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Il caso Bologna. Se gli Ordini ragionano con le leggi del ‘46

Stupisce il documento della Fnomceo nella parte in cui difende un metodo rivendicando l’autonomia di legge sancita nello scorso secolo! Il procedimento disciplinare ordinistico, così come è strutturato oggi, non è conforme non solo alla Costituzione repubblicana ma neanche alle minime esigenze di una reale giustizia disciplinare

09 MAR - Avevo già avuto modo di intervenire sulla vicenda dei procedimenti disciplinari contro alcuni medici del 118 di Bologna da parte del locale ordine dei medici. Alla luce degli sviluppi di queste settimane si impone una riflessione più matura.
 
La giustizia disciplinare, ancorché non amministrata da professionisti del diritto, è considerata nel nostro ordinamento giustizia. Come tutte le giustizie degli ordinamenti particolari – come ad esempio quella sportiva – è spesso opinabile proprio nei metodi e nelle procedure.
Oggi sappiamo che alcuni medici sono stati sospesi e, al momento, non si conoscono ancora le motivazioni.
 
Sappiamo però che vi è stata una presa di posizione del Consiglio nazionale della Fnomceo sulla vicenda.  Stupisce il documento della Federazione nella parte in cui difende un metodo rivendicando l’autonomia di legge sancita nello scorso secolo da un decreto legislativo CPS (Capo provvisorio dello Stato) del 1946, nell’interregno tra repubblica e monarchia! Il procedimento disciplinare ordinistico, così come è strutturato oggi, non è conforme non solo alla Costituzione repubblicana ma neanche alle minime esigenze di una reale giustizia disciplinare.
 
Si potrebbe replicare che la legge non la stabiliscono gli ordini ma il legislatore e che si applicano le norme vigenti. Questo è comunque un argomento di basso profilo perché è comunque compito del mondo ordinistico adeguarsi al mutato contesto e dare ai loro procedimenti una visione storico-evolutiva. I procedimenti disciplinari non sono rinchiusi totalmente nella vetusta normativa prerepubblicana. Devono comunque, in una visione “costituzionalmente orientata” (formula cara alla cassazione civile), avere i minimi requisiti di pubblicità, di obbligo di motivazione, di terzietà e di perseguimento degli interessi di giustizia, senza trascendere in altre finalità, che sono proprio di ogni procedimento che in un qualche modo abbia a che fare con la giustizia.
 
Ogni attività di giustizia è soggetta a criteri di chiarezza, trasparenza e accessibilità agli atti. In un paese democratico i procedimenti punitivi in generale sono soggetti ai criteri sopra detti per consentire il controllo coram populo. Si possono criticare, analizzare, commentare anche aspramente. E’ la normale dialettica.
 
Dei procedimenti disciplinari ordinistici non esistono massimari, commentari, raccolte. Le decisioni non vengono pubblicate, commentate analizzate. Delle decisioni di sospensione dei medici bolognesi, rei di avere contributo a stilare dei protocolli all’interno di una importante azienda del servizio sanitario regionale, non è stato reso noto niente. Tutto rimane chiuso, impenetrabile, non conoscibile. Questa è la concezione di ente pubblico che hanno gli ordini dei medici? Questa è la concezione di enti regolatori di una professione importante e fondamentale come quella medica?
 
Quando la giustizia disciplinare viene amministrata, come nel caso del 118 di Bologna, essa diventa altro: diventa un modo di regolare i conti, diventa giustizia di casta, diventa giustizia politica. Non a caso un acuto commentatore come Ivan Cavicchi lo ha subito sottolineato.
 
L’ordine dei medici di Bologna abusa di un potere conferitogli dall’ordinamento giuridico per finalità completamente diverse. Non soltanto ha promosso procedimenti disciplinari contro dei medici colpevoli di nulla, non ha soltanto emesso una sanzione senza alcuna motivazione conoscibile, non ha soltanto messo in difficoltà il Servizio sanitario regionale ma ha in realtà fatto di più: ha utilizzato, da ente pubblico, un potere conferitogli istituzionalmente a fini di lotta politica interna ed esterna.
 
L’opacità delle decisioni, la non trasparenza, la difficoltà di accesso, la chiusura alle innovazioni sono diventati la cifra stilistica dell’agire dell’ordine bolognese, il quale ben lungi dal provare a mettersi in regola con le norme di ogni consesso civile rilancia e tenta di passare all’incasso l’improvvido sostegno che gli è arrivato dal Consiglio nazionale rivendicando un’autonomia che – quanto meno il suo ordine – dimostra di non meritare.
 
Quello che stupisce non sono le schegge impazzite che sono presenti inevitabilmente in ogni grande organo di rappresentanza. Stupisce invece la mancanza di anticorpi che il sistema stesso ha dimostrato. Ad oggi registriamo l’appoggio della Fnomceo e il silenzio assordante del ministero che in questi anni ha dimostrato tutto la sua incapacità di governo sulle problematiche dei rapporti con le professioni.
 
Il sistema dimostra di avere seri problemi. Deve essere messa mano alla riforma ordinistica che non sia un mero restyling. Diventa imprescindibile, all’interno della riforma:
a) garantire un sistema elettorale che tuteli le minoranze;
b) organi di controllo scollegati dalla maggioranza;
c) procedimenti disciplinari integrati con rappresentanti delle associazioni dei cittadini e terzo rispetto al Consiglio direttivo.
 
Fuori da queste minime garanzie è forse utile valutare la soppressione del potere disciplinare agli ordini lasciandogli soltanto la ratifica delle decisioni dell’autorità giudiziaria.
Questo insegna la vicende dei procedimenti dell’ordine dei medici di Bologna.
 
Luca Benci
Giurista

09 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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