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Se anche gli infermieri avessero un dott. Pizza...

24 OTT - Gentile Direttore,
mi permetto di intervenire sulla querelle che ha portato nuovamente alla ribalta il dott. Giancarlo Pizza (Presidente dell’ordine dei medici di Bologna) reo di aver istruito un procedimento disciplinare nei confronti del dott. Sergio Venturi (medico e assessore alla salute della regione Emilia Romagna) per la ormai nota delibera regionale sulle competenze avanzate degli infermieri del 118.

Pur essendo parte in causa, vista la mia attività professionale di infermiere del 118, non intendo entrare nel merito della delibera ma vorrei prendere spunto dall’articolo firmato da Ivan Cavicchi (Quotidiano Sanità del 22 ottobre 2018) per cercare di proporre una lettura a più ampio respiro.

Cavicchi descrive l’azione disciplinare dell’Ordine dei medici di Bologna e non del dott. Pizza, perché anche a mio avviso di questo si tratta, come: “una forma di protesta senza precedenti quindi alquanto originale, e a giudicare dal clamore che sta suscitando, decisamente efficace, ma il cui significato conflittuale è fondamentalmente lo stesso di una manifestazione di piazza o di uno sciopero”.

Prosegue l’autore dell’articolo affermando che: “a partire da questo contesto, il significato rilevante, dell’iniziativa di Bologna è uno solo: quello di una deontologia, quindi di una professione stanca di subire le svalutanti priorità amministrative di chi governa la sanità, e che rivendica, prima di tutto dalle istituzioni, considerazione, rispetto, osservanza, buona educazione, senso dell’etica”.

Questa affermazione mi ha letteralmente bloccato! Ma Cavicchi si sta riferendo alla professione medica oppure a quella infermieristica o ancora alle professioni sanitarie in genere?

Perché a me pare che anche la professione infermieristica sia ormai da anni vittima delle svalutanti priorità amministrative, ed economiche aggiungerei io. Tutti noi abbiano coscienza che la professione infermieristica ha necessità di considerazione, rispetto, osservanza e senso dell’etica. Ma allora l’Ordine dei medici di Bologna sta davvero conducendo una battaglia contro gli infermieri?

Per proseguire nella mia riflessione vorrei prendere spunto da un argomento ultimamente oggetto di intensi dibattiti: il cosiddetto demansionamento infermieristico. Definizione a mio giudizio pessima e diversamente inquadrabile in un processo di de-professionalizzazione inteso come perdita dell’identità professionale.

La FNOPI il 1 settembre 2019 ha pubblicato un documento dal titolo le linee di azione della Federazione sul fenomeno demansionamento oggetto nei giorni scorsi di un’attenta analisi dal parte della collega Marcella Gostinelli (Quotidiano Sanità del 17 ottobre 2018) che s’inserisce a pieno titolo nelle mie considerazioni. È indubbia la rilevanza politica del documento FNOPI che finalmente sdogana dalle cucinette dei reparti ospedalieri il fenomeno demansionamento collocandolo in una cornice ora più concreta e anche formale.

A mio avviso è però altrettanto rilevante, come afferma Gostinelli, la mancanza di un programma specifico da parte della Federazione che impedisca alla professione di rimanere ancorata ai contesti demansionanti o meglio ancora de-professionalizzanti. Tanti buoni propositi che però non sono concretizzabili e immediatamente attuabili.

FNOPI nel documento afferma che: “più che un livello centrale devono essere gli OPI Provinciali o le OOSS locali, ad intervenire nelle tutele professionali e sindacali”. Ed è a questo punto che il mio pensiero va a al dott. Pizza, presidente dell’Ordine dei medici di Bologna. Quest’ultimo, per la propria professione, non sta forse attuando le linee di azione che FNOPI ha elaborato a beneficio dei professionisti infermieri?

Cosa accadrebbe se la dirigenza infermieristica, rea di non aver osservato le norme deontologiche (art. 49 ad esempio), fosse oggetto di un provvedimento disciplinare da parte dell’ordine professionale? Quale sarebbe la risposta che le odierne organizzazioni sanitarie potrebbero fornire? Con quali risorse?

Il demansionamento del resto è solo uno dei problemi che affliggono la professione infermieristica unitamente alla mancanza di infermieri e al conseguente sovraccarico di turni; alle risicate risorse economiche riservate dalla contrattazione nazionale e decentrata; al mancato riconoscimento sociale ed economico delle cosiddette competenze avanzate (competenze infermieristiche a parer di chi scrive); agli episodi di violenza perpetrati nei confronti dei professionisti; alla progressiva disaffezione verso la professione.

Non ho mai avuto occasione di confrontarmi con il dott. Pizza ma non riesco a pensare a lui come a: una persona dalla “mentalità paranoica, persecutoria ed intimidatoria nei confronti di suoi colleghi” (Vito De Filippo e Luca Rizzo Nervo, Quotidiano Sanità 19 ottobre 2018)” e nemmeno come il nemico degli infermieri.

In Pizza leggo piuttosto la reazione di una delle professioni sanitarie che utilizzando i limitati strumenti a disposizione cerca di contrastare le logiche politico-economicistiche che guidano la programmazione sanitaria nel nostro Paese.

Se è vero com’è vero che l’agire dei professionisti della salute trova ispirazione e guida in via prioritaria e gerarchica nelle norme deontologiche, allora anche la comunità professionale infermieristica potrebbe essere scossa (su base provinciale) dall’“effetto Pizza”, in sintonia, ad esempio, con linee di azione della Federazione sul fenomeno demansionamento.

Con quali conseguenze per gli utenti del SSN?

Nicola Colamaria
Infermiere


24 ottobre 2018
© Riproduzione riservata

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