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Il Consiglio dei diritti umani ONU a favore dei minori intersessuali, l’impegno in Italia di Amigay APS


Nel 2019 è stata varata in Germania una risoluzione per garantire il terzo sesso anagrafico ai neonati intersessuali, sulla scia della risoluzione del Parlamento europeo del 14 febbraio 2019, che condanna fermamente i trattamenti e la chirurgia di normalizzazione sessuale durante l’infanzia. Già a Malta è vietato per legge intervenire chirurgicamente sui bambini intersessuali. La dichiarazione congiunta dei Paesi dell’ONU è un altro passo avanti importante

23 NOV - Un importante risultato per i diritti delle persone intersessuali: a ottobre 2020 c’è stata la prima dichiarazione congiunta di 33 Paesi al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a sostegno dell’iniziativa dell’Austria affinché vengano indagate e combattute le violazioni dei diritti umani e gli abusi nei loro confronti.
 
Spiega Manlio Converti, psichiatra a Napoli e presidente Amigay APS (Associazione Medici e Personale Sanitario Lgbt e Gayfriendly): “Sono definite ‘intersessuali’ persone che non rientrano nel binarismo maschile/femminile, per la presenza di elementi dell’uno e dell’altro genere nei vari aspetti che definiscono il sesso: genetico/cromosomico, anatomico/morfologico, fisiologico/ormonale. Alcuni casi vengono diagnosticati alla nascita per la presenza di genitali ambigui o atipici, altri si manifestano alla pubertà per un mancato sviluppo puberale o anomalie dello stesso. Le anomalie genetiche, genitali, somatiche, ormonali possono essere variamente intrecciate, anche in rapporto alla causa che le sottende, dando luogo alla varietà estremamente eterogenea di quadri compresi nella definizione di ‘Disordini dello Sviluppo Sessuale’ (‘Disorders of Sex Development’, DSD)”.
 
Condizioni rare, ma nel complesso non eccezionali, come chiarisce Carlo Alfaro, pediatra della provincia di Napoli, socio Amigay: “Dato l’ampio ventaglio di casi che possono rientrare nella definizione, è difficile stabilire la prevalenza della condizione, riportata nei vari studi dallo 0,02% all’1,7% della popolazione. Si parla di 30 milioni di persone nel mondo o 1 caso ogni 100 nascite”.
 
Il termine intersessualità è un “ombrello” in cui rientrano molte tipologie di condizioni, come approfondisce ancora Alfaro: “Un capitolo è rappresentato dalle ‘Disgenesie gonadiche’, condizioni caratterizzate da anomalie di sviluppo delle gonadi: ad esempio un soggetto può avere l’assetto cromosomico maschile XY ma non sviluppandosi i testicoli non produce testosterone a sufficienza per lo sviluppo dei genitali e dei caratteri sessuali secondari in senso maschile. Nelle disgenesie gonadiche rientra anche il raro ‘ermafroditismo vero’, in cui è presente sia tessuto testicolare che ovarico in una stessa gonade (‘ovotestis’). E’ una forma di disgenesia gonadica anche la ‘sindrome di Klinefelter’: individui maschi con un cromosoma X soprannumerario (cariotipo 46,XXY), in cui l’insufficiente sviluppo dei testicoli comporta possibile aspetto androgino. Altro capitolo sono gli ‘Pseudoermafroditismi’, in cui il sesso genetico e quello fenotipico sono discordanti. Nello ‘Pseudoermafroditismo maschile’ gli individui sono geneticamente di sesso maschile, ma causa una scarsa produzione di testosterone (es, ‘Deficit congenito di 5-alfa-reduttasi’) o insufficiente risposta dei tessuti alla sua azione (es. la ‘Sindrome da insensibilità agli androgeni’ o Sindrome di Morris o femminilizzazione testicolare) si sviluppano in senso femminile. Invece lo ‘Pseudo-ermafroditismo femminile’ è legato alla produzione di androgeni virilizzanti da parte del surrene in individui geneticamente femminili, per un errore congenito del metabolismo (Iperplasia congenita del surrene, di solito da deficit di 21-idrossilasi)”.
 
