Prevenzione in farmacia: i risultati sono tangibili
Uno studio canadese, che prevedeva la collaborazione delle farmacie di comunità, ha dimostrato che screening di prima istanza associato a programmi di educazione sanitaria riducono effettivamente il peso delle malattie cardiovascolari.
10 FEB - Parlare di risparmi indotti dalla prevenzione – difficile negarlo – suscita sempre un consenso di facciata e uno scetticismo di fondo. Anche a dispetto dei molti studi condotti sul tema, come quello ora pubblicato dal
British Medical Journal che, oltretutto, presenta diversi motivi di interesse per il lettore italiano (
Improving cardiovascular health at population level: 39 community cluster randomised trial of Cardiovascular Health Awareness Program BMJ 2011; 2011; 342:d442). In primo luogo è stato condotto in Canada, Paese il cui servizio sanitario è di tipo universalistico, come quelli europei, e che presenta istituti, come il medico di famiglia e il servizio farmaceutico, sovrapponibili a quelli italiani. Inoltre, i farmacisti e le farmacie di comunità vi hanno giocato un ruolo importante.
Lo studio si proponeva di valutare l’effetto di un programma di educazione sanitaria sui temi della salute cardiovascolare condotto a livello di popolazione. L’intervento prevedeva di raccogliere, in 39 comunità di media dimensione, un gruppo di residenti di età superiore ai 65 anni; 20 di questi gruppi sono stati avviati al programma, gli altri 19 no (gruppo di controllo).
Il programma prevedeva la raccolta di misurazioni della pressione arteriosa mediante apparecchi automatici e dei fattori di rischio cardiovascolari così come riferiti dai partecipanti; questi dati sono poi stati comunicati ai medici di famiglia e ai farmacisti di riferimento. Una volta stabilito il profilo di rischio, i partecipanti hanno seguito nell’arco di 10 settimane una serie di “lezioni” mirate ai fattori di rischio modificabili attraverso lo stile di vita, all’adesione alla terapia e agli altri aspetti in cui il paziente può incidere nella prevenzione della malattia o della ricaduta.
Il ruolo dei farmacisti
Farmacisti e farmacie sono stati al centro di questo programma, e per diversi aspetti. Il primo è che il reclutamento delle persone cui l’intervento era rivolto è avvenuto principalmente attraverso le farmacie che, oltretutto, sono state la sede delle sessioni educative. Inoltre, il farmacista era il riferimento per tutte le questioni attinenti al farmaco che potevano essere sollevate durante gli incontri, cui partecipava assieme a un’infermiera professionale. I numeri hanno dato ragione a questa scelta: in totale sono stati coinvolti poco meno di 16000 cittadini, e sono state condotte oltre 27.000 valutazioni del rischio cardiovascolare. Anche i risultati del programma sono molto positivi: nell’anno successivo alla fine dell’intervento nella popolazione over 65 delle comunità in cui si era svolto si è osservata una diminuzione del 9%, rispetto all’anno precedente, dei ricoveri per infarto, insufficienza cardiaca e ictus. Inoltre, si è avuto un aumento delle nuove prescrizioni di antipertensivi, segno che il programma non ha soltanto migliorato l’aderenza al trattamento di chi era già in cura, ma è servito anche a intercettare ipertesi mai diagnosticati prima.
Gli autori dello studio tengono a sottolineare che la riuscita del programma si deve anche alla grande disponibilità dei professionisti chiamati in causa, e in effetti i farmacisti hanno dato un’adesione molto alta: hanno dato la disponibilità 129 farmacie su 145 interpellate (89%), un dato superiore a quello dei medici di famiglia, che hanno aderito al 63%. Certamente lo studio ha dei limiti nella sua trasferibilità ad altri contesti, per esempio quello di aver fatto anche uso di volontari addestrati per raccogliere i dati, ma ha anche punti di forza, come il fatto di aver coinvolto le piccole comunità, che sono lo scenario prevalente in paesi come l’Italia. Soprattutto, però, dimostra che le campagne rivolte alla popolazione, se escono dall’episodicità delle varie “giornate” dedicate a questa o quella malattia, possono effettivamente modificare gli indicatori di salute.
Maurizio Imperiali
10 febbraio 2011
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