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Radiazione Venturi. Ecco le motivazioni della Commissione disciplinare dell’Omceo Bologna

Sono sostanzialmente due i motivi che emergono dal documento che abbiamo potuto visionare in anteprima: violazione di una serie di articoli del codice deontologico contestabili anche fuori dall’usuale esercizio professionale quando ritenuti rilevanti ed incidenti sul decoro della professione” e applicabili “al medico quali  siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera” e quindi anche nella funzione di assessore; l’avere contribuito a redigere una delibera in cui è prevista la “delegabilità di atti tipici di competenza medica quali la diagnosi, prescrizione e somministrazione farmacologica a personale infermieristico”

05 APR - E’ arrivato a conclusione il procedimento disciplinare a carico dell’assessore alle politiche della salute della Regione Emilia-Romagna Sergio Venturi promosso dall’Ordine dei medici di Bologna e conclusosi con la  più grave delle sanzioni previste: la radiazione.
 
Le motivazioni, appena depositate e che abbiamo potuto visionare in anteprima, si articolano su vari punti procedurali e sostanziali,  con una serie di richiami che, per la comprensione del caso, è indispensabile ricostruire proprio partendo dal fatto.
 
Il fatto
La contestazione era inerente alla delibera di Giunta Regionale 508/2016 con particolare riferimento alle istruzioni operative:
1. Gestione pronto soccorso sanitario aeroportuale dell’aeroporto G. Marconi di Bologna;
2. Gestione infermieristica dolore toracico;
3. Gestione infermieristica dei pazienti con intossicazione acuta da oppiacei.
 
La contestazione dei tre protocolli si inserisce – si legge nella decisione della Commissione medica disciplinare dell’Omceo di Bologna del 15 marzo 2019 - in un più “vasto insieme di provvedimenti che si ritenevano di fatto delegare azioni di stretta pertinenza medica al personale non medico”. Conseguenza della delega consiste nell’autorizzare il “personale infermieristico ad eseguire di fatto atti valutativi di tipo diagnostico e a procedere alla somministrazione di farmaci seguendo in alcuni casi una sorta di tabella-prontuario associativo tra sintomatologia e conseguenti interventi medicali farmacologici, praticabili in alcuni casi anche attraverso un interpello consulenziale telematico di un medico in sede operativa”.
 
La difesa del dott. Venturi si è basata su quattro punti:
1. non può sussistere la potestà disciplinare dell’Ordine in merito alle attività svolte in qualità di assessore regionale alle politiche della salute, incarico per il quale “non è necessaria la qualifica di medico”;
2. la delibera 508/2016 non è mai stata impugnata nelle sedi giurisdizionali competenti e quindi risulta valida e non disapplicabile;
3. avere collaborato alla stesura della delibera come assessore e non come medico;
4. contrasto con la giurisprudenza della Commissione centrale per le professioni sanitarie (CCEPS – organismo di giurisdizione speciale per gli atti degli ordini delle professioni sanitarie) che avrebbe chiarito che il potere disciplinare degli ordini sussisterebbe solo nel corso dell’esercizio della professione.
 
Le motivazioni della radiazione
La motivazione di radiazione dall’Albo su alcune questioni procedurali – che in questa sede tralasciamo – fatta eccezione per la richiesta di istanza di sospensione proposta alla CCEPS da Venturi del tutto inspiegabile e rigettata dalla stessa autorità giudicante, inevitabilmente, in quanto essa non interviene negli atti infraprocedimentali bensì alla fine del procedimento.
 
Per quanto concerne il merito si è contestato al dott. Venturi:
1. la violazione di una serie di articoli del codice deontologico (vedi allegato) che sono contestabili anche fuori dall’usuale esercizio professionale in quanto il Codice Fnomceo 2014 precisa che il Codice regola anche i  comportamenti assunti al di fuori dell’esercizio professionale, quando ritenuti rilevanti ed incidenti sul decoro della professione” e applicabili “al medico quali  siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera” e quindi anche nella funzione di assessore;
 
2. l’avere contribuito a redigere una delibera in cui è prevista la “delegabilità di atti tipici di competenza medica quali la diagnosi, prescrizione e somministrazione farmacologica a personale infermieristico”. La delegabilità di atti medici è espressamente vietata dal Codice Fnomceo 2014, il quale specifica che le attività di “prescrizione a fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione è una diretta, specifica, esclusiva e non delegabile competenza del medico”.
 
