Covid in crescita a Trieste, serve una strategia
03 NOV -
Gentile Direttore,
prosegue la crescita del Covid a Trieste, che continua a detenere il primo posto tra le provincie italiane per incidenza del virus. Per spiegare il fenomeno sono state chiamate in causa le numerose e affollate manifestazioni anti green pass delle ultime settimane e non v’è dubbio che da esse sono scaturiti focolai che hanno favorito la crescita del virus.
Le autorità cittadine stanno adottando le prime misure per contrastare gli assembramenti ma di fronte a numeri così alti e in così rapido aumento andrebbero verificate anche altre concause e messe in sicurezza le attività a maggior rischio, come i trasporti urbani e ferroviari, i luoghi di cura, ecc. E massima attenzione andrebbe rivolta agli ospedali e ai servizi territoriali di cura e prevenzione dell’Azienda sanitaria triestina – ASUGI – perché anche dall’efficienza di questi dipende il contenimento del virus.
Giova ricordare che per il controllo dell’epidemia e la cura delle persone risulta essenziale la strategia delle 3T (Testare, Tracciare, Trattare), le cui azioni devono essere realizzate in tempo (quarta T). Ma nel capoluogo giuliano ci vogliono da 2 a 5 e più giorni per l’accertamento di positività e conseguente isolamento di un sospetto Covid. In più la persona sospetta, anche se febbricitante e con sintomi, deve recarsi a fare il tampone presso la struttura apposita dell’Azienda sanitaria, con mezzi propri o avvalendosi del trasporto pubblico, con l’intuibile rischio di ulteriore diffusione del virus, soprattutto se il percorso è lungo e i mezzi affollati. E comunque fino all’esito del tampone la persona risulta sostanzialmente libera di muoversi per più giorni, e proprio nei giorni quando è massimo rischio di contagiosità, e così pure i contatti stretti, come i familiari.
Nelle residenze per anziani il testing è effettuato con maggior solerzia, ma se un ospite risulta positivo il suo trasferimento può risultare lungo e complicato, soprattutto nei giorni festivi e prefestivi, quando le attività del DIP – Dipartimento di prevenzione - e dei Distretti si riducono di molto.
Sul fronte ospedaliero continuano a permanere condizioni potenzialmente favorenti la diffusione del virus, visto che non risultano consolidati né la separazione di tutti i percorsi Covid / no Covid, né l’isolamento dei pazienti sospetti Covid (i cosiddetti grigi) o potenzialmente contagiosi, nonostante le specifiche prescrizioni normative in merito.
E ambedue i fronti sanitari, ospedale e territorio, scontano un sistema di comunicazioni lacunoso, che in questi frangenti è motivo di seria preoccupazione, perché medici e infermieri devono poter contare su informazioni tempestive, puntuali ed esaustive, e finora così non è stato. Anche l’utenza meriterebbe maggiore attenzione e non essere lasciata nell’incertezza. La percentuale dei vaccinati a Trieste risulta sotto la media e quindi tanto più pesa la carenza di una strategia informativa mirata a intercettare le persone esitanti a vaccinarsi e a fugarne i dubbi.
Infine, in questo quadro, già poco rassicurante, permangono i dubbi sull’effettivo potere filtrante di almeno una parte dei dispositivi di protezione FFP2 usati dai medici e infermieri di ASUGI (e non solo).
Che fare? L’ospedale di Trieste fino a pochi anni fa vantava un’apprezzabile gestione per la qualità, che valse l’accreditamento all’eccellenza - JCI - Joint Commission International, perso pochi anni fa. L’organizzazione era improntata da precisi standard per migliorare la sicurezza del paziente e la qualità dell’assistenza. A ciò si dovrebbe guardare.
Walter Zalukar
Già Direttore DEA e SC Pronto Soccorso - Azienda ospedaliero universitaria di Trieste e Consigliere Regionale FVG – Gruppo Misto
03 novembre 2021
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