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Psoriasi. Il 58% dei pazienti si vergogna della malattia e il 43% soffre di depressione


Sono inoltre troppe le disomogeneità regionali nell’accesso alle cure: solo il 32% dei pazienti si rivolge subito al centro di riferimento regionale. Questi i risultati dell’indagine dell’Associazione per la difesa degli psoriasici. Serve più attenzione delle Istituzioni alla  malattia dal forte impatto emotivo

24 OTT - A sottovalutarla per primo è lo stesso malato (46%), che inizialmente cerca di curarsi da solo (25%) anche perché non sa a chi rivolgersi (oltre il 20%).  A seguire la sottovaluta il medico di famiglia, che pur diagnosticandola correttamente (nel 48% dei casi, il 20% sbaglia) non invia il paziente a un centro di riferimento (solo il 15% lo fa), ma si limita a prescrivere una visita da un dermatologo (16%), allungando tempi e costi, per il paziente e per il Sistema sanitario. Presa coscienza del problema, comunque solo il 32% dei pazienti si rivolge subito al centro di riferimento regionale. Infine la sottovalutano le Istituzioni, nazionali e regionali, e quindi la società. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Almeno di coloro che devono vivere la quotidianità della psoriasi: non solo un aumento dei costi di gestione della malattia (per il 50% dei malati), ma soprattutto un peggioramento della qualità di vita (66%), ansia e depressione (43%), vergogna (58%), disturbi del sonno (20%), limitazioni nelle attività all’aria aperta (30%), come il nuoto in piscina o una banale attività in palestra, e soprattutto conseguenze nella attività lavorativa (27%), dove il 40% dei pazienti perde un mese ogni anno. Tutte condizioni che possono anche causare disturbi mentali di rilievo.
 
A scattare la fotografia della psoriasi è la prima indagine sul percorso assistenziale svolta dall’Associazione per la difesa degli psoriasici su oltre 1500 pazienti e presentata oggi a Roma.
 
Uno studio che indica come sia difficile il percorso di accettazione della patologia. I più recenti studi internazionali hanno, infatti, attestato che in più del 60% dei malati gravi, con una prevalenza di donne, la psoriasi è causa di ansia e stati depressivi anche importanti, tanto da manifestare nel 10% dei casi idee suicide. Al momento in Italia non risultano casi di suicidio, certo è che siamo di fronte a situazioni pericolose causate dalla discriminazione e dalla stigmatizzazione sociale cui i malati sono sottoposti, come accade per coloro che la pelle l’hanno solo di un colore diverso.
 
 
“Abbattere il muro della discriminazione e della stigmatizzazione sociale a cui si è sottoposti a causa della malattia – dichiara Mara Maccarone, Presidente dell’Associazione per la Difesa degli Psoriasici (A.D.I. PSO.) – è proprio il principale obiettivo della nostra Associazione. Occorre portare a conoscenza di tutti che la psoriasi può essere adeguatamente curata e controllata attraverso interventi terapeutici personalizzati, presso i Centri Specialistici presenti in diverse Regioni del territorio, in grado di migliorarne o arrestarne il decorso. Oggi esistono cure efficaci che aiutano a tenere sotto controllo la malattia. Purtroppo il problema, che non è stato ancora risolto, è la disomogeneizzazione da parte delle Regioni nel far curare i loro cittadini affetti da questa patologia così importante e di forte impatto sociale. Ci sono inoltre novità che stanno emergendo nel campo delle genetica che cercano di fare luce sui fattori che determinano la malattia”.
 
“Nell’approccio e trattamento della psoriasi – conferma Sergio Chimenti, Direttore della Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’ – non può essere sottovalutato l’importante impatto psicologico correlato alla difficoltà di accettazione della malattia e al significativo peggioramento della qualità della vita. Al fine di controllare meglio la possibile evoluzione della malattia verso un disagio psico-emotivo, alla prima comparsa di macchie cutanee più o meno estese, localizzate principalmente sulle ginocchia, sui gomiti e sull’osso sacro (ma non sono escluse anche altre aree del copro quali il cuoio capelluto, le unghie e la lingua), occorre rivolgersi tempestivamente ad uno specialista. Oggi infatti le cure esistono e sono molte: da quelle standard, a base di ciclosporina e metotrexate, a quelle, qualora vi fossero controindicazioni o refrattarietà a questi a questi due farmaci, di ultima generazione rappresentate dai farmaci biologici. Agire tempestivamente sulla malattia, significa limitare anche l’insorgenza di importanti complicazioni”. 
 
“La psoriasi, infatti – aggiunge Roberto Perricone, Direttore della UOC Reumatologia UOC Allergologia ed Immunologia Clinica del Policlinico Tor Vergata di Roma – può avere anche un risvolto grave e invalidante, rappresentato dall’evoluzione verso l’artrite psoriasica che se non viene adeguatamente riconosciuta, diagnosticata e trattata alla comparsa di dolori o limitazioni articolari anche sfumati, può portare a una importante riduzione dell’autonomia della persona fino all’incapacità di svolgere le normali attività quotidiane, di occuparsi della cura della propria persona o di perseguire gli impegni professionali. L’approccio all’artrite psoriasica deve essere sinergico e tempestivo con la mutua collaborazione fra il dermatologo e il reumatologo tanto più fondamentale poiché non esistono elementi predittivi, quali analisi specifiche o biomarcatori, che possano fare ipotizzare ad una evoluzione della psoriasi verso una condizione più seria”.
 
Molto, nella gestione della malattia, dipende anche dai comportamenti personali e dallo stile di vita condotto. “Non fumare ed avere un regime alimentare corretto – spiega Mauro Picardo, responsabile della  Fisiopatologia Cutanea dell’Istituto Dermatologico San Gallicano IRCCS di Roma – consente una migliore gestione della malattia. Diversi studi, anche italiani, hanno infatti dimostrato che un regime dietetico che riduca gli alimenti ricchi di grassi saturi (burro, latticini, formaggi e insaccati), la carne rossa per il contenuto di Omega 6 e aumenti la quantità di pesce (gli Omega 3 svolgono una azione antinfiammatoria) e mantenga o incrementi l’apporto di frutta e verdura, a favore del miglioramento dell’aspetto metabolico può contribuire, indipendentemente dal tipo di terapia assunta, a prevenire l’insorgenza delle recidive o a ridurne l’incidenza e a migliorare la risposta al trattamento”.

24 ottobre 2013
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