Il fatto che la delibera non sia mai stata contestata presso le autorità giudiziarie competenti è stato ritenuto irrilevante dal punto di vista della violazione della norma deontologica.
 
 
La trascuranza della normativa ordinistica da parte dell’Omceo di Bologna
In primo luogo vi è da esaminare quale debba essere il ruolo della deontologia, quale rapporto debba avere con la normativa legislativa e regolamentare e se essa sia applicabile anche ai contesti diversi e usuali dell’esercizio della professione medica.
 
La codificazione deontologica è ammessa alla piena potestà discrezionale degli Ordini delle professioni sanitarie dall’attuale normativa ordinistica – legge 3/2018 – la quale non ha previsto alcun vaglio da parte di alcuna autorità come ad esempio il controllo del Garante della privacy sul codice dei giornalisti.
 
La legge ordinistica, però, ha incasellato la normativa deontologica all’interno di un più vasto sistema di norme. Gli Ordini, infatti, “promuovono e assicurano l'indipendenza, l'autonomia e la responsabilità delle professioni e dell'esercizio professionale, la qualità tecnico-professionale, la valorizzazione della funzione sociale, la salvaguardia dei diritti umani e dei princìpi etici dell'esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva” e devono irrogare sanzioni disciplinari “secondo una graduazione correlata alla volontarietà della condotta, alla gravità,  alla reiterazione dell'illecito, tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro.
 
Le indicazioni disciplinari, dunque, sono oggi temperate e bilanciate dal rispetto di norme extra-codicistiche quali le normative nazionali e regionali nonché dai contratti di lavoro. Curiosamente la normativa ordinistica, costituita in gran parte dalle innovazioni apportate dalla legge 3/2018, viene nelle motivazioni totalmente trascurata.
 
I fatti, è vero, risalgono al 2016: vi è da porsi quale sia la normativa da applicare ai  procedimenti disciplinari iniziati dopo l’entrata in vigore della legge 3/18, ancorché riferiti a fatti avvenuti precedentemente.
 
In base ai principi generali dei procedimenti sanzionatori si dovrebbe applicare analogicamente quanto previsto per i processi penali: quando una legge successiva è più favorevole al reo/incolpato si applica quella più favorevole. Non vi sono dubbi che i dettami apportati dalla legge 3/18 siano più favorevoli al dott. Venturi in quanto, come abbiamo visto, il legislatore ha inteso temperare la deontologia con altre disposizioni derivanti dalla normativa nazionale e regionale nonché da quella contrattuale.
In particolare non può essere non rilevante lo storico decreto di  istituzione del 118 – il DPR 27 marzo 1992 – che all’articolo 10 prevedeva e prevede che il personale infermieristico “può essere autorizzato a praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”.
 
Questa è la fonte normativa principe di riferimento e non prevede un’attività di delega di funzioni, inammissibile nel nostro ordinamento giuridico per quanto riguarda l’esercizio professionale. Un’attività medica è indelegabile a qualunque altra figura professionale non medica.
 
Il punctum pruriens della situazione è, però, la reale individuazione dell’attività medica – nella vulgata dell’atto medico – esclusiva da non confondersi con le attività che sono svolte consuetudinariamente dai medici. Le due situazioni non sempre coincidono.
 
Il DPR del 1992 non prevede attività di delega: si pone piuttosto come attività prescrittiva tramite protocolli diagnostico-terapeutici. Il protocollo, nell’emergenza, è da considerarsi, nella sostanza, come una prescrizione anticipata e ancorata a precisi segni clinici. L’attività prescrittiva rimane quindi in capo al medico e il protocollo – strutturato come algoritmo – lo evidenzia in modo preciso soprattutto  nella contestazione di quelle istruzioni operative sulla gestione degli oppiacei e del dolore toracico in cui le stesse si pongono come una precisa sequenza di attività da svolgere al riscontrarsi di altrettanto precisi segni clinici.
 
