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Diario da “paziente utente” del Servizio sanitario regionale del Lazio


Ho vissuto nascita, trasformazione e crisi del SSN non solo nella sua evoluzione storico politica ed amministrativa, ma nel suo concreto divenire di un diritto esigibile come cittadina. Ecco la mia ultima esperienza al Policlinico Tor Vergata di Roma

18 MAR - Ho scritto molto dal punto di vista teorico e delle possibili policy in materia sanitaria prima e dopo la crisi economico finanziaria, in ragione della mia competenza professionale e di una più che trentennale esperienza di direzione a livello nazionale delle politiche sanitarie, compreso un decennio nel Parlamento, nella commissione Affari Sociali della Camera ed un anno e mezzo da sottosegretario alla Sanità nel 2000.

Voglio precisare che tutte le questioni inerenti la mia salute o quella dei miei familiari le ho affrontate nel servizio pubblico, non già in ragione di una visione ideologica, quanto in ragione della valutazione che rispetto al confort vale di più competenza, professionalità, numero dei casi trattati esiti, out come di salute del cittadino paziente, ancorchè possedessi e possiedo una copertura sanitaria integrativa.

E’ anche vero che fin’ora sono stata fortunata e a parte un taglio cesareo per la mia gravidanza gemellare effettuato al S. Martino di Genova, nel lontano 1978, un intervento di chirurgia ortopedica, a seguito di una brutta frattura tripla (malleolo, tibia e perone) effettuato al Policlinico Umberto primo di Roma nel 2005 ed ora, 12 marzo 2013, una colecistectomia al Policlinico Tor Vergata di Roma, posso dire che ho vissuto nascita, trasformazione e crisi del SSN non solo nella sua evoluzione storico politica ed amministrativa, ma nel suo concreto divenire di un diritto esigibile come cittadina.

L’accesso è diventato sempre più complicato e con tempi per la fruizione sempre più lunghi, nonché costoso in termini di tickets per ogni tipo di prestazione se teniamo conto del reddito medio degli italiani, oggi falcidiato dagli effetti della crisi. La quantità di moduli da riempire in costanza delle prestazioni da effettuare, soprattutto radiodiagnostiche, o interventistiche, o per l’uso di anestetici, mezzi di contrasto, allergie antibiotiche e quant’altro sottrae tempo ai professionisti e all’organizzazione efficiente dei servizi e dei presidi ospedalieri. La medicina difensiva la si tocca con mano, non solo come processo deresponsabilizzante e frustrante nei professionisti, ma anche come limite dell’onnipotenza della medicina e al tempo stesso come consapevolezza del rischio e dell’ignoto che può manifestarsi ancorchè si mettano in atto procedure e comportamenti corretti. Un esempio per capirci: alla domanda ha sofferto o soffre di allergie agli antibiotici, la mia risposta è stata “quelli adoperati fin qui non mi hanno causato allergie”, mi viene somministrato un antibiotico a base di Cefazolina e mi riempio di ponfi in tutto il corpo, fortunatamente me ne accorgo e mi viene sospesa immediatamente la flebo. Oppure ha avuto reazioni per l’uso di mezzi di contrasto radiodiagnostici? Risposta: “Non ne ho mai fatto uso”. Si procede allora ad iniettarli con molta cautela avendomi preavvertito delle possibili reazioni e rassicurandomi con la presenza di una anestesista pronto ad intervenire. Non parlo solo quindi di consenso informato, che dobbiamo firmare ad ogni passo dalla diagnostica all’intervento, ma anche di tutte quelle procedure a tutela della nostra salute e della responsabilità del professionista e della struttura che solo un sapiente ed integrato sistema informatizzato ed in rete tra medico di base, specialista ed ospedale, può consentire, per conoscere la storia clinica del paziente e procedere in sicurezza o in maggiore conoscenza di chi si ha di fronte ottimizzando tempi, metodi e procedure.

Non è poco se si pensa all’afflusso enorme di domanda che si riversa sulle strutture ospedaliere, che con buona pace dei parametri programmatori , dei codici bianchi, verdi , gialli e quant’altro, si verifica perché il territorio è carente e le stutture filtro inesistenti ed allora l’unica sicurezza che il cittadino utente ha è quella ospedaliera.

