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Stragi di Parigi. Ecco come la Francia ha reagito all’emergenza sanitaria

di Maria Rita Montebelli

In occasione degli attentati del 13 novembre avvenuti in contemporanea in varie zone di Parigi, la Francia ha sfoderato un’organizzazione per le emergenze davvero impressionante. Da almeno due anni e soprattutto dopo la strage di ‘Charlie Hebdo’ sono stati disegnati vari protocolli d’emergenza, fino al cosiddetto ‘Piano Bianco’ che prevede 22 mila posti letto, 200 sale operatorie e 100.000 professionisti sanitari. Ecco cosa è successo e le testimonianze dei protagonisti

26 NOV - Era un venerdì 13 qualsiasi, il cui evento clou era stato, fino a quel momento, l’amichevole di calcio Francia-Germania, da poco iniziata. Ma alle 21,30 i telefoni dell’Assistance Publique-Hopitaux de Paris (APHP) cominciano a squillare all’impazzata. Allo Stade de France, sono state udite delle esplosioni e potrebbero dunque esserci dei feriti.
 
Ed è ancora nulla rispetto a quello che la furia omicida di una manciata di terroristi aveva in serbo per quel venerdì sera d’autunno a Parigi. Nell’arco dei successivi 20 minuti, la capitale francese sarebbe stata insanguinata da sparatorie in 4 punti diversi della città e da 3 esplosioni. Anche se il massacro, quello più brutale, si sarebbe consumato solo dopo le 21,40 al Bataclan, un teatro dalla bizzarra architettura orientaleggiante, dove era in cartellone un concerto heavy metal.
 
 Fin qui la cronaca di quel maledetto venerdì, nota a tutti dalle pagine dei giornali e dai servizi televisivi. Ma un reportage pubblicato su Lancet ci conduce per mano nel dietro le quinte della complessa macchina organizzativa messa in moto per fronteggiare questa sconvolgente esperienza e racconta questi fatti, visti attraverso gli occhi dell’anestesista, del medico e del chirurgo d’emergenza.
 
Ne emerge una macchina per le emergenze molto ben oliata. All’arrivo delle richieste di soccorso, sono stati mobilizzati immediatamente i servizi medici d’emergenza (service d'aide médicale d'urgence, SAMU) e aperta l’unità di crisi dell’APHP, in grado di coordinare il lavoro di ben 40 ospedali. Quest’unità di crisi è la più grande d’Europa, comprende 100.000 professionisti sanitari, ha una capacità di 22 mila posti letto e di 200 sale operatorie.
 
Ore 22,34.  Appena i responsabili del coordinamento dell’emergenza capiscono che la capitale è sotto il fuoco di attacchi multipli e che la situazione potrebbe presto sfuggire di mano, il Direttore Generale dell’APHP prende una decisione pesante, quella di attivare il ‘Piano Bianco’ che implica la mobilitazione di tutti gli ospedali, richiamare in servizio lo staff sanitario e mettere a disposizione ancora più letti per gestire il prevedibile arrivo di un vasto numero di feriti. Il Piano Bianco è stato messo a punto vent’anni fa ma questa è la prima volta che lo si è messo alla prova.
 
Metterlo in moto configura una grande responsabilità, ma il tergiversare potrebbe renderlo completamente inutile. A posteriori si può dire che il Direttore dell’APHP ha fatto la cosa giusta, visto che in nessuno momento di questa grave emergenza ci si è trovati a corto di personale. Ma in quei momenti non deve essere stato facile assumersi una tale responsabilità.
E non solo. Con l’inizio dell’arrivo dei feriti dal Bataclan sono stati allertati altri due ‘serbatoi’ di letti, presso altri ospedali dell’area, oltre a ospedali universitari fuori Parigi, dove se necessario, dieci elicotteri erano pronti a trasportare i feriti che non avessero trovato posto negli ospedali della capitale.
 
In mezzo a tutto questo, non è stato trascurato neppure il risvolto psicologico di tanto orrore. E’ stato immediatamente organizzato presso l’ospedale Hôtel Dieu, un centro di supporto psicologico con 35 psichiatri, psicologi, infermieri e volontari, molti dei quali erano già intervenuti in occasione dell’attentato a Charlie Hebdo.
 
