Costi standard tra utopia e rivoluzione. Un convegno di "Sos Sanità"
Tecnici regionali, del ministero della Salute e dell'Agenas riuniti dal Comitato nato nel 2009 si confrontano senza rete sulle prospettive e i rischi dell'introduzione dei costi standard sanitari. Pareri discordanti che lasciano molti dubbi sulla loro effettiva applicazione.
23 NOV - Un incontro seminariale, per discutere tra specialisti dei problemi posti dallo schema di decreto legislativo dedicato alla fiscalità regionale e ai costi standard in sanità, attualmente in attesa di essere calendarizzato dalla Conferenza Stato Regioni, dopo aver raccolto molte richieste di emendamenti da parte delle Regioni.
L’incontro, organizzato a Roma dal
Comitato Sos Sanità, nato nel 2009 per iniziativa di Nerina Dirindin, Aldo Ancona, Stefano Cecconi e Franco Pesaresi, è stato introdotto da
Stefano Cecconi, responsabile Welfare della Cgil, che ha ricostruito l’iter percorso finora dal provvedimento e ha posto in evidenza i problemi rimasti a suo parere aperti, in particolare la definizione di Lea e Lep e la definizione di quel “patto di convergenza”, previsto nella legge 42/99 istitutiva del federalismo fiscale, e finalizzato a definire azioni positive per superare le differenze esistenti tra le realtà regionali.
Due le criticità messe in evidenza da
Aldo Ancona, dirigente della Regione Toscana con incarico specifico proprio sui problemi del federalismo fiscale. La prima riguarda la modalità di costruzione e erogazione del fondo perequativo: “Nella legge 42 si parlava di perequazione verticale – ha ricordato Ancona – mentre nel decreto si costruisce un sistema che dirà in modo esplicito che ci sono regioni che danno e regioni che prendono. E questo pone problemi di tenuta politica. Come potranno le Regioni più ricche chiedere ai propri cittadini Irap e Irpef e dare poi parte di questi soldi nel fondo perequativo?”. Il secondo problema irrisolto, e che dunque secondo Ancona alimenta la conflittualità tra Regioni, è quello dei parametri di pesatura, che non tiene conto del cosiddetto indice di deprivazione, che pure è stato indicato come correttivo necessario in molti studi,ultimo dei quali, in ordine di tempo,quello elaborato da Agenas per conto della Conferenza dei presidenti delle Regioni. E la mancata soluzione di questo nodo, ha sottolineato il dirigente toscano, è ancora più grave ora, visto che nel decreto si prevede una gestione federalista anche di altre materie, a cominciare dalla scuola.
“Definire il costo standard in sanità è utopico”. Questa la posizione di
Cesare Cislaghi, docente di economia sanitaria e dirigente dell’Agenas per la quale ha curato la ricerca sui criteri di riparto. Cislaghi rileva come il decreto messo a punto dal Governo sia stato affrettato per ragioni politiche e proprio per questo si presta a tre diverse interpretazioni sulle modalità di calcolo dei costi standard: la prima è pleonastica, cioè di fatto lascia le cose invariate; la seconda potrebbe portare a piccoli spostamenti nella ripartizione dei fondi nelle macroaree (ospedaliera, territoriale e prevenzione); mentre la terza creerebbe un sistema bottom-up, ovvero dal basso verso l’alto, nel quale le regioni benchmark determinano il fabbisogno. Ma quest’ultima interpretazione sarebbe in contraddizione con quello che si dice in altra partedel decreto, ovvero chela determinazione delle risorse per la sanità è definita dal decisore politico, e quindi è un “a priori”.
Filippo Palumbo, dirigente del ministero della Salute di lunga esperienza, offre una lettura del decreto particolare, sottolineando che l’attuale formulazione contiene una serie di elementi rispetto ai quali “la scelta non era scontata” all’inizio della discussione tra i rappresentanti del Governo. Così, elenca Palumbo, il decreto “non è occasione di perequazione né di sperequazione”; “non modifica le ripartizioni, ma migliora indirettamente il riparto” costringendo le Regioni ad un’analisi più stringente della propria situazione e dunque a formulare richieste più motivate; è “occasione formidabile di responsabilizzazione delle Regioni”; “immette nel Dna del federalismo le operazioni di verifica”; costruisce una “maggiore complessità nell’individuazione delle regioni benchmark” con criteri non solo economicisti.
Pur riconoscendo la natura di compromesso del decreto, proposta nella lettura di Palumbo,
Nerina Dirindin ne ha messo in luce le carenze e i rischi, a cominciare dalla mancata definizione di Lea e Lep.”La gran parte del decreto è uno slogan – ha detto Dirindin – e usa parole che sembrano evocare maggiore efficienza” senza in realtà produrre concreti indirizzi. D’altre parte, sintetizza Dirindin, le esigenze in campo propongono una contraddizione irrisolvibile: il Governo centrale vuole risparmiare, le Regioni del Nord vogliono “tenersi” più risorse e quelle del Sud vogliono più risorse per migliorare i sistemi. Senza un governo centrale forte e autorevole, conclude l’economista, questa contraddizione irrisolvibile.
Molti dei partecipanti al seminario, si erano già incontrati venerdì scorso ad Alessandria, per l’ VIII Convegno nazionale di Diritto sanitario, dedicato al tema “La sanità italiana alla prova del federalismo fiscale”. Animatore della giornata di studio, che ha visto riuniti esperti di diritto e di organizzazione sanitario è stato
Renato Balduzzi, presidente dell’Agenas e docente di diritto costituzionale nell’Università del Piemonte Orientale.
Il convegno ha ricostruito il percorso del federalismo fiscale nella nostra legislazione, esaminandone temi e criticità. Il termine “federalismo”, infatti, ha fatto il proprio ingresso nella legislazione italiana undici anni fa con il decreto legislativo n. 229 del 1999, comunemente noto in sanità come “riforma ter”, il cui articolo 19-ter era rubricato proprio “federalismo sanitario”. Da allora l’espressione “federalismo”, variamente aggettivata, si è imposta nel dibattito pubblico e nelle agende di governo, fino alla promulgazione della legge delega n. 42 del 2009 nella quale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione successivo alla riforma del Titolo V, si introduce la formula “federalismo fiscale”.
Dunque, riflettere il comparto sanitario si trova ad avere un ruolo “anticipatore” nel percorso di attuazione della legge 42, avendo creato per primo, nel nostro ordinamento, un modello di organizzazione e gestione di servizi pubblici nel quale molti intravedono i tratti fondamentali del cosiddetto federalismo fiscale. E proprio gli insegnamenti da trarre da questa esperienza sono stati oggetto della riflessione dei partecipanti all’incontro di Alessandria.
23 novembre 2010
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