Formazione post laurea: siamo a uno snodo decisivo
21 MAR -
Gentile Direttore,
è stato avviato in questi giorni il confronto con le organizzazioni sindacali sull’ intricata tematica della formazione medica post laurea. Con questa mia desidero condividere alcune considerazioni emerse dai confronti promossi fra i giovani iscritti a SNAMI Emilia-Romagna. Talune di queste nel recente passato erano state tradotte in mozioni unanimemente approvate all’ultimo congresso nazionale di Terrasini. Una delle maggiori criticità discusse riguardava la sensazione di perdita del valore intrinseco al titolo di “Medico Chirurgo” , intendendo con questo la laurea e la successiva abilitazione all’esercizio professionale. Il susseguirsi atti normativi ha reso anno dopo anno tale titolo quasi per nulla spendibile in un contesto lavorativo strutturato nel SSN. Oggi un giovane medico in assenza di specializzazione o di possesso del titolo di MMG non ha nemmeno modo di confrontarsi e dimostrare le proprie competenze in concorsi o selezioni in qualsivoglia articolazione contrattuale strutturata del SSN (CCNL e ACN). Dottorati e Master non hanno praticamente alcun peso ai fini dei requisiti di ammissione concorsuale.
Per contratti precari libero professionali, magari con un 30% di retribuzione in meno rispetto lo standard e senza alcuna tutela c’è sempre spazio, ma
se si cercasse qualche ruolo strutturato nessuna chance salvo sanatorie o decretazioni estemporanee. Parimenti, sul versante formativo, causa la scarsità di posti ed in alcuni casi l’insufficiente gettito economico della borsa di studio, quei titoli, tanti medici non hanno modo di conseguirli indipendentemente dalla bravura del singolo. Si leggeva in questi giorni della proposta delle Regioni di un accesso al Servizio Sanitario Nazionale anche per i medici non specialisti all’interno di un’area contrattuale diversa dalla dirigenziale.
Per quanto rigettata da alcuni, questa proposta potrebbe essere il punto di partenza per una seria riflessione e riprogettazione del sistema, andando oltre i paradigmi che sino ad oggi lo hanno caratterizzato. Osservando il problema da molteplici angolazioni non possiamo dimenticare che il percorso di studi “base” per un medico è di per sé giustamente lungo, almeno 6 anni di corso e successivo esame di stato. Con l’attuale assetto si inizia a lavorare in maniera strutturata tardi, e questo significa iniziare ad accantonare e maturare le tutele contributivo previdenziali molto più in là nel tempo rispetto ad altri professionisti. Le normative di riferimento europee garantiscono grande flessibilità e consentono di pensare nuove soluzioni. Dove sta scritto che il percorso di formazione post laurea debba essere quasi un percorso di guerra? Le soluzioni possono essere trovate e raggiunte a patto che si ragioni al di fuori dei classici preconcetti all’interno dei quali molti sono ancora oggi imprigionati.
Perché non pensare al superamento della dicotomia oggi esistente tra formazione e lavoro? Molti paesi europei ci insegnano che è realizzabile questo modello, un’organizzazione strategica che consenta di valorizzare entrambi gli aspetti della vita professionale di un medico coniugando la crescita formativa e professionale, per esempio, attraverso lo studio di nuove forme contrattuali “entry level”.
Si potrebbe immaginare, per esempio, un contratto di lavoro subordinato per l’attività ospedaliera ed uno specifico capo del nuovo ACN per la medicina generale per i futuri MMG. In ogni caso, un contratto vero e proprio, con congrua centralizzazione dei contributi, magari in ENPAM, ed una piena adesione alle forme previdenziali e assistenziali esistenti.
