La Corte europea di Giustizia ha condannato l'Italia per il mancato rispetto dei valori limite annuali sulla concentrazione di biossido d'azoto nell'atmosfera, un fattore inquinante dell'aria nocivo per la salute umana, in diverse aree urbane e industriali del Paese, nella Pianura padana, in Sicilia e nelle città di Genova, Roma e Firenze e Catania.
La sentenza di oggi conferma la posizione della Commissione europea, che aveva adito la Corte nel luglio del 2019 dopo aver accertato alcune infrazioni da parte dell'Italia alla direttiva del 2008 sulla qualità dell'aria (2008/50/Ce).
Nel suo ricorso, la Commissione aveva chiesto alla Corte di dichiarare che l'Italia è venuta meno ai suoi obblighi di applicare la direttiva, in ragione del mancato rispetto, sistematico e continuativo, del valore limite annuale (pari a 40 microgrammi per metro cubo) fissato per la concentrazione di biossido d'azoto (NO2) nell'atmosfera nelle zone indicate, e della mancata adozione, a partire dall'11 giugno 2011, di misure atte a mantenere le emissioni di questo gas sotto quella soglia.
Nella sua sentenza, la Corte accoglie il ricorso della Commissione, accertando l'inadempimento dell'Italia, e conclude che il valore limite annuale per il biossido d'azoto è stato sistematicamente e continuativamente oltrepassato nelle seguenti aree: a partire dall'anno 2010 fino all'anno 2018 incluso, negli agglomerati di Torino, Milano, Bergamo, Brescia, Firenze, Roma e nel comune di Genova; a partire dall'anno 2010 e fino a tutto il 2017 incluso, nelle aree altamente urbanizzate della pianura lombarda (Zona A); dall'anno 2010 fino al 2012 e a partire dal 2014 fino al 2018 incluso, nell'agglomerato di Catania; a partire dall'anno 2010 fino al 2012 e a partire dal 2014 fino a tutto il 2017 incluso, nelle zone industriali della Sicilia.
L'Italia, inoltre, a decorrere dall'11 giugno 2010, non ha preso le misure che avrebbero dovuto garantire il rispetto del valore limite annuale nell'insieme delle zone elencate, non adottando piani relativi alla qualità dell'aria adeguati, che limitassero al periodo più breve possibile il superamento della soglia.
Queste due inadempienze dell'Italia violano rispettivamente gli obblighi previsti dall'art. 13 e dall'art. 23 della direttiva.
Per spiegare queste inadempienze, l'Italia aveva avanzato giustificazioni quali le difficoltà strutturali legate ai fattori socio-economici, gli investimenti di grande portata da mettere in opera, la tendenza al ribasso dei valori di biossido di azoto, i tempi di attuazione necessariamente lunghi dei piani adottati, le tradizioni locali, la presenza di co-fattori causali esterni quali la configurazione orografica di certe zone e la circolazione dei veicoli diesel. Ma la Corte ha giudicato che tutti questi argomenti non costituiscono giustificazioni valide.