Questa la testimonianza fornita a Lancet dai professionisti che hanno prestato servizio quella sera.
 
Il medico emergentista. Il SAMU si è occupato del triage e dell’assistenza pre-ospedaliera. A distanza di minuti dall’attentato suicida allo Stade de France, l’unità di crisi del SAMU parigino ha cominciato ad inviare personale medico da tutte le otto sedi della regione di Parigi e dai vigili del fuoco, oltre a personale della protezione civile e poliziotti. Il team di crisi era composto da 15 addetti per rispondere al telefono e 5 medici. Il loro obiettivo era organizzare il triage e inviare unità mobili composte da un medico, un infermiere e un autista per trasportare i feriti verso l’ospedale più adatto.
 
Il Piano Bianco e l’ORSAN (organisation de la réponse du système de santé en situations sanitaires exceptionnelles) hanno previsto invece l’invio di 45 equipe mediche dal SAMU e dai vigili del fuoco, che sono stati dislocati tra i diversi siti interessati dagli attentati. 15 di queste unità sono state tenute in stand by, “perché nessuno poteva prevedere in quel momento, quando sarebbe finito quell’incubo”, ricorda un medico. Questo tipo di approccio evita di giocarsi tutte le carte sul primo sito interessato da un’emergenza, lasciando magari scoperti successivi focolai di crisi.
 
In questo modo sono stati trasportati in ospedale 256 feriti, prelevati dai luoghi degli attentati, mentre molte altre persone giungevano nei pronto soccorsi della capitale con mezzi propri. In mezzo a tutto ciò sono stati trattati anche 3 infarti del miocardio.
 
Nel cuore della notte, 35 équipe chirurgiche hanno praticato no stop interventi d’emergenza sui feriti più gravi.
Il tipo di ferita più comune quella notte è risultata quella da arma da fuoco; a livello preospedaliero dunque si è provveduto a contenere i danni per consentire la più rapida emostasi chirurgica possibile. In una vera e propria declinazione della medicina di guerra sui civili.
 
In ogni caso – scrivono gli autori del reportage su Lancet – va messo in conto che 4 pazienti su 5 di quelli colpiti alla testa o al torace sono destinati a morire. Tra quanti non sono stati raggiunti da pallottole mortali, il controllo dei danni consiste nel mantenere una pressione arteriosa media intorno a 60 mmHg utilizzando qualunque mezzo (tourniquet, vasocostrittori, acido tranexamico) e nell’evitare un abbassamento della temperatura, nonostante l’infusione di liquidi. Gli autori ricordano che sono serviti talmente tanti tourniquet che le squadre di soccorso tornavano indietro senza più le cinture.
 
Dopo il trattamento iniziale, i feriti sono stati trasportati dalle Mobile Intensive Care Unit (MICU) presso i trauma center o negli ospedali contigui. L’Ospedale Saint Louis dista pochi metri da Le Petit Cambodge  e Le Carillon, due dei ristoranti interessati dagli attentati. Molti dei feriti sono stati immediatamente trasportati lì, altri si sono recati da soli all’Ospedale Saint Antoine, sempre nelle vicinanze. Per evitare di intasare i dipartimenti d’emergenza, i triage sono stati effettuati anche all’ingresso degli ospedali.
 
Da almeno due anni Parigi si stava attrezzando per fronteggiare evenienze simili; i team di soccorso preospedaliero del SAMU e i vigili del fuoco hanno messo a punto dei protocolli di trattamento per vittime di ferite d’arma da fuoco e sono state effettuate anche simulazioni sul campo. I medici del SAMU non sono solo esperti nella stratificazione del rischio e nell’invio rapido dei pazienti presso gli ospedali più adeguati ma anche nel trattamento d’emergenza sul campo.
Per ironia della sorte, la mattina del 13 novembre, il SAMU e i vigili del fuoco hanno effettuato una esercitazione, che simulava l’organizzazione di squadre d’emergenza nell’eventualità di sparatorie multiple a Parigi.  Poche ore dopo, quegli stessi medici si sarebbero trovati a vivere questa situazione nella realtà e qualcuno di loro ha inizialmente pensato che si trattasse dell’ennesima esercitazione.
 
