle ultime vicende dalla “capitale morale” d’Italia?Più meccanismi di controllo incrociato e reciproco. Altri “stakeholders” del sistema, quelli che ne usufruiscono (cittadini, pazienti, società civile, municipalità). Le professioni (chi si ricorda più della “governance clinico”) magari con un po’ meno corazza sindacale e belligeranza tra tribù.
 
E sanzioni vere all’illegalità, soprattutto in solido e personali (grande tabù). Un’occhiata oltremanica può essere utile. Aumentare la pluralità dei soggetti coinvolti aumenta il tasso di controllo incrociato e abbassa il rischio di contiguità, mentre più pesante è la sanzione maggiore la deterrenza al dolo.
 
Se il rapporto di dipendenza dal potente politico che nomina, valuta e promuove resta distorto, lascia deboli le barriere agli obiettivi di parte. “Signoria e servitù” dell’hegeliana fenomenologia dello spirito, “cuius regio, eius religio” del conformarsi ai desiderata del dominus che decide carriere e conti corrente. Dal potere oggi elevato e accentrato a rischio di senso d’onnipotenza, vertigini da “altezza” foriere di sbandamenti su cattive tentazioni rafforzate da un senso di generale impunità.
 
Insomma, servono meno hybris e più deterrenza. È una duplice semantica, sintetizzata da Montaigne già nel 1500 in un proverbiale aforisma capace di esprimere in modo bifronte sia un invito intimista e spirituale alla profondità della corretta consapevolezza di sé che un pragmatico avvertimento sulle spiacevoli conseguenze dell’incedere al reato.
 
Una crasi mirabile tra il Siddharta e i Soprano riassunta dal grande filosofo francese in poche parole chiare e inequivocabili: “sappi che anche se stai sul più alto e importante trono del mondo sei comunque seduto sul tuo culo”. La inserirei come clausola contrattuale.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria

18 febbraio 2016
© Riproduzione riservata

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