I protocolli che vengono approvati ai vari livelli – in questo caso dalla Regione anche per il tramite dell’assessore Venturi – non possono non tenere conto della “normativa nazionale”, come del resto il rispetto della normativa nazionale deve oggi essere alla base del procedimento ordinistico. Il riferimento non sembra essere stato colto dalla motivazione dell’Omceo di Bologna.
 
La decisione di radiazione del dott. Venturi appare poi decisamente sproporzionata in quanto non sembra che si sia tenuto conto, in alcun modo, della “graduazione della volontarietà della condotta” e, soprattutto, della “gravità” e della “reiterazione dell’illecito”.  L’approvazione di protocolli già in uso non comporta certo un giudizio di “gravità”: si tratta di atti di comportamento professionale, che si possono anche non condividere, ma non possono certo portare all’espulsione dal consesso professionale di chi li pone in essere. Altri certo sono i comportamenti che sono suscettibili di radiazione. Non risultano inoltre, quanto meno non sono noti, i precedenti che avrebbero potuto portare  alla “reiterazione dell’illecito”, altro elemento da tenere presente per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari.
 
La natura delle norme deontologiche secondo la CCEPS 
Nei procedimenti disciplinari attivati precedentemente dall’Ordine dei medici di Bologna, sempre sul caso dei protocolli del 118 dell’azienda sanitaria di Bologna, la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (CCEPS) ha avuto modo di inoltrarsi sulla natura delle norme deontologiche precisando (Decisione 72/2917):
“Sono da assimilarsi alla tipologia degli atti di soft law, consistendo nel recepimento e nella cristallizzazione di criteri comportamentali e di protocolli terapeutici consolidati e assistiti dall’opinio juris seu necessitatis, nonché dall’adesione al sodalizio professionale con implicita accettazione delle funzioni e dei poteri di vigilanza e di controllo sull’esercizio dell’attività dell’iscritto”.
 
La CCEPS evoca la soft law, concetto di  origine dottrinale del quale non esiste, al momento, una definizione condivisa. Per soft law si intende una serie “disomogenea di atti e fatti normativi” che vanno dalle dichiarazioni delle Nazioni Unite, alle decisioni delle Autorità indipendenti fino agli atti normativi – codici deontologici – degli Ordini professionali. La soft law mira di fatto a costruire una fonte di diritto, pur non essendola. In realtà bisogna distinguere gli effetti del codice deontologico nei rapporti con la legge e il mondo esterno e gli effetti del codice deontologico negli effetti interni alla professione. Nei rapporti con la legge – come nel caso di specie - la soft law può essere integrativa, mai sostitutiva e mai contra legem.
 
La CCEPS ha comunque confermato la illiceità deontologica dei protocolli adottati dalla azienda sanitaria – anche se dietro delibera regionale – facendo quindi prevalere il codice deontologico rispetto alle delibere.
In base alla normativa sopravvenuta il codice deontologico è solo una delle fonti normative a cui fare riferimento nel procedimento disciplinare ordinistico.
 
In base a quanto esposto dobbiamo riconoscere il diverso atteggiamento del legislatore sulla deontologia: preventivo rispetto al codice deontologico dei giornalisti e di politica temperata e bilanciata rispetto ai codici delle professioni sanitarie. La deontologia, quindi, inquadrata in un sistema di fonti più ampio e non più fonte esclusiva nel procedimento disciplinare.
 
L’applicabilità delle norme deontologiche fuori dall’esercizio professionale
La domanda da porsi è inevitabile: il medico è tenuto all’osservanza del codice deontologico anche al di fuori dell’usuale esercizio professionale?  Uno degli articoli del Codice richiamati dall’Ordine di Bologna impone al medico la “tutela della vita, della salute psico-fisica, della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera”.
 