La testimonianza dell’anestesista. L’Ospedale Pitié-Salpêtrière, in pieno centro di Parigi è uno dei trauma center di livello uno, coinvolto nei soccorsi alle vittime degli attentati del 13 novembre. Il Piano Bianco ha reso possibile l’apertura contemporanea di 10 sale operatorie (dalle 2 aperte di routine) per trattare così un maggior numero di pazienti.
 
“Il numero dei pazienti che arrivavano – ricorda un anestesista - era molto più alto di quanto non potessimo immaginare di riuscire a gestire allo stesso tempo. Eppure le risorse a disposizione non hanno mai scarseggiato”. Il principale punto di forza è stato che i pazienti feriti sono arrivati molto rapidamente (in piccoli gruppi di 4-5) grazie al lavoro fatto per mesi con i servizi medici del dipartimento anti-terrorismo della polizia nazionale francese (RAID), con i team di emergenza preospedaliera e dei trauma team ospedalieri, allo scopo di garantire un fast track ai traumi penetranti, in caso di attacco terroristico.
 
Ormai – prosegue l’anestesista – ferite da armi da fuoco, addirittura da armi da guerra, non rappresentato più una rarità nelle nostre città. Per questo noi anestesisti, insieme ai chirurghi siamo stati addestrati a trattare questi casi. Appena scattato l’allarme, le unità di terapia intensiva post-chirurgica sono state tutte liberate e i reparti di medicina hanno messo a disposizione numerosi letti. Questo ha consentito di liberare rapidamente le shock trauma room per accogliere nuovi pazienti, dopo gli interventi d’urgenza, secondo il concetto della cosiddetta ‘one-way progression’.
 
Ogni paziente in codice rosso è stato assistito da un trauma team dedicato che decideva se fare una TAC/esami radiologici prima di inviare rapidamente il paziente in sala operatoria. Elemento chiave per il successo di tutte le operazioni è stata l’eccellente cooperazione di tutti i care-giver, sotto la supervisione di due trauma leader . Nell’arco di appena 24 ore erano stati effettuati tutti gli interventi chirurgici di urgenza assoluta o relativa.
 
Il punto di vista del chirurgo. La formula vincente dei soccorsi di quella notte – secondo il chirurgo intervistato da Lancet – è stata la professionalità di tutti ma anche e soprattutto la spontaneità e generosità che ha portato a lavorare tutti al di sopra delle forze. Questo ha consentito ad esempio, presso l’Ospedale Lariboisière di aprire due sale operatorie per la chirurgia ortopedica, una per la neurochirurgia, una per interventi di pertinenza otorinolaringoiatrica e due per la chirurgia addominale. Iltriage è stato effettuato dai medici più esperti nelle singole specialità. I chirurghi sono andati avanti ad operare per tutta la notte. La mattina del sabato, gli ortopedici sono stati spontaneamente aiutati da altri dueteam. Il lunedì successivo, andando a rivedere tutto il lavoro svolto nel fine settimana in questo ospedale, i medici si sono accorti che tutti gli interventi erano stati fatti su pazienti di meno di 40 anni, tranne in un caso. Arti devastati dalla furia delle pallottole, perdita estesa di osso, danni ai nervi delle braccia e delle gambe. Dove possibile tutto è stato riparato, anche se in molti casi la gravità delle lesioni ha fatto porre indicazione  a ricostruzioni successive.
 
“La professionalità – scrive il chirurgo – ha preso il sopravvento su tutto. Spesso la sala operatoria è descritta come un posto difficile, nel quale il fattore umano diventa cruciale. Eppure durante questo ‘stress test’ qualunque difficoltà è svanita e tutti hanno lavorato in maniera fluida e armoniosa. L’obiettivo comune era evidente e nessuno ha tentato di prevaricare gli altri. La solidarietà regnava dentro e fuori dall’ospedale, con i trasferimenti da un ospedale all’altro fatti senza nessuna difficoltà”.
 
Maria Rita Montebelli

26 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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