Nel caso specifico, PTV, moderna struttura ospedaliera, in un territorio cui afferiscono circa 690.000 abitanti, 2 volte e mezzzo la città di Firenze, che ha già un rapporto di 1,7 posti letto per mille abitanti, che ha riorganizzato e ottimizzato le chirugie in modelli di Day Surgery, week surgery, day hospital e one day hospital, razionalizzando tempi e costi di degenza dei reparti, dei labratori d’analisi, della radiodiagnostica, che addirittura studia i flussi mensili delle prenotazioni del CUP e statisticamente rileva che a fronte di circa 40 prenotazioni giornaliere per analisi, preospedalizzazione in day surgery, ne prende quasi sempre circa 7 in più che riesce a fare comunque, poiché nel processo di ottimizzazione e di risparmio, i flussi indicano che circa 5 o 7pazienti per svariati motivi non si presentano ed allora l’organizzazione della struttura per ottimizzare tempi e obiettivi si dà una specie di over booking.

Insomma quello che voglio dire è che a Tor Vergata l’organizzazione sanitaria è al massimo dell’efficientizzazione e della razionalizzazione, una specie di macchina da guerra, che la direzione sanitaria ha attivato e controlla, grazie a un personale infermieristico e medico d’eccellenza, che però devo francamente dire lavora allo stremo delle possibilità e dell’abnegazione, curando la relazione con il paziente con quel tratto di umanizzazione importantissimo per chi da malato avverte fragilità, ansia e paura dell’ignoto all’apertura del proprio corpo e alle indagini diagnostiche.

E’ una struttura che potrebbe fare molto di più se non ci fosse il blocco delle assunzioni del personale medico, infermieristico e tecnico e quanto meglio potrebbe fare se il territorio fosse organizzato con case della salute, assistenza domiciliare, ADI, perché le dimissioni precoci possano essere dimissioni protette.

Nonostante tutto ciò ci sono 8460 persone in lista d’attesa per le 12 discipline chirurgiche presenti al PTV, si va avanti con personale precario e ripeto per averlo vissuto e visto con l’occhio esperto, allo stremo delle possibilità per far fronte ad una domanda che viene dal territorio incalzante perché è l’unico presidio in cui riporre fiducia e sicurezza.

Scrivo non per fare outing sull’esperienza personale, ma per riannodare le fila di un discorso sul SSN e sul SSR del Lazio, che in questa difficile fase politica del paese, non possono permettersi il rischio di rimanere senza Governance, tantomeno aspettare tatticismi politici o peggio abbandonarsi a nuove elezioni.

Il SSN è un bene pubblico da salvaguardare e preservare, senza dubbi o incertezze, non solo perché lo afferma la nostra Costituzione e l’ordinamento che lo regola, ma e soprattutto, perchè riguarda la tutela della salute individuale e collettiva di un popolo, dalla cui salute dipende la crescita del paese ed il futuro dell’innovazione e del progresso scientifico e tecnologico.
La crisi è duramente reale, con un profondo malessere economico sociale, che ha bisogno di risposte qui e subito ed ogni giorno che passa rischia di minare le possibili strategie di fuoriuscita dalla crisi con conseguenze sempre più gravi su amplissime fasce di popolazione.
Ciò richiede responsabilità e capacità di governo nel difficile presente con l’occhio vigile all’impatto che ogni azione che mettiamo in campo risolva e sia coraggiosamente rivolta al futuro.

Certo i debiti vanno onorati, non si può sfuggire, prima di tutto quelli verso i fornitori del SSN, verso i piani di rientro dal debito pregresso, con tutta l’opera di lotta agli sprechi e alle inefficienze che ancora esistono, verso blocchi e tetti al personale sanitario che analizzati dentro le strutture ed i servizi rappresentano un vincolo immorale per chi presta l’opera e chi la riceve, avendo la lucida consapevolezza che i tagli per fare cassa sono sbagliati e controproducenti, che senza investimenti non si va da nessuna parte, che chiusure di strutture, ottimizzazione di quelle esistenti senza immaginare e programmare nel breve e medio periodo centri territoriali di risposta e di primo intervento alla domanda di salute, sono inefficaci, che il personale del SSN è spremuto come un limone, non cè più succo, può solo uscire frustrazione e medicina difensiva che non fanno bene al SSN e alla salute del cittadino, che il cittadino non esente, in difficoltà economica, rinuncia alle cure e sposta a tempi migliori l’uso di prestazioni e servizi di cui, la valutazione di un medico e non il consumismo sanitario gli dice che ha bisogno. Ho fatto il conto dei ticket pagati ed io me lo posso permettere: 157,86 euro per le analisi ematochimiche e delle urine, 50 euro per ricerca elicobacter ed esame istologico delle mucosa gastroesofagea, 150 euro per le ecografie epato, biliari pancreatiche, gastroscopia 46 euro, tickets per farmaci (gastroloc e motilium)tickets ricetta più tickets farmaco gastroloc 13,18 il motilium, 2 scatole me lo pago perché non lo passa il SSN 11,80euro…