Avere un figlio intersessuale ha ovviamente un impatto pesantissimo per la famiglia e richiede una gestione complessa, aspetto su cui interviene ancora il pediatra: “La maggior comprensione della fisiopatologia delle forme di intersessualità e l’attenzione crescente agli aspetti emotivi che dietro ogni caso clinico celano una storia di vita con le sue profonde sofferenze e vivaci aspettative, hanno modificato le linee guida per il trattamento dei soggetti in età evolutiva con Disorders of Sex Development, mettendo al primo posto il rispetto per la loro particolare situazione anatomo-funzionale, che non va medicalizzata se non crea problemi di salute, e la sincerità nel rivelare loro la propria condizione (di cui vanno messi al corrente in modi appropriati per l’età), il contrasto a sentimenti di vergogna e auto-svalutazione, il monitoraggio di attitudini, inclinazioni e preferenze, affinché possano essere educati a prendere autonomamente decisioni su se stessi”.
 
“Il percorso diagnostico e terapeutico in un minore intersessuale deve prevedere un approccio multidisciplinare e olistico mirato, oltre che all’identificazione della condizione medica di base, alla definizione dell’identità di genere per sostenerne l’auto-determinazione. L’intersessualità - sottolinea Coverti - non definisce di per sé nè un’identità di genere né un orientamento sessuale, che sono indipendenti dal sesso genetico o fenotipico. Le associazioni dei pazienti si battono perché non venga considerata nemmeno una malattia, se non compromette la salute del soggetto, ma solo una variante biologica. L’unica metanalisi disponibile in letteratura sulla condizione di salute delle persone intersessuali, condotta in Europa su 1040 soggetti, rivela che una loro varia distribuzione, quanto alla personale identificazione, nei due generi e anche in un ‘terzo’, con la sofferenza, per alcuni, di essere stati attribuiti al sesso sbagliato alla nascita rispetto al proprio sentire, o di non aver rispettato la scelta, per una minoranza dei casi, di una completa neutralità”.
 
Da ciò nasce la battaglia delle associazioni di intersessuali per l’autodeterminazione, contro la prassi di sottoporre individui appena nati che presentano anomalie genitali a operazioni chirurgiche e cure ormonali per omologarle a uno dei due sessi, con conseguenze permanenti e irreversibili prima che sia possibile evidenziare la loro reale identità. Chiarisce Converti: “Come Amigay, sosteniamo con forza che tutte le trasformazioni chirurgiche che subiscono questi neonati per aderire al sesso M o F rappresentino delle vere e proprie mutilazioni genitali ingiustificabili. Tali procedure, spesso irreversibili, possono causare nel soggetto infertilità permanente, dolore, incontinenza, perdita di sensibilità, minaccia alla propria dignità, identità e integrità di persona. Nel 2019 è stata varata in Germania una risoluzione per garantire il terzo sesso anagrafico ai neonati intersessuali, sulla scia della risoluzione del Parlamento europeo del 14 febbraio 2019, che condanna fermamente i trattamenti e la chirurgia di normalizzazione sessuale durante l’infanzia. Già a Malta è vietato per legge intervenire chirurgicamente sui bambini intersessuali. La dichiarazione congiunta dei Paesi dell’ONU è un altro passo avanti importante”.
 
Ogni 26 ottobre, ricorre l’Intersex Awareness Day, “Giornata mondiale della visibilità intersessuale”, per rivendicare i diritti umani delle persone intersessuali, la “i” della sigla Lgbti. “A tutela di questi cittadini - conclude Converti- Amigay chiede: l’inserimento nei corsi di accompagnamento alla nascita della nozione dell’esistenza di neonati intersessuali; l’introduzione nell’Anagrafe Sanitaria o generale del Codice MFT (T: Tertium Datur); l’esplicito divieto da parte di SSN, Società Scientifiche di Neonatologia, Pediatria e Ginecologia, Fnomceo, di intervento sui genitali dei minori intersessuali a meno di giustificate motivazioni esiziali; l’integrazione dei minori intersessuali in protocolli multidisciplinari di follow-up nel tempo; la realizzazione di equipe pluri-disciplinari (pediatri, endocrinologi, chirurghi, urologi, andrologi, ginecologi, psichiatri, psicologi), almeno uno in ogni capoluogo, con esperienza sul benessere fisico e psicologico dei minori intersex; l’inserimento nei Livelli Essenziali di Assistenza regionali della gratuità di ogni percorso diagnostico, preventivo, terapeutico, incluso il sostegno psicologico, per questi minori e le famiglie; l’adeguata formazione sul tema del personale sanitario e scolastico. Auspichiamo la creazione di Piani Terapeutici Regionali Integrati (PTRI) che consentano una corretta e precoce presa in carico dei neonati intersex, prevedendo la sottoscrizione di un accordo/impegno di trattamento tra gli specialisti e i genitori, finché il minore avrà la capacità di scegliere la propria identità (generalmente intorno ai 5-8 anni), con il possibile coinvolgimento della rete sociale”.
 

 

23 novembre 2020
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