Questo ultimo riferimento è da intendersi come giudizio dell’operato del medico nelle istituzioni o, come sembra più correttamente da interpretarsi, l’istituzione è da intendersi come l’istituzione di cura?
 
Certo è che l’Ordine di Bologna può vantare l’interpretazione più estensiva di quella proposta in quanto è stato recentemente autorevolmente scritto che il medico è soggetto comunque alla deontologia anche qualora ricopra “ruoli politici, amministrativi e gestionali” e  al medico verrebbe fatto divieto anche solo di condividere “decisioni in evidente contrasto con i dettami del codice deontologico”.
 
Il medico ha il dovere, in questi casi, di dissociarsi pubblicamente: in caso contrario il medico andrebbe “pubblicamente biasimato dagli Ordini competenti e dalla Federazione nazionale”. Lo leggiamo  da una recente pubblicazione a cura dell’Ordine dei medici di Trento e di Ivan Cavicchi (Riformare la deontologia medica, Dedalo, 2018), con prefazione di Filippo Anelli (presidente Fnomceo)”.
 
Si prefigurerebbe una sorta di moderna gogna mediatica per un medico, ad esempio un parlamentare, che invece di rispondere ai propri elettori – come la Costituzione gli impone – risponderebbe al Consiglio direttivo del proprio Ordine.  La differenza tra la posizione di un assessore – per di più tecnico – e un politico eletto potrebbe stare proprio nella diversità di trattamento: al politico eletto si riserverebbe la gogna mediatica – il biasimo pubblico – all’assessore tecnico il procedimento disciplinare vero e proprio.
 
In queste pagine Antonio Panti si domandava provocatoriamente: “e se a qualcuno venisse in mente di radiare dall’Ordine dei medici anche il ministro Grillo?”. Il ministro Giulia Grillo sembrerebbe, in questa logica, non sottoponibile a procedimento ordinistico, in quanto titolare di specifiche guarentigie riconosciute dalla Costituzione (Giulia Grillo, tra l’altro, è anche parlamentare).
 
Vi è da domandarsi – domanda retorica – quale che sia la differenza di trattamento da riservare tra il politico eletto e il politico nominato, se la deontologia possa essere il faro costante del professionista medico anche quando non esercita la professione.
Un faro che rischia di essere, per più motivi, inquietante oltre che insopportabilmente autoreferenziale.
 
Conclusioni
La decisione dell’Ordine di Bologna appare sbagliata nel merito e, comunque, sproporzionata. Non vi è realmente una proporzione tra la presunta violazione e la sanzione irrogata. A monte, registriamo un problema di qualità dei codici deontologici le cui formulazioni, spesso ambigue, possono portare a  interpretazioni e decisioni fuorvianti.
 
A questo proposito, nella intenzione di procedere a una riforma complessiva del Codice di deontologia medica avviata con l’operazione degli Stati generali, sarebbe utile sapere se il lavoro portato avanti dall’Ordine di Trento possa costituire la base, o una delle basi, del nuovo Codice. Nella prefazione si legge che la  “Fnomceo sostiene il libro non con il ruolo tradizionale dello sponsor, ma con quello della complicità e dell’alleanza culturale di chi ha obiettivi comuni” (pag. 12).
 
Veramente un organo sussidiario dello Stato – come la Fnomceo e tutto il sistema ordinistico  - può farsi promotore di un “pubblico biasimo” verso i politici-medici che prendono decisioni che la Federazione o il singolo Ordine non condivide?  Conterrebbe, in questo caso, più l’appartenenza al gruppo professionale che non la fedeltà alle istituzioni rappresentative previste dalla Costituzione.
 
Il medico eletto/nominato non sarebbe mai libero di prendere decisioni. L’alternativa sarebbe la cancellazione dell’albo una volta eletto, non prevedendo il sistema una sospensione dallo stesso.
 
Lo spettro di ordini professionali capaci di influenzare le pubbliche decisioni sanzionando gli appartenenti alle istituzioni stesse è senza dubbio un pericolo da sventare e che il sistema ordinistico non si può comunque permettere.
 
Luca Benci
Giurista  

05 aprile 2019
© Riproduzione riservata

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