Totale 440, 64 euro. Certo una parte la porterò in detrazione nella misura del 19% dedotta la franchigia, alla voce spese mediche nella dichiarazione dei redditi e cioè 83,79 euro. Resta il fatto che il costo è di 356.85 euro, che io mi posso permettere, ma chi ha un reddito mensiledi 1000 o 1200 euro e non è esente, non può permettersi in tempi così duri di crisi.

Allora la prima cosa da fare è evitare il pericolo di altri 2 miliardi di tickets da adottare entro luglio a carico del cittadino, rivedere le modalità in essere di quelli esistenti.
Riscrivere il Patto per la salute tra Stato e Regioni, con piani di rientro che siano ancorati almeno ad un quinquennio temporale per rientrare e ad una programmazione seria e rigorosa di prestazioni e servizi da mettere in campo nell’arco di un quinquennio con accanto precise risorse per gli investimenti se non si vogliono ridurre servizi e prestazioni ai cittadini. Mettere fine alle gestioni commissariali e attivare processi di responsabilizzazione non vincolata dall’alto, in cui alla fine del mandato quinquennale regionale si risponde dei risparmi conseguiti e degli obiettivi raggiunti. Rivedere nei diversi territori l’indice di ottimizzazione dei posti letto, ancorato alla realtà e abbatterli in concomitanza dei processi di attivazione dei servizi territoriali.
Insomma programmare non solo dal lato dell’offerta, superando una logica autoreferenziale del sistema e di tetti teorici ma soprattutto tenendo conto della domanda reale dei cittadini, sapendoche il SSN ha già dato con manovre dei precedenti governo Berlusconi e poi Monti, con spending review e legge di stabilità 2013/2014, oltre 31 miliardi di euro e che infierire porterà al collasso del sistema. Le risorse si possono e si devono trovare sia per gli investimenti che per manovre correttive dei tagli precedenti: un 1% dagli introiti della lotta all’evasione fiscale, un 3% per investimenti dai fondi stanziati per gli sciagurati F15, un 5% dall’alienazione del patrimonio pubblico sotto garanzia della CDP, per pagare fornitori e rinnovare i contratti del personale, stabilizzare quello precario, remunerare gli specializzandi adeguatamente visto che il loro lavoro permette di reggere la frontiera dei pronto soccorso e dei reparti dei grandi ospedali. Usare fondi europei già stanziati per l’informatizzazione e la ICT dell’intero sistema e immaginare l’uso di project social bond per investire in ricerca e sviluppo con progetti europei sulle malattie rare e su quelle degenerative da invecchiamento, costruendo una rete di massa critica tra università ospedali, IRCCS, centri di ricerca pubblici e privati.

Un patto che non può essere solo istituzionale ma che ha bisogno della partecipazione degli operatori e dei cittadini per essere attivato e portato a compimento. Questo vale dal centro alla periferia assumendo ognuno le proprie responsabilità. Questo chiede il paese: partecipazione, democrazia, cambiamento. Mi scuso con il Direttore generale del PTV nonché caro amico da 30 anni, per non averlo informato di essere una paziente del suo ospedale, ma non l’ho fatto perché non volevo né corsie preferenziali né privilegi, ho voluto vivere l’esperienza da semplice cittadino per vedere in diretta e dall’interno come funzionano le cose ed avere la libertà di giudizio e di analisi sulla realtà, che ho potuto rilevare colloquiando con gli operatori, vivendo la preospedalizzazione, le 36 ore di degenza nella struttura e rendendomi conto perché esperta, un po’ lo sono, dello stato dell’arte Un grazie di cuore a tutto il personale e un augurio che il PTV possa essere sempre più un centro di eccellenza della Capitale del nostro paese.
 
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria, già sottosegretaria alla Sanità
    

18 marzo 2013
© Riproduzione riservata

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