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I tre racconti vincitori del premio Ucare


02 DIC - Ecco la trama e alcuni stralci dei tre racconti vincitori dell’edizione 2012 del premio Ucare, con una breve nota biografica dei medici-scrittori autori dei testi.

1° Classificato

TSUMAMI

Un ritratto delicato e commuovente di un uomo ormai anziano e della sua solitudine, dell’oblio incalzante che sconvolge la memoria e che, proprio come uno “tsunami”, porta via con sé tutti i suoi riferimenti, il suo presente e anche il suo futuro. Eppure, nonostante la sofferenza ed il disorientamento, i ricordi legati agli affetti più profondi rimangono intatti, fino all’ultimo respiro.

“…Quando si fa sera mi viene tanta malinconia... Non so più dove mi trovo… Perché non posso tornare a casa mia? Teresa mi sta aspettando, devo andare in negozio e poi bisognerà andare a prendere i bambini a scuola prima che faccia buio. Quando arriva la dottoressa giovane, le chiedo di aiutarmi a tornare a casa mia. Lei mi stringe le mani e mi dice che più tardi arriveranno i miei figli a trovarmi. Non ci capisco più niente… […]
…Ogni giorno vengono a trovarmi due persone, un uomo e una donna… Sono molto gentili con me e sto volentieri con loro. Io non li conosco, ma loro mi chiamano papà. […] …Teresa…chissà se sa quanto mi manca. Vorrei andare a dirglielo ancora e a portarle una rosa rossa, il suo fiore preferito„.

 

Serena Sarra nata a Vizzolo Predabissi (MI) il 12 giugno 1976, dopo gli studi classici si è laureata in
Medicina e Chirurgia e specializzata in Geriatria presso l’Università degli Studi di Pavia. Dal 2006 svolge
l’attività di geriatra, attualmente in una residenza sanitaria per anziani. “Amo il mio lavoro e mi impegno a
curare i pazienti anteponendo sempre la persona alla malattia. Nel mio scritto “Tsunami” ho voluto
raccontare una storia, nella quale sono in realtà contenute tante piccole grandi storie e tante piccole grandi
emozioni che quotidianamente vivo nella mia professione e che, giorno dopo giorno, diventano parte di me”.
 

2° Classificato

LETTOUNDICI


Due visioni intrecciate, quelle di una giovane dottoressa e della sua altrettanto giovane paziente, due riflessioni distanti eppure vicine sulla fallibilità della medicina. La difficoltà ad accettare l’inaccettabile e i tortuosi pensieri di chi cura e di chi giace in un letto di ospedale. Le attese, le azioni ora calme ora concitate, e soprattutto la rassegnazione di chi dalla vita si sta consapevolmente congedando e di chi tenta ogni giorno di opporsi alla propria impotenza.

“La prima volta che si è seduta sul mio letto è stata dieci giorni fa … lo sguardo che correva dalla sedia al mio letto, come se fosse nelle sue intenzioni sedersi, ma stesse soppesando quale delle due posizioni sarebbe stata più indicata, sul bordo del mio letto o accanto ad esso, sulla sedia.
Un’esitazione di pochi secondi, e come sempre la dottoressa dissimulava i suoi indugi continuando a chiacchierare. Da ultimo, si era seduta sul bordo del letto, e lo aveva fatto con tanta naturalezza che nessuno avrebbe mai potuto pensare che avesse in effetti avuto qualche remora nel preferire a quella postazione la sedia… avrebbe potuto dirmi tutto quel che poi mi disse, semplicemente rimanendo seduta su quella sedia,
composta, professionale, ed al contempo amichevole – certo… ma lei aveva preferito sedersi sul mio letto, e questo cambiava tutto… si era seduta sbilenca, scomoda forse, ma da lì poteva toccarmi il ginocchio, e quando alla fine mi toccò il ginocchio davvero, non fu un gesto di circostanza, non fu goffo, non fu ridicolo. Fu umano„.


Chiara Fiorentino è nata a Roma il 27 maggio 1984. Laureata in Medicina dal 2009 presso La Sapienza-Sant'Andrea, II Facoltà di Medicina e Chirurgia di Roma, ha lavorato in ambito internistico ed ha frequentato il Reparto di Immunologia e di Medicina Interna dell'Ospedale Sant'Andrea di Roma. Ha da poco vinto il concorso per la formazione in Medicina Generale nella Regione Lazio. “Il Lettoundici esiste davvero, ed ha rappresentato una delle prime vere esperienze formative della mia carriera, a testimonianza dell'impossibilità di praticare davvero questa professione senza coinvolgimenti umani."


3° Classificato

L’ECG DELLE VOCALI

Quando le difficoltà quotidiane di un bambino delle elementari vengono accolte e “curate” dalla sensibilità di un’anziana psichiatra, nella veste di insegnante, nasce una profonda intesa capace di alleviare ancor prima le carenze affettive che quelle scolastiche. La pazienza e la dedizione, insieme alla fiducia e all’incoraggiamento, possono davvero fare la differenza nella vita di un bambino apparentemente difficile?

“…Una signora dai capelli bianchi, dal viso tondo e simpatico che si asciugava le mani con un telo e che si fece da parte per farci entrare. La casa era luminosa, sapeva di cose antiche e di odori buoni, di dolci appena fatti, cioccolata forse. […]
…Mi fece sedere sulla sua poltrona, prima di iniziare “il nostro viaggio oltre le linee nemiche,” così lo chiamò sorridendo. […] Prese i miei quaderni di scuola, e mi disse: “Leggi !” Ed io, scorrendo le mie linee, le cominciai a tracciare i confini dell’Italia perdendomi nei ricordi della lezione e abbandonando il testo. Lei allora m’interruppe: “E tu in quelle linee riesci a leggere tutto questo... mah !” Non le risposi. Mi sentivo orgoglioso della mia lingua comprensibile a me, ma incomprensibile agli altri. Tante linee dritte dietro le quali nascondermi, con cui difendermi. Soglie sicure, dentro le quali io potevo vivere delle mie cose, dentro cui essere libero„.



Salvatore Vasta è nato a Legnago (VR) nel 1954 e vive a Palermo. Specialista in Anestesia e Rianimazione e Gastroenterologia, è direttore dell’UOC Area Emergenza MCAU Ospedale P. Borsellino di Marsala. Nel ’98 ha collaborato alla sceneggiatura di “Indagine sul Dio, Vita di S.Benedetto da Palermo”, commissionata dal Comune ed andata in scena per la regia di Beatrice Monroy. Nel 2006 ha fondato la rivista on-line Timeoutintensiva.it sulla quale ha pubblicato diversi suoi scritti. “Il racconto, in parte autobiografico, cerca di far comprendere quanto la comunicazione e l’approccio empatico possano trasformarsi in un “prendersi cura” del paziente, diverso dal semplice “curare” molti disturbi affettivi, specie infantili, con i farmaci, come spesso avviene oggi.”
 

02 dicembre 2012
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