Questo consentirebbe di utilizzare a pieno il lavoro dei professionisti riconoscendo la graduale assunzione di responsabilità assistenziali senza alcuna perdita di posti di lavoro per i futuri specialisti. Rivisitando quello che oggi chiamiamo “tronco comune” si potrebbero individuare ore assistenziali attribuibili al medico che abbia ottenuto apposita abilitazione a seguito di un tirocinio e che via via negli anni potrebbero essere sostituite da mansioni e competenze nuove sulla base di definiti percorsi di certificazione delle competenze. Per quanto qualcuno fatichi ad ammetterlo oggi l’SSN usa tanti medici senza titoli post laurea: la gran parte dei servizi dell’emergenza urgenza tanto ospedalieri quanto territoriali vedono al loro interno operare medici privi di specializzazioni, lavorano solo con contratti precari e non tutelanti, ma lavorano ogni giorno con le medesime mansioni e responsabilità.
Stesso dicasi per i medici fiscali e tanti altri potrebbero essere gli esempi. Il ministro Lorenzin pochi mesi or sono ha dovuto decretare una strategia di stabilizzazione a tutela dei medici dei servizi di emergenza. Certamente uno sforzo apprezzabile, siamo tuttavia certi che la soluzione ad un problema cronico siano sanatorie estemporanee? Fenomeno analogo si verifica per gran parte dei servizi territoriali della medicina generale, molte aree d’Italia coprono gli ambiti territoriali carenti con medici precari in quanto mancano coloro che possono essere inseriti come titolari.
Troppo pochi medici in possesso del corso di formazione specifica in medicina generale.
Gran parte della continuità assistenziale e dell’emergenza, ma anche incarichi di sostituzione o provvisori di assistenza primaria e dell’assistenza carceraria funzionano così. Questi medici lavorano per mesi e mesi, magari anni, con identici obblighi e funzioni dei titolari, ma l’attuale assetto normativo consente al sistema di “sfruttarli” a tempo determinato senza mai garantirgli la dignità di accedere al medesimo incarico con un contratto vero e proprio. Si perde il conto di quanti ospedali privati anche accreditati sopravvivono grazie a liberi professionisti non specialisti quasi sempre operanti con contratti discriminatori e non tutelanti per l’assistenza su posti letto convenzionati SSN. Sebbene ogni anno sia formalmente possibile ritentare l’accesso alla formazione post laurea, è umano e comprensibile che questo sistema abbia generato in tanti, troppi professionisti, delusione e demotivazione. Oggi tanti colleghi tentano test di ammissione per specializzazioni molto diverse tra loro non per vocazione ma con la sola speranza di entrare da qualche parte e portare a casa un titolo spendibile.
Credo questo sia quanto di peggio un sistema formativo possa aspirare a creare:
una significativa quota di professionisti che si accontentano o che peggio un domani potranno vivere un forte senso di frustrazione. Non serve citare la frase attribuita Steve Jobs che recita “L’unico modo di fare un ottimo lavoro è amare quello che fai” per dire che per un medico che già ha affrontato la dura selezione di accesso alla facoltà, scegliere il più liberamente possibile la branca che lo appassiona dovrebbe essere interesse di tutti, in primis, dei futuri cittadini da questi assistiti. Impossibile prevedere il futuro e la speranza è ovviamente che questo fenomeno non produca un domani conseguenze negative, tuttavia il fatto che tanti siano stati costretti a ripiegare su percorsi che non rispecchiavano la loro vocazione, potrebbe risultare una scelta poco oculata se ci si poneva come obiettivo l’eccellenza assistenziale.
Un sistema formativo dovrebbe essere particolarmente attento a garantire e coltivare positivamente il perseguimento di obiettivi e vocazioni degli studenti, a maggior ragione quando questi sono oramai professionisti adulti e consapevoli. L’odierno momento di confronto tra il governo le organizzazioni sindacali è certamente un’occasione imperdibile. Irripetibile momento da cogliere per togliere la testa da sotto la sabbia e progettare una riforma che superi i problemi generati dalla dicotomia lavoro - formazione. Temo viceversa che l’alternativa a questo sarà purtroppo il susseguirsi di infinite sanatorie e pezze di ogni genere cucite sulla pelle dei medici e dei cittadini.
Roberto Pieralli
Segretario Regionale Snami Emilia Romagna
21 marzo 2016
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